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Semplificazione del Superbonus in arrivo e proroga

Il governo Draghi è al lavoro anche sul fronte Superbonus 110%. In questo senso, l’esecutivo è impegnato in un progetto di semplificazione delle procedure burocratiche, già al centro di diverse polemiche per la complessità dell’iter. In programma ci sarebbe anche una proroga dei termini per accedere al bonus. Vediamo quali sono le misure attualmente in discussione riguardo la semplificazione del Superbonus 110%.

Fra le novità che permetteranno la semplificazione del Superbonus 110% rientra innanzitutto un generico intento di snellire il numero e il dettaglio delle pratiche necessarie. Il governo è partito proprio da una ferita più volte indicata dai professionisti che devono attestare la validità dei lavori.

Così, ad esempio, nel certificato di conformità rilasciato dai tecnici abilitati non dovrà più esserci anche il controllo sullo stato legittimo dell’immobile (passaggi di proprietà, concessioni edilizie etc). Le asseverazioni che i vari professionisti andranno di volta in volta ad attestare dovranno quindi riguardare la sola conformità dell’edificio interessato dai lavori. Fra i progetti di semplificazione del Superbonus 110%, anche un taglio alle pratiche richieste per la VIA (Valutazione di impatto ambientale) richiesta ai cantieri.

Superbonus %: proroga oltre alla semplificazione?

Fra le novità di cui si sta discutendo in questi giorni, ci sarebbe anche una bella notizia sulle scadenze. Il Superbonus 110% era già stato prorogato al 2022. Nell’emendamento che ne estendeva i tempi di applicazione, si specificava però che le domande erano inviabili solo fino a luglio 2022. Gli ultimi 6 mesi dell’anno erano inclusi solo per il completamento dei lavori. L’articolo precisava anche che lo stato di avanzamento dei lavori a giugno 2022 dovrà essere almeno del 60% per poter usufruire degli sgravi fiscali anche nei 6 mesi successivi.

Ora il progetto del Recovery Fund sembra prolungare ulteriormente l’arco temporale degli sgravi. Si pensa infatti a una proroga del Superbonus 110% fino a 2023. Un ampliamento di 12 mesi o, se si confermerà anche l’invio delle domande anche nel secondo semestre, di addirittura 18 mesi.

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I rumori condominiali molesti sono un reato?

Gli amministratori di condominio sanno molto bene quanto proteste, lamentele e liti per rumori molesti siano all’ordine del giorno. un problema che deriva da tanti fattori. Sicuramente la negligenza (in alcuni casi aggravata da poco rispetto) dei dirimpettai che non comprendono il disagio causato anche da una semplice tv a volume massimo. Sono causa di questi dissidi anche muri e pannelli incapaci di assorbire il suono, finestre aperte vicino alle aperture del vicino, animali domestici, orari di lavoro scombinati. Cerchiamo di capire a che tipo di reato va incontro chi provoca rumori condominiali molesti.

Partiamo dalla fonte giuridica più “bassa”: il regolamento condominiale. È possibile infatti che i condomini riuniti nell’assemblea decidano di votare (all’unanimità) determinate proposte orientate al contenimento di rumori condominiali molesti. Ad esempio, stabilendo delle fasce orare di silenzio, da rispettare in tutte le situazioni. Nelle sessioni di gioco dei bambini in cortile, nei lavori di ristrutturazione condominiali, nel quotidiano svolgimento delle proprie attività. Il regolamento è un vero e proprio codice interno per i condomini. Basti pensare che è possibile anche includere nelle clausole delle sanzioni economiche che, in caso di comportamento recidivo, possono raggiungere anche gli 800 euro.

Discorso a parte riguarda gli animali domestici. Sappiamo infatti che è nulla la clausola che vieta la presenza di animali domestici in condominio. È altrettanto vero che un cane ha tutto il diritto di abbaiare. In alcuni casi però è possibile imputare al padrone dei comportamenti negligenti che non agiscono in alcun modo per ridurre il disagio provocato ai vicini. Ci richiamiamo, ancora una volta, al principio di tollerabilità. Un concetto tanto importante per valutare la punibilità o meno del comportamento quanto astratto, poiché difficile da misurare.

Tollerabilità e responsabilità dei rumori condominiali molesti

In ambito civile, i rumori molesti (condominiali o meno) costituiscono un illecito ai sensi dell’articolo 844 sulle Immissioni. Il grado di tollerabilità dei rumori deve dipendere anche dalle condizioni del luogo, delle esigenze di produzione e della priorità di un determinato uso. Per accertare la violazione, il giudice valuta inoltre se si tratta di un comportamento reiterato e comprovato anche da altre testimonianze, che ne hanno percepito la stessa intensità. Il colpevole può essere condannato a un risarcimento civile.

In caso di rumori condominiali molesti , possono però esistere anche le condizioni per un illecito penale. È quello prescritto dall’articolo 659 del CP sul Disturbo delle occupazioni e della quiete pubblica. Schiamazzi, rumori, apparecchi telefonici, segnalazioni acustiche e persino strepiti di animali non contenuti non possono quindi disturbare il sonno né la normale occupazione delle persone.

La pena prevista comprende l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda fino a 309 euro. Per chi è responsabile di rumori nell’ambito della sua professione esercitata però contro le disposizioni della legge o dell’Autorità, è prevista l’ammenda da 103 a 516 euro.

Per incorrere in questo reato penale, è necessario però che i rumori molestino la tranquillità pubblica, dunque siano potenzialmente fastidiosi per un indefinito e vasto numero di persone. Se dunque in sede di processo non emergono elementi che riconoscono il disturbo esteso dei rumori, non si ricade nella fattispecie. Questo significa che, in base alle condizioni degli schiamazzi e dei luoghi, sarebbero sufficienti anche 3 condomini per individuare un reato.

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Ecobonus, Sismabonus e riunioni condominiali: che confusione!

Gli incentivi del Superbonus nei pacchetti dell’Ecobonus e del Sismabonus sono una risorsa ghiotta per i condomini. Rifare un cappotto termico, migliorare l’efficientamento energetico dell’edificio e metterne in sicurezza l’impianto antisismico sono solo alcuni degli interventi per i quali si può approfittare del bonus. Gli amministratori sanno bene, però, che la discussione deve sempre e comunque passare prima per l’assemblea condominiale. In che modo gli altri condomini possono favorire o ostacolare l’accesso ai fondi? Vediamo come funzionano l’Ecobonus e il Sismabonus nelle riunioni condominiali.

Il Decreto Rilancio stabilisce che il condominio rientra fra i soggetti destinatari del bonus per interventi riguardanti le parti comuni (trainanti) e interventi che coinvolgono le parti private (trainati). I secondi sono necessariamente subordinati alla realizzazione dei primi. È chiaro quindi che il passaggio in assemblea è obbligatorio. I condomini discuteranno un eventuale progetto per l’Ecobonus o il Sismabonus nelle riunioni condominiali dedicate. Al termine del dibattito, la proposta viene messa ai voti della maggioranza.

Condomini morosi o dissenzienti: il Sismabonus nelle riunioni condominiali

Per essere approvata, la delibera deve ricevere il voto favorevole di almeno un terzo in millesimi dell’edificio, con quorum costitutivo di almeno la metà in millesimi. Che cosa succede se un condomino esprime voto contrario ma la proposta viene approvata dalla maggioranza? In quel caso, come funzionerebbe per qualsiasi altra delibera, tutti i condomini dovranno partecipare alle spese in proporzione ai valori delle tabelle millesimali. Compreso il condomino dissenziente.

sismabonus e riunioni condominiali

L’Agenzia delle Entrate, più volte intervenuta per chiarire i molti dubbi dei contribuenti, ha risposto anche riguardo le modalità di riscossione. Gli incentivi del Superbonus sono infatti ricevibili sotto forma di detrazione fiscale spalmata in 5 o 10 anni, sconto in fattura o cessione del credito. Fermo restando l’obbligo, anche per il condomino dissenziente, di partecipare alle spese, al singolo resterà comunque l’autonomia in tal senso. Ogni proprietario potrà infatti scegliere la modalità di riscossione della propria quota versata che preferisce.

Altra questione riguarda anche i condomini morosi o colpevoli di abuso edilizio. Nel primo caso, sappiamo già che i condomini morosi non hanno accesso al Superbonus. È possibile però saldare il proprio debito con il condominio entro le tempistiche richieste dal progetto. Potrebbe invece capitare che un condominio voglia realizzare un intervento in un’area comune, e che però l’abitazione di un singolo presenti un abuso edilizio. In quel caso, l’intervento è però rivolto esclusivamente a un bene in comproprietà fra tutti e quindi è lo stesso possibile accedere al Superbonus. L’asseverazione richiesta è quella di legittimità delle parti comuni interessate dell’edificio, e non delle singole unità.

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Sanatoria in condominio: serve l’autorizzazione dell’assemblea?

I cantieri nei condomini non mancano quasi mai. Quando si tratta di lavori di ristrutturazione, interventi per nuove costruzioni o modifiche volumetriche, è richiesta però anche l’autorizzazione comunale. In particolare, oggi parliamo di un titolo abitativo rilasciato dall’Ufficio Tecnico del proprio Comune. In alcuni casi è possibile richiedere la sanatoria per proseguire con la costruzione senza andare incontro al reato di abuso edilizio. Che succede quando il problema si verifica in ambito condominiale? Serve l’autorizzazione dell’assemblea per la sanatoria in condominio?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo innanzitutto distinguere fra gli interventi che coinvolgono anche le parti comuni e quelli che invece interessano solo parti esclusive. La giurisprudenza ha infatti seguito un orientamento maggioritario che, però, ha trovato anche voci discordanti proprio in un caso di comproprietà. Partiamo dal principio.

Da un lato abbiamo i regolamenti e il diritto civile relativo ai condomini. Dall’altro il diritto amministrativo degli enti comunali. Il rilascio della sanatoria da parte dell’Ufficio Tecnico va incontro al rispetto delle norme urbanistiche che nulla hanno a che vedere con quelle civilistiche del condominio. È quindi chiaro che le leggi interne del condominio non possono interferire con quelle amministrative del comune. Diverse sentenze (citiamo ad esempio il TAR della Campania, sentenza n. 1590/2018) hanno già stabilito questo principio.

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Nel caso citato, un condominio che aveva avviato la realizzazione di una veranda nel proprio appartamento aveva incontrato l’opposizione di altri proprietari. Secondo i giudici del Tribunale Amministrativo però, il Comune non ha bisogno dell’approvazione dell’assemblea per rilasciare la sanatoria in condominio.

Sanatoria in condominio per le parti comuni

Va fatta salva ovviamente la tutela del diritto dei terzi. È il caso ad esempio sollevato dinnanzi al TAR della Sicilia (sentenza n. 1477/2016). In questo caso erano coinvolte nella sanatoria delle aree in comproprietà. Gli altri condomini, avendo diritti reali sui beni in questione, avevano espresso la loro opposizione e questo ha reso legittimo il rigetto della richiesta di sanatoria del singolo proprietario.

La questione della sanatoria in condominio può quindi presentare delle insidie se gli interventi coinvolgono anche parti comuni dell’edificio. Gli altri condomini, in quanto legittimi proprietari, possono in quel caso esprimere il proprio dissenso all’amministratore e in sede di assemblea. Se invece l’intervento riguarda un’area privata del singolo nel condominio e non coinvolge anche i diritti di terzi, l’autorizzazione comunale non può essere subordinata a quella condominiale.

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Si può mettere una stufa a legna in condominio?

Abbiamo parlato di come la rivoluzione dell’Ecobonus tocchi da vicino anche gli impianti da riscaldamento delle abitazioni condominiali. A determinate condizioni, la normativa prevede ad esempio degli interessanti sgravi fiscali per la sostituzione o l’acquisto di stufe a pellet o a legna. Pensare a un’innovazione di questo tipo risulta quindi doppiamente vantaggioso: bonus e risparmio sui consumi. Dovresti preoccuparti che gli altri condomini ti possano impedire di installare una stufa a legna in condominio nella tua unità? In realtà, con la guida dei giusti professionisti difficilmente gli altri proprietari potranno impedirti di farlo – né dovrebbero trarne svantaggio.

I requisiti ai quali dovrai fare attenzione sia quando acquisti sia quando sostituisci la tua stufa a legna in condominio riguardano naturalmente la sicurezza. Inutile dire che debba trattarsi di un impianto a norma sotto tutti i punti di vista. Sia nella disposizione all’interno della casa quanto sia nello scarico dei residui della combustione. Cominciamo dalle caratteristiche di installazione nell’appartamento.

Il primo riferimento da tenere presente è che, per ospitare una stufa o un camino, una stanza deve avere un volume di almeno 30 metri cubi, che equivalgono a circa 11 metri quadri. Ricorda inoltre che è obbligatorio l’impiego di stufe a legna con focolare chiuso e presa d’aria che prelevi ossigeno dall’esterno dell’edificio. Fra le altre misure da seguire ci sono l’utilizzo di materiale isolante termico intorno alla stufa e un adeguato impianto di canalizzazione verso l’alto dei fumi (canna fumaria).

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Stufa a legna in condominio e canna fumaria

Parliamo ora dello scarico della stufa a legna, che ha a che vedere anche con l’estetica esterna oltre che con la sicurezza. È obbligatorio infatti che i fumi vengano scaricati oltre il colmo del tetto. Ciò significa che è necessaria una canna fumaria, condominiale o meno, che convogli i residui della combustione verso l’alto. Non sono a norma gli impianti che scaricano direttamente a muro con il classico buco sulla parete. Se il tuo condominio è già dotato di una canna fumaria, non dovrai far altro che realizzare un raccordo di tubi.

Se invece l’edificio ne è sprovvisto, potrai provvedere tu stesso a installare una canna fumaria in condominio. Per farlo, dovrai assicurarti che il tubo aderisca al muro perimetrale e che questo non costituisca un danno per:

  • Il decoro architettonico dell’edificio, ossia che non ne pregiudichi l’aspetto negativamente
  • La distanza minima legale da finestre, balconi, aperture
  • Il diritto di veduta

Tutte condizioni facilmente tutelabili grazie all’aiuto di un buon professionista. Nel rispetto di queste regole, non dovrai chiedere l’autorizzazione preventiva per installare una canna fumaria. E quindi per montare la tua nuova stufa a legno.

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Aprire una palestra in condominio: i requisiti

Seminterrati, locali sfitti, negozi e spazi liberi: come sfruttare al massimo il potenziale di un’unità immobiliare in condominio diversa da un’abitazione? Sono molti i proprietari che scelgono, ad esempio, di aprire una palestra in condominio. Naturalmente, anche se non si tratta di appartamenti abitati, permane il rigoroso rispetto di tutte le norme, tanto del regolamento condominiale quanto delle leggi nazionali. Vediamo qualche regola generale e approfondiamo un caso specifico ricorrente relativo all’apertura di una palestra in condominio.

Tra i vincoli che dovrai rispettare per aprire una palestra in condominio sono evidenti quelli strutturali. Ogni modifica apportata al locale non deve quindi compromettere la struttura dell’edificio. Né può certamente lederne il decoro architettonico. In tal proposito, è soprattutto la facciata esterna con tutti i suoi elementi (finestre e balconi inclusi) a dover rispettare i canoni estetici e ornamentali del condominio.

Un altro annoso problema delle palestre è il rischio di rumori molesti. Lezioni con musica a volume alto, corsi serali e attività che richiedono molti salti possono infatti disturbare la quiete condominiale. Il consiglio in questo caso è di controllare che nel regolamento non siano presenti restrizioni orarie o fasce di silenzio, come ad esempio quelle per i lavori in condominio. A tal proposito è bene pensare anche all’isolamento acustico del locale e del rivestimento dei pavimenti con materiali assorbenti di rumori e urti. Specialmente se non ci si trova al primo piano.

Altro suggerimento: se si tratta di un box, assicurati che il locale non sia soggetto a destinazioni d’uso specifiche nel regolamento. Per modificarle, avrai bisogno dell’unanimità dell’assemblea. Infine, controllare anche le norme antincendio in condominio. Disposizioni da integrare le autorizzazioni richieste a norma di legge (DM 22 gennaio 2008, n. 37 e DM 1 febbraio 1986).

Palestra in condominio: i requisiti

L’apertura di una palestra richiede necessariamente dei lavori di ristrutturazione del locale. Nel rispetto della stabilità dell’edificio è possibile installare pedane, soppalchi, wc e aprire finestre. È inoltre obbligatoria la dotazione di un impianto di ventilazione meccanica.

Ricordiamo anche che le palestre devono rispettare dei precisi requisiti di spazi. Ad esempio, è obbligatoria la presenza di spogliatoi separati fra istruttori e utenti e distinti per sesso. Ciascuno dev’essere dotato di servizi igienici con dotazione minima: wc, lavabo e almeno due posti doccia ogni 24 utenti della palestra. Tutti questi calcoli di spazio andranno presi in considerazione sin dal primo progetto, considerando le condizioni strutturali dell’edificio condominiale e le autorizzazioni comunali richieste.

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Accessi diversi in condominio: pagano la luce del portone?

Le spese per gli ambienti comuni vanno divise fra tutti i condomini in base ai loro millesimi di proprietà. Esistono però delle situazioni particolari nelle quali la ripartizione dei costi di manutenzione o sostituzione non è così immediata. Un conflitto spesso affrontato anche nei tribunali riguarda i proprietari con accessi diversi a un locale interno al condominio. In questi casi, ci si chiede se il condomino debba contribuire anche ai costi di consumi e manutenzione di androne o portone. Quando si hanno accessi diversi in condominio bisogna pagare anche la luce del portone principale?

Il dubbio  è stato spesso sollevato dai condomini che si lamentavano di non utilizzare quell’area comune, avendo un accesso diverso in condominio al proprio locale. Viceversa, gli altri proprietari protestano perché gli spazi comuni del condominio sono in comproprietà fra tutti. Compresi i condomini che non li utilizzano quotidianamente. La questione va inquadrata nelle norme del Codice Civile che regolano la ripartizione delle spese per le parti comuni.

La Cassazione ha più volte affrontato la questione, mettendo in chiaro che al godimento di un diritto reale su un bene deve necessariamente essere legato anche un obbligo in termini di conservazione e manutenzione della cosa. Se quindi un soggetto acquista un’unità immobiliare in condominio accetta di avere diritto al godimento delle parti comuni, secondo l’uso consentito e nel rispetto degli altri. Allo stesso tempo, deve concorrere alle spese di conservazione delle stesse.

Questo avviene «in rapporto e proporzione all’utilità che anche essi possono, in ipotesi, trarne quali condomini, e ciò sia avuto riguardo all’uso, ancorché ridotto» (sentenza n. 2328/1977). Ciò significa che il proprietario ha potenzialmente diritto a utilizzare l’androne ogni giorno. Il fatto che lui scelga di utilizzare un accesso diverso non lo esonera dalle responsabilità che derivano dall’essere comproprietario del portone principale.

Spese per le scale quando si hanno accessi diversi in condominio

Un altro caso spesso affrontato è quello in cui il soggetto che abbia accessi diversi in condominio alla sua proprietà al primo piano non voglia partecipare alle spese per le scale. Anche in questo caso, la giurisprudenza ha interpretato i principi di ripartizione delle spese in senso inclusivo (vedi le sentenze n. 4419/2013 e n. 15444/2007). Le scale rientrano infatti nell’elenco delle parti comuni ex. art. 1117.

In tal senso, esse svolgono un ruolo determinante non solo per condomini che devono recarsi alle loro unità sui piani rialzati. Le scale costituiscono anche parte integrante della struttura dell’edificio, sostenendone lo scheletro e collegando il piano terra con la sua copertura.

Ne deriva quindi che devono contribuire alle spese di manutenzione e riparazione delle scale anche i proprietari del primo piano, che l’accesso sia indipendente o meno. È chiaro poi che i condomini al primo piano pagheranno meno rispetto a quelli all’ultimo piano, responsabili di maggiore usura delle scale. Queste proporzioni sono già calcolate all’interno delle tabelle millesimali.

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Stufa a pellet in condominio con Ecobonus

Le stufe per il riscaldamento domestico a pellet sono tornate in cima alla lista dei desideri di moltissimi condomini. Questo, sia per il risparmio energetico garantito rispetto ai consumi sia per gli incentivi fiscali che permettono di installare l’impianto di riscaldamento con l’Ecobonus 110%. Come tutte le cose che avvengono in condominio, anche il semplice utilizzo di una stufa richiede alcune accortezze. Vediamo come ci si deve comportare se si vuole installare una stufa a pellet in condominio? È possibile farlo anche se non si raggiunge la maggioranza in sede di voto per l’Ecobonus?

I sistemi di riscaldamento a biomasse si stanno diffondendo sempre più grazie al loro bassissimo impatto ecologico, con notevole risparmio in termini di consumi in bolletta. Per installare una stufa a pellet in condominio in realtà non sono necessarie troppe autorizzazioni. Il punto centrale sul quale fare attenzione è lo scarico dei fumi. Sappiamo infatti che l’emissione di fumo e odori troppo forti in condominio può costituire una molestia per il vicino. Un secondo vincolo, connesso al primo, riguarda il rispetto delle distanze minime in condominio.

È bene quindi che l’installazione rispetti tanto il diritto di veduta degli altri condomini quanto la distanza minima da pareti, finestre e balconi. Si tengano presente anche vincoli di sicurezza, che impongono distanza anche da materiali infiammabili e precisi criteri di realizzazione della cappa. Inoltre, tieni presente che è vietato indirizzare i fumi dalla parete. Per questo, è necessario installare una canna fumaria in condominio o convogliare lo scarico verso una canna già esistente, interna o esterna.

Infine, il rispetto del decoro architettonico della facciata. In questo caso, a pregiudicarlo non sarebbe la stufa a pellet in sé, ma i tubi di scarico esterni che convogliano verso la canna fumaria o la canna fumaria stessa.

Stufe a pellet in condominio ed Ecobonus 110%

I requisiti per i canali di fumo e per le condizioni di sicurezza degli apparecchi generatori di calore in condominio sono contenuti nella normativa UNI 10683. Nel rispetto di tutti questi requisiti, gli altri condomini non possono opporsi all’installazione di una stufa a pellet in condominio.

Un’altra opzione a disposizione dei condomini è usufruire delle detrazioni fiscali concesse con l’Ecobonus 110% per installare una stufa a pellet nella propria abitazione. In questo caso, trattandosi di un intervento che coinvolge una proprietà esclusiva del singolo (e non le parti comuni dell’edificio), la richiesta coinvolge solo il singolo avente un diritto reale sull’unità immobiliare che ne paghi le spese. Non c’è bisogno quindi di utilizzare il codice fiscale del condominio.

Questo tipo di intervento, se realizzato singolarmente e senza un miglioramento di almeno due classi energetiche dell’intero edificio, rientra fra le detrazioni IRPEF al 50% o al 65%. Fermo restando il tetto massimo di 30 mila euro detraibili per l’installazione di generatori di calore a biomasse combustibili, i requisiti per ottenere uno sgravio del 65% sono:

Se invece il lavoro rientra in un più ampio progetto condominiale di efficientamento energetico del condominio, coinvolgendo anche parti comuni e rispettando i requisiti imposti dal Superbonus, si ha diritto al 110% di quanto si è speso. In questo caso, però, è necessaria l’approvazione da parte della maggioranza dell’assemblea. Se la proposta dovesse essere approvata, anche il condomino dissenziente è tenuto a partecipare ai lavori.

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Impianto di riscaldamento con l’Ecobonus 110%: i requisiti

Stufe, pavimenti riscaldati, condizionatore, finestre. Quando si parla di efficientamento energetico nell’ambito dell’Ecobonus 110% è anche a questo tipo di interventi che ci riferiamo. Vi sono però degli specifici limiti imposti dalla legge che vanno rispettati sin dal progetto iniziale per poter usufruire delle detrazioni. Quali sono questi requisiti e di che importo sono gli sgravi fiscali per  l’impianto di riscaldamento con l’Ecobonus 110%?

Partiamo con il primo requisito di legge per accedere agli incentivi dell’Ecobonus sotto forma di credito di imposta, cessione del credito o sconto in fattura. Per quanto riguarda l’Ecobonus 110% sugli impianti di riscaldamento invernale, gli sgravi variano dal 50 al 65 al 110%. Condizione fondamentale per accedere al bonus è che venga sostituito almeno un impianto di generazione del calore. Questo significa che un intervento che integri un generatore di calore con un altro impianto o con elementi accessori non rientra in quelli compresi nell’Ecobonus.

La sostituzione dell’impianto di riscaldamento con l’Ecobonus 110% può essere parziale o totale. Per sostituzione parziale, come specificato in una nota anche dall’ENEA, si intenda la sostituzione di almeno un impianto di riscaldamento al quale possono poi collegarsi anche le altre unità esterne. A questo intervento trainante possono poi essere accostate anche opere sulla rete di distribuzione, di controllo e sui corpi di emissione come radiatori, radianti, termoconvettori.

La sostituzione del generatore di calore (integrale o parziale) può riguardare l’installazione di un generatore a biomasse. Anche in questo caso, vi sono precisi limiti da rispettare per aggiudicarsi gli sgravi fiscali del Ecobonus 110%.

Generatore a biomasse: sostituzione dell’impianto di riscaldamento con l’Ecobonus 110%

L’Agenzia Nazionale Efficienza Energetica ha comunicato dei chiarimenti in merito agli interventi trainanti di sostituzione richiesti per accedere all’Ecobonus. Per quanto riguarda il generatore di calore con il quale si sostituisce il vecchio, è possibile scegliere fra:

  • Caldaie a biomassa (sia inferiori sia superiori ai 500 kW)
  • Caldaie domestiche a biomassa che riscaldano anche il locale di installazione
  • Stufe a combustibile solido
  • Stufe per il riscaldamento domestico a pellet (massimo 50 kW)
  • Termocucine a legna
  • Inserti a combustibile solido
  • Apparecchi a lento rilascio di calore alimentati a combustibili solidi
  • Bruciatori a pellet per piccole caldaie da riscaldamento

Nel documento informativo rilasciato dall’ENEA sono anche specificati i singoli requisiti di efficienza energetica che devono rispettare gli impianti nuovi. L’importo massimo detraibile è di 30 mila euro per unità immobiliare.

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Regole condominiali anticovid: quali adottare per proteggersi?

Fra le domande che gli amministratori di condominio si sentono più spesso rivolgere ci sono, ormai da un bel po’, i dubbi relativi al Coronavirus. Il contesto condominiale presenta infatti molte più situazioni potenzialmente esposte rispetto a una casa indipendente, ed è normale che i proprietari si preoccupino di tutelare la salubrità dell’ambiente. Per questo è bene adottare le principali regole condominiali anticovid attingendo dagli obblighi della legge, dal regolamento condominiale o dalle indicazioni esposte. Ecco come comportarsi per gestire il Covid in condominio.

Parliamo quindi delle aree comuni del condominio. Per questi spazi, come per tutti i luoghi pubblici, fa riferimento la normativa di ordine pubblico nel DL19/2020. Le restrizioni imposte anche agli spazi comuni nel condominio sono, in buona sostanza, le stesse regole anticovid che siamo abituati a rispettare.

  • Divieto di assembramento e riunioni
  • Limitazioni rispetto alla possibilità di lasciare il proprio domicilio o residenza
  • Misure riguardo la quarantena, l’isolamento o l’allontanamento dalla propria residenza.
  • Obbligo di mascherina

In generale, si tenga presente che tutte queste norme devono essere rispettate con particolare rigore soprattutto nei condomini in cui siano comprese attività commerciali e/o aperte al pubblico.Del resto, è ormai intuitivo comprendere come un pianerottolo o una terrazza non possano essere utilizzati per feste o riunioni di condominio improvvisate.

Quest’ultime si tengono solitamente in videoconferenza, visto che non tutti dispongono di spazi ampi a sufficienza da garantire il dovuto distanziamento fra tutti i partecipanti. La pratica delle riunioni a distanza ha inoltre spalancato l’accesso al digitale a molte realtà condominiali. Parliamo di quei contesti che, per inerzia dell’amministratore e dei proprietari, non approfittavano ancora degli strumenti messi a disposizione dal web. Un possibile risvolto positivo delle regole condominiali anticovid!

Quali regole condominiali anticovid negli spazi condivisi?

Vediamo poi come, nello specifico, è possibile limitare il contagio da Coronavirus in condominio e nei suoi spazi comuni. È possibile che il condominio adotti un protocollo tutto suo, purché non sminuisca ma rinforzi le norme anticovid già in vigore per legge. In generale, si tratta di accordarsi sul buonsenso e, se necessario, aprire un dibattito con l’amministratore e gli altri condomini.

Le regole condominiali anticovid vanno poi affisse: è un compito che spetta all’amministratore, il quale ha il dovere di assicurare il massimo godimento del bene comune a tutti i condomini. Indicazioni, cartelli, lettere o email: qualsiasi strumento è lecito. Il suo ruolo però si esaurisce nel momento gestionale. Non spetta infatti all’amministratore vigilare costantemente sul rispetto delle regole imposte.

Fra queste potrebbero rientrare:

  • Limitazioni all’utilizzo dell’ascensore (1 per volta)
  • Ripartizione dei corridoi – ove possibile – in due corsie a doppio senso
  • Programmazione dei turni di pulizia e delle sanificazioni messe in atto periodicamente
  • Turnazione dell’accesso ad alcune aree comuni o numeri limitati d’accesso

Infine, in caso di possibile contagio, vige il rispetto della privacy. Il soggetto che ha contratto il Covid è tenuto all’isolamento ma non alla comunicazione agli altri condomini. Allo stesso modo, anche l’amministratore (venuto a conoscenza del contagio) è tenuto alla riservatezza sulla sua persona. È possibile solo informare gli altri dell’isolamento di un paziente.