Pixabay

Scioglimento del condominio: quando è possibile?

Litigi, impossibilità di accordo o sopraggiunte necessità possono portare i proprietari di immobili di uno stesso edificio a voler richiedere lo scioglimento del condominio. La costituzione di una comunione applicata a modello condominiale non è infatti obbligatoria per legge, ma corrisponde più a una situazione di fatto. Basti pensare che, per costituire un condominio, è sufficiente che in un  edificio coesistano due proprietari distinti che condividano in comproprietà delle parti comuni. Come è possibile quindi richiedere lo scioglimento del proprio condominio?

Poiché il condominio nasce come situazione di fatto per gestire in modo equo la comproprietà di parti comuni, è evidente che questa condizione rappresenti anche un limite invalicabile per il suo scioglimento. Ciò significa che è impossibile richiedere lo scioglimento del condominio se l’edificio non presenta autonomia strutturale. È necessario quindi che le parti dell’edificio siano strutturalmente autonome affinché i singoli condomini possano rendersi totalmente indipendenti anche a livello amministrativo.

La giurisprudenza delle sentenze della Corte di Cassazione ha stabilito che a impedire lo scioglimento di un condominio non è tanto la permanenza di beni ad uso comune – quali quelli dell’articolo 1117 del Codice Civile. La questione infatti non è tanto relativa all’amministrazione di questi beni. Il prerequisito fondamentale è che il complesso immobiliare sia separabile senza profondi interventi di ristrutturazione.

La motivazione di questo limite sta anche nella tutela della sfera giuridica di altri condomini proprietari. In mancanza di completa autonomia strutturale di ogni immobile, il diritto di proprietà degli altri potrebbe infatti subire limitazioni o servitù, in assenza di una collettività amministrativa condominiale unica.

Pixabay

Scioglimento del condominio: chi può richiederlo?

Lo scioglimento di un condominio in unità separate o in più condomini distinti, non sempre permette una separazione priva di interferenze e sovrapposizioni. A quel punto, sarebbe necessario mettere in atto procedure complesse e potenzialmente svantaggiose per alcuni condomini, più di quanto non lo sia il mantenimento dello status quo. Ecco perché la legge dispone che sia necessario un quorum per fare richiesta di scioglimento.

In particolare, si richiede una delibera dell’assemblea condominiale approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi (secondo l’art. 1136). In alternativa, l’autorità giudiziaria può disporre lo scioglimento del condominio su domanda di almeno un terzo dei comproprietari della parte di edificio interessata alla separazione.

Pixabay

Regolamento condominiale: assembleare o contrattuale? Le differenze

Il condominio è un vero e proprio microcosmo, nel quale diversi soggetti convivono condividendo determinati spazi comuni e rispettando delle leggi proprie. Parliamo del regolamento condominiale, il codice normativo che stabilisce le regole del vivere comune che ogni inquilino dello stabile deve rispettare. Se chiunque abiti in un condominio ha avuto a che fare, prima o poi, con il suo regolamento, non tutti forse sanno che ne esistono diversi tipi. Nello specifico, occorre distinguere fra regolamento di condominio contrattuale e assembleare. Quali sono le differenze e perché è così importante conoscerne la distinzione?

Regolamento di condominio: cos’è e chi può modificarlo

Innanzitutto, qualche nozione di base riguardo questo codice normativo. Il regolamento di condominio è obbligatorio per legge solo quando il numero di condomini di un edificio è superiore alle 10 unità. Non è quindi sempre richiesto quando viene costituito un condominio. Esso, come l’articolo 1138 del Codice Civile specifica, contiene

le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.

Tutti i condomini hanno diritto a sia a prendere l’iniziativa per redigere un regolamento, sia a richiederne una revisione. Questo, fermo restando il divieto di ledere i diritti dei condomini che risultino dagli atti di acquisto delle proprietà immobili e dalle convenzioni.

È proprio a tal proposito che la giurisprudenza ha elaborato due diverse tipologie di regolamento condominiale: uno contrattuale e uno assembleare. La differenza fra i due ha a che fare con i voti necessari alla loro approvazione, ed è quindi importante conoscerla per poter difendere i propri diritti nell’assemblea condominiale.

Pixabay

Regolamento condominiale assembleare

È il regolamento “ordinario” descritto dall’articolo 1138 del Codice Civile. La legge vieta a questo regolamento di limitare i diritti di proprietà dei condomini rispetto ai loro immobili o all’utilizzo delle parti comuni. L’approvazione del regolamento assembleare (o di una sua modifica) richiede il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea, che corrisponda ad almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.

Regolamento condominiale contrattuale

Questo tipo di regolamento è una sorta di deroga a quello assembleare. In alcuni casi, infatti, si richiede che un condomino venga in qualche modo limitato nel suo diritto di proprietà. In altri, la limitazione riguarda l’utilizzo delle parti comuni e può portare a una condizione di disparità, in cui un condomino abbia più diritti di un altro.

Ad esempio, deve per forza avere natura contrattuale un regolamento che impedisca ai condomini di usufruire di un’area comune alla quale avrebbero diritto. Se un condominio decide di adibire un cortile a giardino e vuole quindi impedire l’utilizzo dell’area come parcheggio per le auto, è necessario l’inserimento nel regolamento di una norma contrattuale.

La differenza principale fra i due consiste nel sistema di votazione. Nel caso di regolamento ordinario, come detto, si richiede la maggioranza degli intervenuti. Se invece si va a limitare un diritto di proprietà dei singoli (come ad esempio nel caso del parcheggio), e quindi si parla di regolamento contrattuale, è richiesta l’unanimità.

Non si tratta, quindi, di una semplice distinzione legale. Il regolamento contrattuale ha il potere di “privare” i condomini di alcuni diritti, naturalmente giustificato dal raggiungimento di un bene superiore e collettivo. È quindi importante saper riconoscere quando sia necessario derogare al regolamento ordinario, e in quali casi si debba richiedere l’unanimità per modificare le norme assembleari.

Pixabay

Fondo cassa condominiale. Cos’è?

Capita che, all’interno di un condominio, siano previste delle spese per lavori di manutenzione o ristrutturazione. La gestione di soldi e spese comuni è uno dei tasselli più delicati della vita condominiale, e forse proprio per questo la legge ha fissato nei termini alcuni limiti. Questo, per tutelare l’intera collettività condominiale nel caso in cui sussistano morosità, indebitamenti o inadempimenti da parte dell’amministratore. Nello specifico, l’articolo 1135 del Codice Civile prevede l’istituto del fondo cassa condominiale. Cos’è e come funziona?

Cos’è un fondo cassa e come funziona?

Il fondo condominiale è uno strumento con il quale il condominio raccoglie una somma di denaro vincolandola a uno specifico progetto. Il vincolo è dunque la prima condizione di questo fondo cassa, che non può essere utilizzato al di fuori dello scopo per cui viene costituito. Il fondo, come sottolinea il  Codice Civile, va istituito obbligatoriamente in caso di opere di “manutenzione straordinaria e innovazioni”.

L’obbligatorietà, introdotta dalla Riforma del condominio, è una garanzia doppia. In primis, nei confronti dei condomini più “diligenti”, che si tutelano in questo modo dagli inquilini morosi o debitori. In secondo luogo, per le imprese terze che possono impegnarsi a realizzare un’opera o un servizio a fronte di una garanzia legale.

Una volta esaurite le spese, un eventuale avanzo di denaro rimarrebbe comunque “proprietà” della collettività dei condomini, che possono a questo punto decidere se ridistribuire la somma avanzata o se destinarla a nuove opere comuni. Nel caso invece in cui i lavori richiedano pagamenti progressivi in funzione del loro avanzamento, è possibile costituire il fondo «in relazione ai singoli pagamenti dovuti».

Va da sé che il fondo cassa condominiale debba essere puntualmente rendicontato nel resoconto annuale delle spese del palazzo. Questo, per permetterne la verifica insieme a tutte le altre voci (in entrata e in uscita) relative agli esborsi condominiali.

Pixabay

Fondo condominiale: chi lo gestisce

L’istituzione del fondo condominiale spetta all’assemblea dei condomini. Lo stesso amministratore deve attenersi rigidamente alla destinazione prevista per questi fondi. Anche in caso di lavori di manutenzione straordinaria, l’amministratore condominiale dovrà prima rivolgersi e chiedere parere all’assemblea.

Per quanto riguarda la maggioranza richiesta nell’assemblea per votare la destinazione di un fondo cassa condominiale, essa varia a seconda che i lavori. Se questi riguardano opere di ordinaria amministrazione è sufficiente la maggioranza degli intervenuti (purché corrisponda a un terzo dei millesimi del valore del condominio).

Se invece gli interventi sono straordinari, si richiede la maggioranza dei partecipanti totali all’assemblea condominiale (e la metà dei millesimi). Allo stesso modo, la Cassazione ha stabilito che per la realizzazione di interventi non ancora specificati i condomini possono ripartire le spese del fondo cassa, in via provvisoria, in base ai millesimi di proprietà.

Pexels

Tettoia in condominio: quali permessi?

I fortunati che si trovano a godere di un ampio balcone nella loro abitazione condominiale si saranno, almeno una volta, chiesti: posso installare una tettoia in condominio? Quali permessi sono necessari? Sebbene montate su aree di proprietà privata del singolo, le coperture potrebbero urtare la sensibilità dei vicini. Una tettoia può pregiudicare l’integrità dell’intero palazzo, fungendo da ampliamento volumetrico dell’immobile, o la sua armonia estetica.

Prima di installare una tettoia in condominio bisogna quindi informarsi su cosa dice la legge. Anche se si tratta di un intervento in una zona di proprietà esclusiva del singolo, esistono limiti giuridici e specifiche procedure di autorizzazione per lavori. Una copertura in legno potrebbe infatti modificare l’assetto del condominio nel suo complesso, anche solo di facciata esterna.

Tettoie condominiali: cosa dice la legge

La prima nozione giuridica di cui tenere conto è l’articolo 1127 del Codice Civile. Secondo questa norma, i condomini possono opporsi alla sopraelevazione, ossia alla costruzione di una copertura in legno o tettoia, se questa

pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio ovvero diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti.

Prima di avviare l’installazione di una tettoria o di una copertura in legno in condominio, il proprietario dell’immobile deve quindi presentare e far approvare il progetto di costruzione all’assemblea condominiale.

Se la tettoia incide sull’assetto edilizio del condominio perché montata in pianta stabile o perché incide sul volume dell’immobile con le coperture laterali, l’autorizzazione va richiesta anche al Comune. Se invece la tettoia è rimovibile non è necessario richiedere il permesso.

Pixabay

In tutto ciò, è bene anche considerare il proprio regolamento condominiale. Essi possono permette la costruzione di tettoie, vietarlo espressamente o semplicemente richiedere maggioranze specifiche per l’approvazione dell’installazione di coperture.

L’amministrazione condominiale con l’assemblea riunita dovrà quindi valuare se la tettoia o la copertura in legno danneggino l’aspetto (come indicato da CC) o il decoro architettonico. Si tratta di due criteri distinti sulla cui definizione la giurisprudenza lavora da anni, che nel complesso indicano l’armonia e l’integrità esterna di un condominio.

Nel caso quindi il proprietario di un immobile all’interno di un condominio costruisca, pur sui propri spazi, una tettoia non voluta dagli altri condomini, questi potranno chiedere un risarcimento per lesione al decoro o all’aspetto architettonico.

balcone

Balconi in condominio: i tipi e le spese

Il balcone è una delle prime cose che qualunque acquirente intenzionato ad acquisire un immobile ricerca nella propria futura casa. Non tutti forse sanno che, se l’appartamento fa parte di un condominio, la presenza o meno e, soprattutto, la tipologia di balcone possono determinare anche una serie di conseguenze a livello legale e di spese. Proprio perché spesso le terrazze sono motivo di lite fra condomini, è bene quindi fare chiarezza fra i vari tipi di balconi in condominio e sulle relative spese.

Il conteso principale che insorge sui balconi riguarda le spese di manutenzione e riparazione. I balconi infatti non rientrano esplicitamente fra le parti comuni del condominio, elencate all’articolo 1117 del Codice Civile. Le regole da seguire sono quindi derivabili dai pareri espressi dalla giurisprudenza, che più volte in passato si è trovata a dirimere litigi proprio a causa dei balconi in condominio.

Pixabay

La prima distinzione da fare per capire come amministrare le spese di una terrazza in condominio è fra balconi aggettanti e balconi incassati.

Balcone aggettante

Si tratta della categoria più comune di balconi sporgenti. Questi balconi si protendono nel vuoto e sono agganciati unicamente al solaio interno (è quindi dotato di autonomia statica). Non svolgendo alcuna funzione di copertura per l’intero condominio, i balconi aggettanti sono considerati come dei prolungamenti dell’unità abitativa.

Le spese di manutenzione e riparazione sono dunque tutte a carico del proprietario dell’immobile.  Unica eccezione è costituita dalla presenza di decorazioni. In tal caso, le spese di riparazione e manutenzione sono ripartite fra tutti i condomini, poiché «i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore» contribuiscono a rendere «esteticamente gradevole» l’intero condominio (sentenza Corte Cass. n. 27083 del 25 ottobre 2018).

Balcone incassato

I balconi incassati sono invece strutture che non sporgono rispetto al perimetro esterno dell’edificio. Sono solitamente chiusi su tre (a U) o su due lati (a L), e rientrano in questa tipologia i balconi di condominio a castello e a loggia. Non essendo dotati di autonomia statica, in questi balconi la ripartizione delle spese si calcola diversamente rispetto a quelli aggettanti.

In questo caso, si considera la parte frontale del balcone, in quanto parte integrante del perimetro murale del condominio, di proprietà comune: è prevista la ripartizione delle spese. La soletta del balcone invece (la parte inferiore sottostante il pavimento) risulta una comproprietà dei due inquilini al piano superiore e al piano inferiore. Le spese di manutenzione spettano dunque:

  • A entrambi i condomini per il solaio;
  • Al condomino del piano superiore per il pavimento;
  • Al condomino del piano inferiore per intonaco ed eventuale decorazione o tinta del soffitto.

Una tipologia particolarmente comune di balcone in condominio è la terrazza a castello. Si tratta di un balcone incassato che, pur non sporgendo, è compreso nel perimetro esterno dell’edificio. Anche in questo caso, le spese per il parapetto frontale spettano a tutto il condominio, mentre le altre sono ripartite fra inquilino superiore e inferiore come per gli aggettanti.

Pixabay

Come costituire un condominio?

L’esistenza di un condominio è qualcosa che tendiamo a dare per scontata. Affittando un’appartamento o acquistando un immobile ci troviamo solitamente in un contesto in cui la macchina di gestione centralizzato del condominio esiste e funziona già. Ma come nasce? E come costituire un condominio dove esso non sia già presente?

Per capire come costituire un condominio dobbiamo prima chiederci: cos’è un condominio? Il codice civile non ci fornisce una definizione specifica di questo istituto, che presenta caratteristiche ibride. Il condominio infatti, disciplinato nel Libro del CC relativo alla proprietà e, in particolare, nella sezione relativa alla comunione, è un bene immobile nel quale convivono parti di proprietà comune e parti di proprietà esclusiva.

Pixabay

Fatta questa precisazione possiamo arrivare subito al dunque. Per costituire un condominio non servono atti specifici, richieste o comunicazioni ufficiali. Il condominio si costituisce in automatico come situazione di fatto. Presupposto perché questo avvenga è il semplice fatto che all’interno di un immobile in cui risultino due proprietari diversi esistano anche parti comuni ad entrambi.

Costituire un condominio: qualche esempio

Nel momento in cui, ad esempio, un costruttore vende una singola unità abitativa di un palazzo, si va a determinare una situazione di comproprietà. Il costruttore stesso e l’acquirente hanno in questo caso due proprietà esclusive che condividono però alcuni spazi per gli accessi (scale, portone, ascensore etc) e il suolo comune. Non è invece necessaria la presenza di locali comuni. Nessun atto costitutivo dunque è necessario: il condominio si costituisce di fatto.

Facendo un altro esempio, una casa a due piani che venga divisa fra due proprietari distinti si costituisce in automatico come condominio, dato che entrambe le proprietà si ergono sullo stesso suolo e condividono magari lo stesso portone d’ingresso. Da questo momento, all’edificio si applicheranno le norme del Codice Civile dedicate al condominio. Stessa situazione nel caso in cui sia un testamento a dividere una stessa proprietà fra diversi eredi.

Costituire un condominio: quando servono un amministratore e un regolamento?

Non in tutti i casi però è necessario dotarsi di un amministratore di condominio. La legge stabilisce infatti in quali situazioni la nomina di un amministratore di condominio sia obbligatoria e quando invece se ne possa fare a meno. Questo, posto che l’amministrazione dei beni comuni del condominio andrà comunque portata avanti in base al regolamento giuridico in vigore. Allo stesso modo, i condomini non sono obbligati a dotarsi di un regolamento di condominio, a meno che nello stabile non risultino residenti più di 10 condomini.

Pixabay

Aggiornamento degli amministratori di condominio

L’amministratore di condominio svolge una serie di importanti funzioni nella gestione di pratiche e nella risoluzione di conflitti fra i residenti dello stabile. La legge, in seguito alla cosiddetta Riforma dei Condomini, stabilisce pertanto una serie di criteri per la nomina di questi “custodi del palazzo”, e impone anche l’obbligo di aggiornamento degli amministratori di condominio.

Nello specifico, è il regolamento attuativo del DM 140/2014 a stabilire che l’amministratore di condominio è obbligato a sostenere una serie di corsi di aggiornamento professionale. Questo, in ragione dei compiti sempre più delicati che questa figura svolge, che richiedono anche una serie di competenze tecniche in materia giuridica.

Il legislatore ha disposto che l’amministratore di condominio è tenuto a svolgere almeno 15 ore di formazione/aggiornamento nell’arco di ogni anno. Una formazione periodica che, se non sostenuta dall’amministratore, può portare alla revoca della sua nomina per mezzo di segnalazione di almeno uno dei condomini all’Autorità Giudiziaria (la cessazione non è automatica).

Naturalmente, la frequenza delle ore di formazione è nulla se l’aggiornamento dell’amministratore di condominio non viene certificato con il rilascio di un attestato ufficiale. Inoltre, la giurisprudenza è divisa sull’interpretazione del periodo cui fa riferimento la legge, anche se si tende a considerare come metro temporale l’anno solare decorrente a partire dall’entrata in vigore della legge, dunque dal 9 settembre 2014.

Si considererebbe quindi che l’obbligo per l’aggiornamento dell’amministratore di condominio debba essere perfezionato ogni anno entro l’8 ottobre. Di questo parere anche il Tribunale di Padova, che si è di recente espresso con la sentenza 818 del 24 marzo 2017.

Pixabay

Corsi di aggiornamento degli amministratori di condominio: cosa prevedono?

Il DM 140/2014 dispone, al secondo comma dell’articolo 5, che il corso di aggiornamento degli amministratori di condominio:

riguarda elementi in materia di amministrazione condominiale, in relazione all’evoluzione normativa, giurisprudenziale e alla risoluzione di casi teorico-pratici.

I corsi di aggiornamento vertono innanzitutto sulle evoluzioni della normativa vigente in materia condominiale, compresa una vasta serie di argomenti trasversali e di questioni contrattuali. In analisi, oltre alla legge, anche le varie interpretazioni della giurisprudenza in merito, con la presentazione e lo studio di casi specifici.

I corsi di aggiornamento possono anche riguardare materie specifiche. Fra queste, la sicurezza del condominio, la manutenzione dello stabile, la gestione di dipendenti del palazzo (ad esempio, in merito alla figura del portiere).

Infine, ma non per importanza, la risoluzione di conflitti e dissapori fra condomini. Questi corsi di aggiornamento prevedono spesso l’introduzione a case studies con indicazioni su tecniche comunicative e modalità espressive. Questo, per permettere all’amministratore di condominio di ridurre al minimo le tensioni e di trasformare gli scontri in critiche costruttive attraverso una comunicazione consapevole ed efficace.

Le ore di frequenza ai corsi di aggiornamento degli amministratori di condominio possono essere svolte in modalità telematica. L’esame finale per ricevere l’attestato va invece sostenuto in presenza.

pannello

Pannelli solari in condominio

L’installazione di pannelli solari è una scelta che sempre più proprietari di immobili e inquilini stanno valutando. Tra le principali motivazioni il risparmio garantito da questo investimento. Se tuttavia a voler installare queste fonti di energia rinnovabile non i proprietari di stabili privati la questione può sembrare più complessa. È possibile installare pannelli solari in condominio?

Il primo punto da considerare è che, se l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici viene indirizzata al consumo di tutto lo stabile, a trarne un grande risparmio sarebbe l’intero condominio. I pannelli solari sono sempre più impiegati per supplire al consumo energetico di ascensori, luci delle scale, cancelli, telecamere e dispositivi automatizzati. Per far ciò, è necessario prevedere un impianto centralizzato.

Pannelli solari: cosa dice la legge

Se si intende installare un pannello solare a utilizzo esclusivo del singolo, non è necessario richiedere l’approvazione degli altri condomini, come previsto dall’art. 1122 bis 2° comma del Codice Civile introdotto dalla Riforma dei Condomini che afferma la possibilità di

Installazione di impianti di produzione di energia di fonti rinnovabili desinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato.

Questo, a meno che i lavori di installazione dei pannelli solari in condominio non pregiudichino anche zone condivise, con modificazioni di parti comuni. In ogni caso, l’assemblea può limitarsi a indicare le zone interessate e la modalità dei lavori. I condomini non possono invece vietare l’installazione di pannelli solari in zone comuni, anche se a uso privato.

Se invece i lavori di installazione interessano in modo esclusivo la nostra proprietà, l’unica autorizzazione che siamo tenuti a richiedere è quella comunale, salvo la comunicazione all’assemblea per evitare di recare disturbo agli altri condomini.

Pannelli solari con impianto centralizzato

Se invece intendiamo realizzare un impianto centralizzato alimentato a pannelli solari nel proprio condominio, la prima cosa da fare è rivolgersi direttamente all’assemblea.

Fatta esplicita richiesta scritta all’amministratore di condominio, quest’ultimo è tenuto a convocare l’assemblea condominiale entro 30 giorni. All’interno di questo consesso, è necessario richiedere il consenso della maggioranza dei condomini, purché rappresentino metà del valore millesimale dell’edificio.

Se si raggiunge la maggioranza, i voti favorevoli all’installazione di pannelli solari in condominio saranno i soli a dividere le spese, ma anche gli unici a usufruire degli incentivi fiscali.

Pixabay

Fotovoltaico: quanto si risparmia?

I pannelli solari condominiali, specialmente quelli centralizzati e dunque a disposizione di tutti gli inquilini, permettono di ammortizzare di molto i costi dell’energia elettrica. A trarne beneficio come detto sarà l’intero condominio, con un autoconsumo immediato e in loco.

Il vantaggio dei pannelli fotovoltaici sta anche nelle detrazioni fiscali previste dalla legge e rinnovate anche per il 2020. La normativa del Bonus Fotovoltaico prevede infatti quanti abbiano concorso all’installazione dei pannelli solari in condominio hanno diritto a un rimborso del 50% della spesa nell’arco di 10 anni mediante detrazioni Irpef.

grill

Barbecue in condominio?

Con l’arrivo della bella stagione, ci siamo imbattuti tutti nella proposta di qualche amico o familiare che suggeriva: grigliata? In mancanza di spazi verdi, giardini privati o di apposite aree nelle vicinanze, qualcuno potrebbe pensare a una soluzione “casalinga” per il problema, allestendo griglie e carbone in balconi e terrazze. Ma è possibile fare un barbecue in condominio? La risposta non è così scontata, e passa, come ogni questione che coinvolge i condomini dello stesso stabile, per il rigoroso rispetto delle regole esistenti.

Per godersi il proprio barbecue in balcone non è sufficiente infatti munirsi di buona carne. È importante sapere cosa dice la legge in merito alle grigliate in condominio per evitare spiacevoli disguidi con i propri vicini e limitare al minimo il disagio provocato da fumi, odori e rumori.

Barbecue in condominio: cosa dice la legge?

Il legislatore ha deciso in questo caso di lasciare dei margini interpretativi e di libertà ai condomini, senza emettere divieti espliciti per il barbecue ma indicandoci alcune doverose norme comportamentali che dobbiamo conoscere se intendiamo fare una grigliata in balcone. Posta quindi l’assenza di un divieto (si può quindi fare un barbecue in condominio), dobbiamo riferirci all’articolo 844 del Codice Civile per arrivare al fulcro centrale della questione.

L’articolo riguarda le cosiddette immissioni moleste e recita così:

Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

È di tollerabilità dunque che si parla quando vogliamo capire se è possibile fare un barbecue sul nostro terrazzo. Come in molte questioni condominiali, anche per il barbecue si deve rimanere nel labile confine fra il rispetto della quiete altrui e la tolleranza di rumori o esalazioni dei propri vicini. Il limite di sopportazione è un concetto difficile da applicare in modo univoco e universalmente riconosciuto. Ognuno in un condominio agisce secondo i propri standard e seguendo i propri stili di vita. La legge ammette dunque in questo modo un certo grado di flessibilità che dipende, come detto, dagli abitanti del condominio coinvolti.

Come evitare litigi?

Come comportarsi quindi? I fattori da prendere in considerazione se vogliamo fare un barbecue all’interno di un condominio sono molti.

  • Innanzitutto la frequenza. Se si tratta di occasioni saltuarie o, addirittura, di una tantum, è più difficile che un condomino possa manifestare delle rimostranze dinanzi a un giudice.
  • Fondamentale poi definire la portata delle esalazioni emesse nel corso del barbecue. Se il fumo della griglia non si incanala negli spazi condivisi e non invade in modo continuativo gli appartamenti adiacenti, l’uso del barbecue in condominio è consentito.
  • Da tenere in considerazione, anche in questo caso, i rumori. Il barbecue è infatti spesso una scusa per condividere la propria casa con molti ospiti. Il rischio di proteste per schiamazzi o rumori molesti da parte dei vicini rimane il più concreto rispetto alle lamentele per il solo fumo della griglia.

Tutt’altro paio di maniche se invece, come spesso accade, sono i regolamenti condominiali stessi a vietare il barbecue all’interno dello stabile. In questo caso, la norma specifica integra quella del CC e costituisce un pretesto di lamentela per i vicini infastiditi dal fumo del barbecue. In questo caso, non resta che cercare un’alternativa nel buon senso. Se, ad esempio, ad essere vietati dal regolamento sono i fumi della griglia, basta munirsi di barbecue con coperchio o di grill elettrico. La soluzione, spesso, è ancora più immediata. Potrebbe bastare sollevare la questione nella propria assemblea di condominio per conoscere preventivamente il parere dei vicini, anziché scoprirlo davanti a un giudice.

Problemi-Con-I-Vostri-Gatti-

Gatti in condominio? La sentenza storica

La sentenza nasce da un diverbio di coppia residente in un condominio di lusso in via Mar Nero e via Nikolajewka, nato nel 2006.

La coppia in questione accusava i gatti, presenti in zona ormai da anni, di portare i topi nelle cantine del condominio, e di disturbare i condomini con il loro miagolio. I gatti erano anche accusati di provocare cattivi odori all’interno del cortile. Per questo, la coppia chiese non solo l’allontanamento dei gatti, ma anche un risarcimento morale a favore dei 500 abitanti del super condominio. Al fianco dei cosiddetti gattari, coloro che si prendevano cura dei mici di strada, è intervenuta a suo tempo anche l’AIDA.

Arriva così la storica sentenza, marchiata poi con il numero 12370/09. La Cassazione ha infine attribuito la ragione alle colonie feline nel condominio e ai loro tutori in seguito a un KO tecnico in virtù della legge 14 agosto 1991, n.281, ovvero la legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo.

La dottoressa Bocconcello ha sancito che i gatti sono “animali sociali che si muovono liberamente” , sottolineando che “nessuna norma di legge né nazionale né regionale proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat”. Ergo

i gatti che stazionano e/o vengono alimentati nelle zone condominiali non possono essere allontanati o catturati per nessun motivo.

Del resto, stando all’articolo 2, comma 8 della Legge n° 281 è vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà. E privarli di cibo, cure e di un luogo sicuro non sarebbe forse maltrattamento?

Questa sentenza sancisce una piccola vittoria per tutti gli amanti dei gatti e per la tutela per legge degli animali, anche in un condominio.