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Manutenzione del balcone incassato: chi paga?

Oggi parliamo di balconi incassati. Abbiamo già visto che esistono vari tipi di balcone, a ciascuno dei quali corrisponde una diversa suddivisione delle spese. Su questo, incide ovviamente anche la natura dell’intervento (se di manutenzione ordinaria o straordinaria) e la parte del balcone interessata. Tutti fattori che, combinati, possono richiedere ripartizioni diverse dei costi. Vediamo quindi cosa succede nel caso specifico della manutenzione dei balconi incassati. Chi paga le spese di riparazione? Il proprietario o l’intero condominio?

Innanzitutto: che cos’è un balcone incassato? Si tratta di una tipologia di balconi molto diffusa. In questo caso, la struttura non sporge rispetto al muro perimetrale del condominio. Il balcone è quindi compreso all’interno dell’edificio e chiuso su 2 lati (a L) o su 3 lati (a U). Appartengono a questa tipologia anche le terrazze a castello e i balconi a loggia. La particolare conformazione dei balconi incassati rispetto, ad esempio, a quelli aggettanti, ne determina una ripartizione diversa delle spese.

Cominciamo dalla manutenzione del balcone incassato nella sua parte frontale, che corrisponde, a livello di sporgenza, alla facciata del condominio. Questo elemento, come abbiamo spesso ricordato, appartiene agli elementi comuni di un condominio. Al suo mantenimento devono quindi contribuire tutti i proprietari, in misura proporzionale ai valori delle tabelle millesimali.E per quanto riguarda le altre parti dei balconi incassati? Chi paga le spese di manutenzione?

Soletta del balcone incassato in condominio: chi paga la manutenzione?

Se la riparazione riguarda il pavimento calpestabile di un balcone, la ripartizione delle spese cambia e non è più condivisa da tutti i condòmini. Bisogna comprendere innanzitutto quale parte del pavimento del balcone incassato è interessata dal danno da riparare.

Il solaio, anche detta soletta, è la struttura “intermedia” sul quale poggia il balcone. Funge, quindi, sia da pavimento per il condomino al piano superiore, sia da soffitto per quello del piano inferiore. L’elemento è quindi in comproprietà fra i due proprietari, che dividono fra di loro le spese di manutenzione della soletta. A dirlo è l’articolo 1125 del Codice Civile, per il quale:

Le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti.

A questo punto, è facilmente intuibile come verranno ripartiti gli altri elementi nella manutenzione del balcone incassato.

  • Il pavimento del balcone funge da calpestio per il condòmino superiore. Come se fosse un semplice prolungamento del suo pavimento di casa, il proprietario ne paga quindi da solo le spese di manutenzione.
  • La manutenzione del soffitto del balcone spetta, invece, al condomino del piano inferiore. Ci riferiamo, ad esempio, all’intonaco del soffitto o alle decorazioni superiori.
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Riparazioni di notevole entità: qual è il quorum richiesto?

I lavori di manutenzione, ordinaria e straordinaria, dei beni comuni di un condominio sono uno degli argomenti all’ordine del giorno nelle assemblee condominiali. Tra i due tipi di intervento sussistono infatti delle differenze non solo nominali, ma anche in termini di quorum assembleare per l’approvazione e gestione. La cosa si fa ancora più complessa quando si parla di riparazioni di notevole entità. Come si distingue un intervento di questo tipo da un normale lavoro di mantenimento “ordinario” delle cose? Cosa cambia nei fatti?

La disciplina relativa ai condomini ha provveduto a dare delle definizioni dei lavori di manutenzione. Tuttavia, si tratta, come  in molti casi, di definizioni passibili di un’ampia interpretazione che, in alcuni casi, rende complicato stabilire se si tratti di interventi ordinari o di manutenzioni straordinarie di notevole entità. Del resto, elencare con precisione tutti i possibili lavori di cui un condominio può avere bisogno non sarebbe stato facile. Ma perché è così importante distinguere la diversa entità di questi interventi sulle cose comuni? La differenza non sta solo nel tipo di lavoro praticamente richiesto, ma anche nei quorum assembleari.

Difatti, è previsto che per i lavori di intervento ordinari possono essere sì decisi all’interno di un contesto assembleare. Ma possono anche essere ordinati e direttamente gestiti anche dall’amministratore stesso. Questo, per velocizzare i processi decisionali quando gli interventi hanno una portata modesta e non richiedono particolari autorizzazioni da parte dei condòmini. Naturalmente, l’amministratore dovrà rendicontare ogni tipo di intervento ordinario realizzato. E per quanto riguarda i lavori straordinari, specialmente le riparazioni di notevole entità?

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Chi stabilisce le riparazioni di notevole entità?

Una manutenzione straordinaria, a differenza di quelle ordinarie, necessita invece dell’approvazione assembleare proprio per la loro natura di “una tantum” che corrisponde, solitamente, anche a una spesa maggiore. È previsto che l’amministratore possa avviare dei lavori di riparazione straordinaria quando l’urgenza dell’intervento lo richieda (ad esempio, se il pericolo di caduta di calcinacci da un balcone pregiudichi la sicurezza di condomini e terzi). Esiste poi una “sottocategoria”, che comprende tutte quelle manutenzioni straordinarie e particolarmente cospicue per spesa, area coinvolta o tipo di intervento. Si tratta quindi di riparazioni di notevole entità.

L’articolo 1136 del Codice Civile relativo ai quorum assembleari cita testualmente queste riparazioni, affermando che richiedono necessariamente l’approvazione di almeno metà degli intervenuti che corrispondano al 50% + 1 del valore dell’edificio in millesimi, così come tutti gli interventi straordinari. Questo, sia in prima sia in seconda convocazione. Diversamente, nel caso della manutenzione straordinaria di entità contenuta o, comunque, non “notevole”, in seconda convocazione è sufficiente l’approvazione di un terzo dei partecipanti che rappresentino almeno un terzo del valore in millesimi. Ecco dunque la differenza.

Chi stabilisce cosa sia di “notevole entità” e cosa rientri invece semplicemente nella manutenzione straordinaria? Solitamente, a meno che non si trovi un accordo nel contesto assembleare, la decisione spetta al giudice, che valuterà nel merito, caso per caso. Una distinzione che terrà conto della spesa da sostenere e della proporzionalità della stessa al valore dell’edificio e, dunque, anche alla ripartizione secondo le tabelle millesimali.

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Siepi sul confine: di chi sono e chi paga le spese?

Oggi parliamo di un altro frequente motivo di dibattito che stavolta non coinvolge i condòmini fra di loro, bensì l’intero condominio con gli edifici adiacenti. I confini fra gli stabili sono spesso delimitate da aree verdi e piante. Le discussioni sulla proprietà di questa vegetazione non mancano. Se dunque ci sono delle siepi sul confine, come stabilire di chi sono? Dalla proprietà delle stesse deriva la risposta all’altra fatidica domanda: chi deve pagare le spese di manutenzione?

Così come le leggi sul condominio, anche quelle sulla vegetazione rientrano, nel Codice Civile, all’interno della disciplina della comunione. È in particolare l’articolo 898 a parlare di Comunione di siepi. Il primo punto da sapere è che, a meno che non esistano particolari delimitazioni o disposizioni, si presume che una siepe che delimita due proprietà distinte sia in comproprietà fra le stesse. Le spese di manutenzione, quindi, vanno equamente ripartite fra i due proprietari (che si tratti di un soggetto singolo, di un esercizio commerciale o di un condominio).

In assenza di un termine di confine quindi, la siepe è presunta comune a entrambi i fondi. In tal senso, se non si vuole partecipare alle spese di manutenzione di una siepe o di una porzione di vegetazione è necessario provare l’esistenza di un termine di confine. È considerabile tale, ad esempio, una recinzione. In questo caso, la siepe appartiene al proprietario del fondo recinto. Stesso discorso per un muretto, un cancello o un’altra recinzione. In presenza di delimitazioni fisiche, la proprietà della siepe è:

di quello dalla cui parte si trova la siepe stessa in relazione ai termini di confine esistente.

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La legge sembra quindi non lasciare troppo spazio all’interpretazione, e ammette in ogni caso la presentazione di una prova contraria alla comunione presunta.

Siepi sul confine: proprietà e distanze

Una volta stabilito che una siepe appartiene a un proprietario solo, il titolare di questo diritto dovrà poi assicurarsi di mantenere le distanze legali fra la vegetazione e il fondo adiacente. Una siepe “viva”, deve infatti mantenersi alla distanza di mezzo metro dal confine con il fondo adiacente per essere considerata di proprietà esclusiva di un singolo. Richiedono ancora più spazio le siepi di ontano, castagno e simili (un metro) e le siepi di robinie (due metri).  Così prescrive l’articolo 892 del Codice Civile.

Se questa distanza non viene rispettata, la siepe andrà necessariamente a coincidere con il confine, e dunque a essere di proprietà comune. La logica è che una vegetazione potenzialmente orientata ad espandersi nello spazio deve mantenersi nei confini di una proprietà; altrimenti, sarà condivisa anche dal fondo limitrofo, tanto nelle spese di manutenzione quanto nel godimento. Una siepe che non rispetti tali distanze è di proprietà esclusiva solo se uno dei due titolari ha acquisito la servitù per poterle mantenere a distanza ravvicinata dal confine.