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Cos’è un condominio minimo e come si ripartiscono le spese?

Sappiamo che per un edificio composto da unità immobiliari con proprietari diversi è obbligatorio nominare un amministratore solo con un numero di condòmini maggiore di 8 proprietari. Tuttavia, sappiamo anche che il condominio si costituisce automaticamente quando in un edificio convivono due proprietari distinti. La Riforma del 2012 ha quindi introdotto una serie di norme relative a tutte quelle realtà più “piccole” composte da un numero di condòmini compreso fra 2 e 8. Si tratta del cosiddetto condominio minimo. Vediamo cos’è, come si gestisce e come vengono ripartite le sue spese.

Un condominio deriva dalla coesistenza in uno stesso edificio di più unità immobiliari appartenenti a proprietari diversi. Prendiamo il caso di un villino indipendente, diviso in due piani. Le due abitazioni che ne derivano hanno accessi separati (ad esempio, con una scala esterna che permette l’accesso al piano superiore senza passare da quello inferiore). Il proprietario del villino vende i due appartamenti a due proprietari diversi. Ecco che, in automatico, l’edificio diventa un condominio minimo, e ad esso si applicheranno tutte le norme del Codice Civile.

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Queste norme serviranno per amministrare la gestione di aree e beni condivisi ai due proprietari. Parliamo, ad esempio, del vialetto di accesso, di un cancello d’ingresso, del cortile sottostante, ma anche del lastrico solare. Essendo i proprietari solo due, non sussiste l’obbligo di nominare un amministratore, anche se i due condòmini possono ugualmente delegare la gestione contabile dell’edificio a una figura esterna. Allo stesso modo, non è necessario nemmeno redigere e approvare un regolamento, obbligatorio a partire da 10 condòmini. Fra le norme che, all’atto pratico, più interesseranno i due condomini, rientrano sicuramente quelle sulla ripartizione delle spese.

Come si ripartiscono le spese nel condominio minimo?

Pur in assenza di amministratore e regolamento, i due proprietari dovranno sostenere delle spese per il mantenimento delle parti comuni e, in base alle norme del Codice Civile, ripartirle equamente. Un istituto condominiale che è quindi obbligatorio anche per il condominio minimo sono le tabelle millesimali. La loro approvazione è fondamentale per distribuire le spese. In caso di mancata compilazione, infatti, sarà il giudice a dover ricostruire dei criteri di ripartizione basati sul modello delle tabelle.

Le spese per le aree comuni, naturalmente, non vanno solo distribuite, ma anche approvate. Altro elemento quindi indispensabile nel condominio minimo è l’assemblea condominiale, in base alle stesse regole civilistiche del condominio “tradizionale”. Ovviamente, le norme su criteri di maggioranza e partecipazione si adeguano al numero di condomini. Nell’esempio del nostro villino, una decisione è da intendersi presa all’unanimità solo se all’assemblea perviene il voto favorevole di entrambi.

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Bambini che giocano in cortile: quali orari?

I bambini sono una benedizione. Non tutti, però, sono d’accordo con questa affermazione, in special modo quando si tratta dei bambini degli altri. All’interno del grande calderone delle liti condominiali causate dai rumori molesti, c’è un’intera sottocategoria che riguarda proprio i bambini. Quali sono i limiti di tolleranza entro i quali è giusto che i bambini giochino? E quando, invece, i genitori dovrebbero intervenire a tutela della quiete del vicinato? Oggi parliamo di una fattispecie che la giurisprudenza si è già trovata ad affrontare. Cosa fare quando i bambini che giocano in cortile condominiale disturbano la quiete nelle prime ore del pomeriggio? E in quali orari si richiede invece più tolleranza?

Urla, giochi rumorosi e oggetti che sbattono fanno parte del tran tran quotidiano di tutte le famiglie. Non per questo, però, devono disturbare eccessivamente anche la routine degli altri condomini. È bene precisare subito che un certo grado di tolleranza è imposto innanzitutto dal buon senso e dall’età di chi è cagione di disturbo. Quando una situazione diventa però insopportabile, è bene mettersi a tavolino con i genitori e stabilire di comune accordo delle regole comportamentali.

Innanzitutto: non esistono leggi che stabiliscano un limite orario per il gioco dei bambini. Per ovvi motivi. Anche vietare l’accesso al cortile a un bambino che risiede nel condominio è, ovviamente, da escludersi. In quanto spazio comune, si tratta di un bene cui hanno diritto di usufruire tutti i proprietari di immobili. Unico limite imponibile per legge è a quelle situazioni che pregiudichino il paritario uso dello stesso bene agli altri condomini, come ci ricorda l’articolo 1102 del Codice Civile. Ma non si tratta del caso in questione.

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Cosa fare se i bambini giocano nel cortile nelle prime ore del pomeriggio?

Il problema in questione spesso non riguarda tanto – o meglio, non esclusivamente – il gioco o la presenza dei bambini. A recare fastidio sono piuttosto i rumori molesti che derivano dalle loro attività ludiche in orari legati al riposo come le prime ore del pomeriggio. In questo caso, il primo consiglio che un buon amministratore può dare a due condomini in lite è: riuniamoci attorno a un tavolo e parliamone.

Ponendosi da mediatore, un amministratore potrà riassumere le volontà delle due parti in un compromesso equo. Ad esempio, integrando il regolamento condominiale con una norma dedicata proprio agli orari di gioco dei bambini in cortile. Va tenuto presente – e un buon amministratore lo sa – che qualsiasi modifica del regolamento condominiale va messa ai voti dell’assemblea. È quindi importante che i condomini discutano proprio in questo contesto, per poter arrivare a una soluzione condivisa dall’intero edificio.

Da ricordare anche che una norma che limiti l’utilizzo di un bene comune a un condomino va inserita nel regolamento con procedura contrattuale. La modifica andrà quindi messa ai voti e dovrà passare con l’unanimità dei pareri favorevoli. È questo, ad esempio, il caso di una norma che voglia impedire ai bambini di giocare nel cortile condominiale nelle prime ore del pomeriggio.

È invece votabile con maggioranza ordinaria una norma che stabilisca di non fare rumore in determinati orari. Questo non lede infatti il diritto di utilizzo dei bambini che giocano in cortile. Ne indica semplicemente le modalità. In alternativa a questi iter, spesso lunghi e non sempre proficui, resta sempre il buon vecchio dialogo. Un richiamo al rispetto reciproco da parte dell’amministratore può spesso risolvere le cose più rapidamente di tante procedure legali.

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Manutenzione straordinaria di notevole entità

Sappiamo che esistono regole precise per stabilire quali maggioranze siano necessarie in assemblea condominiale per l’approvazione delle varie tipologie di delibera. Che si tratti della nomina dell’amministratore, dell’approvazione di spese ordinarie o di interventi di innovazione, dei quorum specifici sono richiesti di volta in volta. E quando si tratta di lavori di manutenzione straordinaria di notevole entità?

L’articolo 1136 del Codice Civile inserisce le «deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità» fra quelle da approvare come stabilito dal secondo comma dello stesso, ossia:

con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Una maggioranza qualificata ben specificata dalla legge, che non pone troppa chiarezza però sulla natura di questi interventi. In altre parole: quando si può parlare di lavori di manutenzione straordinaria di notevole entità?

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Manutenzione straordinaria di notevole entità: chi la stabilisce?

In questo come in molti altri casi la parola va data al giudice. È solo in sede giudiziale infatti che è possibile stabilire, date le variabili del caso e lo studio dei progetti al vaglio, quando un lavoro di manutenzione straordinaria abbia un’entità “notevole“ e quando no. La discrezionalità del giudice si baserà su interpretazioni precedenti della giurisprudenza e sul senso generale di questo tipo di interventi.

Quando parliamo di lavori di manutenzione ordinaria ci riferiamo ovviamente a piccole riparazioni di rotture, sostituzioni e, in generale, lavori di entità ridotta che non modificano l’assetto strutturale del condominio. La manutenzione straordinaria prevede invece interventi più cospicui, causati da un guasto “non ordinario” o da necessità sopraggiunte. L’ulteriore “aggravante” di “notevole entità” va poi valutata caso per caso. È importante comprendere questo delicato passaggio, poiché da qui dipenderà poi la votazione assembleare per la ripartizione delle spese e, dunque, le quote esigibili a ciascun condomino.

Fra i criteri di giudizio tenuti in conto dal giudice rientra anche la proporzionalità fra:

la spesa totale richiesta per l’intervento.

La ripartizione fra i singoli proprietari secondo le quote millesimali.

Il valore dell’intero edificio.

Non rientra invece fra i parametri di cui un giudice può tener conto la condizione economica in cui versa il singolo condomino. Bisogna infatti calibrare l’entità notevole rispetto agli altri lavori di intervento solitamente richiesti, e non sulla spesa (eccessiva o meno) che ricade su ogni proprietario.

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Consiglio di condominio: cos’è e quali funzioni ha?

Oltre all’amministratore e all’assemblea, esiste un altro organo che concorre nella gestione delle pratiche e delle problematiche condominiali. Si tratta del Consiglio di condominio, preesistente per prassi e poi istituito ufficialmente anche dalla Riforma del Condominio del 2012. Si tratta di un organo con funzioni consultive e di controllo che i condomini possono decidere di istituire (non è quindi obbligatorio). La sua nomina è frequente nei casi di plessi condominiali particolarmente estesi, in ausilio all’operato delle altre due figure, obbligatorie per legge. Vediamone meglio le funzioni.

In particolare, è l’articolo 1130 del Codice Civile su situazione patrimoniale e fondi del condominio a istituire questa figura:

L’assemblea può anche nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condominiocomposto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo.

Il ruolo del Consiglio di condominio ha quindi una doppia funzione. Da un lato, quella di coadiuvare l’amministratore nello svolgimento dei suoi incarichi, fornendo pareri e supporto. Un ausilio che si rivela particolarmente utile proprio quando si tratta di gestire fondi ingenti e procedure complesse, come avviene nei condomini più numerosi.

Dall’altro, il Consiglio di condominio esercita un ruolo di controllo dell’operato dell’amministratore. Trattandosi di un organo consultivo, i singoli condomini possono appellarsi al suo intervento solo per esprimere critiche, pareri e dubbi nei confronti della gestione della cosa pubblica condominiale.

A tal proposito è bene ricordare che il controllo della trasparenza di spese e gestione condominiale non coincide con il potere di autorizzare ripartizioni, interventi o misure di natura fiscale e tributaria. Il vaglio preventivo del Consiglio deve in ogni caso essere seguito dall’autorizzazione degli organi competenti, quali l’amministratore o l’assemblea. Ne deriva che in nessun caso l’amministratore è vincolato a rispettare i pareri forniti dal Consiglio.

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Nomina e durata dell’incarico del Consiglio di condominio

Per quanto resta in carica un Consiglio di condominio? La durata dell’incarico di questo organo consultivo e di controllo viene stabilita direttamente nel momento della sua nomina. Essa, può coincidere con la carica dell’amministratore di condominio o essere a tempo indeterminato. Anche il numero di componenti può essere stabilito dal’assemblea, con il solo vincolo di almeno 3 membri per 12 unità immobiliari.

Riguardo invece alla sua nomina, si assume che la sua istituzione venga adottata secondo i criteri del secondo comma dell’articolo 1136. Quindi, con l’adozione della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.

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Maggioranze assembleari in condominio

Un condominio è un piccolo modello democratico a tutti gli effetti. Le decisioni riguardanti la collettività e i beni a uso comune del condominio vengono infatti prese all’interno di un’assemblea che si riunisce periodicamente e mette ai voti proposte, progetti e richieste. Non solo. In questo contesto vengono anche stabilite le ripartizioni delle spese di ordinaria amministrazione e dei lavori di manutenzione, riparazione, innovazione. È importante quindi sapere quali sono le maggioranze assembleari in condominio richieste dalla legge per l’approvazione o meno di un provvedimento.

Oltre alla maggioranza assembleare, esistono innanzitutto due requisiti fondamentali affinché una delibera possa essere approvata. Innanzitutto, la convocazione di tutti gli aventi diritto all’assemblea. In secondo luogo, la presenza di un numero legale sufficiente a ritenere l’assemblea e quindi le sue delibere valide. Questo numero legale è stabilito sulla base delle tabelle millesimali del condominio, che indicano quale maggioranza specifica sia richiesta in ogni contesto.

La legge prevede inoltre la possibilità di fare due convocazioni, richiedendo due maggioranze diverse. Solitamente la votazione finale avviene nella seconda convocazione, proprio perché in questo caso si richiedono quorum più bassi. Essa deve, in ogni caso, tenersi a distanza di non più di 10 giorni dalla prima.

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Per le approvazioni ordinarie, queste sono le maggioranze assembleari richieste:

  • In prima convocazione una deliberazione è valida se approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.
  • In seconda convocazione il quorum si riduce. L’approvazione richiede un numero di voti che rappresenti un terzo degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio.

Maggioranze assembleari straordinarie

Vi sono poi alcuni casi in cui le maggioranze sopra specificate non bastano. È la questione, ad esempio, della votazione di un’innovazione condominiale. In questo caso, l’articolo 1136 richiede «un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio». Trattandosi di interventi che vanno a mutare la natura funzionale o materiale di un bene comune, questa maggioranza assembleare è necessaria anche in seconda convocazione.

Per quanto riguarda la nomina e la revoca dell’amministratore, la maggioranza assembleare di condominio richiesta è della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio (500/1000). E se la nomina e la revoca slittano all’approvazione in seconda convocazione? La giurisprudenza si è divisa su questa problematica. A far chiarezza, una sentenza del Tribunale di Roma pubblicata il 3 luglio 2019. Qui si legge che, anche in seconda convocazione, la maggioranza deve essere quella qualificata della metà più uno degli intervenuti e di almeno la metà del valore dell’edificio.

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Diffamazione in assemblea condominiale?

La convivenza tra condomini non è sempre rosea. Spesso infatti sentiamo parlare di dispute, litigi e contesi fra dirimpettai che, non trovando una soluzione pacifica nel dialogo, si ritrovano a discutere in un’aula di tribunale. Ancora più spiacevole il caso in cui lo scontro avvenga direttamente nell’assemblea condominiale. Se, in questo contesto, una parte si sentisse offesa da un altro condomino, potremmo parlare di diffamazione in assemblea condominiale? Vediamo cosa prevede la legge.

Il limite principale di cui dobbiamo tenere conto per capire quando ricorrere a un giudice o meno è la differenza fra diffamazione e diritto di critica. Se infatti da un lato la funzione dell’assemblea condominiale è proprio quella di permettere il confronto fra condomini, e quindi anche l’espressone di legittime critiche, dall’altro è molto facile sfociare nel reato di diffamazione.

Quando si parla di diffamazione in condominio?

Secondo l’articolo 595 del Codice Penale, commette reato di diffamazione chi:

comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione.

Per definire quando un commento espresso in assemblea condominiale sia diffamazione e quando invece sia legittima critica dobbiamo rifarci all’interpretazione della Corte Suprema della norma. In particolare, non si parla diffamazione quando sussistono tre situazioni:

  • L’interesse collettivo della critica – le affermazioni non devono riguardare condotte personali (ad esempio commenti su vita privata o altri fatti irrilevanti ai fini della vita comune condominiale). Se affermiamo che qualcuno «ha casa sporca» in sua assenza, lo stiamo diffamando.
  • La giusta continenza dell’espressione – va considerato quindi anche il linguaggio utilizzato. Dato il contesto informale dell’assemblea condominiale, è quindi possibile tollerare anche linguaggi coloriti, sempre se questi sono proporzionati al tono della discussione e non sfociano in offese ingiustificate.
  • Veridicità – ultimo, ma non meno importante criterio per stabilire se possiamo denunciare un condomino per diffamazione o se invece si tratta di un legittimo esercizio di critica. Se infatti la frase in questione rispecchia il vero o è comprovabile come realtà dei fatti, non possiamo parlare di diffamazione.
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Attenzione; queste tre condizioni devono ricorrere contemporaneamente. Si pensi ad esempio al caso di diffamazione condominiale in cui un soggetto venga interdetto dall’utilizzo di servizi comuni in quanto «cattivo pagatore». Anche se l’affermazione corrisponde al vero, si parla comunque di diffamazione se l’interdizione avviene tramite un cartello affisso pubblicamente. In questo caso, verrebbe infatti meno l’interesse collettivo, poiché sarebbe inutile e diffamatorio comunicare anche a terzi estranei al condominio la morosità di un singolo.

Reato di ingiuria

Diverso invece il caso di ingiuria. A distinguere i due distinti reati di ingiuria e diffamazione è la presenza o meno della persona offesa. Se le frasi offensive sono pronunciate in presenza della parte lesa, allora si tratta di ingiuria. Se invece l’offesa viene pronunciata dinnanzi ad almeno due persone e in assenza del soggetto interessato, il reato in questione è la diffamazione.

Diffamazione in assemblea condominiale: quali pene?

Ricordiamo, infine, le pene previste dal Codice Penale per il reato di diffamazione:

  • Reclusione fino a un anno o multa fino a 1032 euro.
  • Doppia pena (fino a due anni o multa di 2065 euro) se l’offesa «consiste nell’attribuzione di un fatto determinato».
  • Pena da sei mesi a tre anni o multa non inferiore a 516 se l’offesa viene «recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità».
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Deleghe per l’assemblea condominiale

Quante volte vi è capitato di non poter partecipare a un’assemblea di condominio perché convocata mentre siete via o nei vostri orari lavorativi? Data l’importanza di queste riunioni, la legge ammette l’impiego di deleghe per l’assemblea condominiale.

Anche se molti ritengono una scocciatura o una perdita di tempo queste riunioni, in realtà è importante partecipare alle assemblee condominiali anche se non si hanno particolari problematiche da presentare. In questi incontri si espongono infatti eventuali reclami e lamentele degli altri vicini – che potrebbero riguardarci. Viene inoltre discussa anche la redistribuzione delle spese.

Mediante queste deleghe è possibile partecipare all’assemblea di condominio a mezzo di un’altra persona, mandando ad esempio il nostro dirimpettaio in nostra rappresentanza.

Deleghe per l’assemblea condominiale: chi può riceverle?

La legge non pone limiti per l’affidamento della propria rappresentanza tramite delega a un soggetto terzo. Possiamo infatti delegare un nostro inquilino, un vicino presente nello stesso palazzo o perfino un esterno al condominio. In alcuni casi, dei limiti alla delega – comunque sempre permessa – sono presenti nei regolamenti condominiali.

È permesso anche che una stessa persona rappresenti più residenti del condominio. Questo, a patto che essa non abbia la delega di più di un quinto dei condomini nell’assemblea, quando i condomini totali sono più di venti. È vietato invece delegare come nostro rappresentante a un’assemblea l’amministratore del condominio stesso. Il delegato non può inoltre delegare a sua volta la rappresentanza del delegante.

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Come si presenta una delega condominiale?

La delega deve essere necessariamente presentata all’amministratore di condominio e all’assemblea prima dell’inizio della riunione, tramite forma scritta da allegare poi al libro verbale. Posto che esistono dei modelli preimpostati di delega, che gli amministratori più aggiornati inviano insieme alla convocazione, la legge non richiede dei requisiti specifici per ritenere questo atto valido.

In generale, è possibile utilizzare deleghe generiche, che conferiscono al rappresentante il diritto di partecipare all’assemblea e votare come meglio crede per le questioni in ballo. Preferibile, per evitare fraintendimenti, l’uso di deleghe specifiche nelle quali il condomino impossibilitato a partecipare alla discussione esprime le sue volontà di voto sui punti all’ordine del giorno.