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Il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali

L’espressione molestie condominiali è una delle più discusse tanto nelle assemblee di condominio quanto a livello giuridico. Nel concetto di molestia rientrano infatti moltissimi comportamenti, volontari o meno, che pregiudicano in qualche modo il quieto vivere della comunità o dei singoli condomini. A volte si tratta di azioni che ledono esplicitamente i diritti di tutti in aree comuni. Altre volte sono comportamenti che pur avendo luogo nelle proprietà private, incidono sul quieto vivere anche dei dirimpettai. Spesso, allora, ci si chiede: qual è il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali? È sempre a lui che bisogna rivolgersi per tutelarsi?

Ricostruiamo, innanzitutto, un quadro di quali comportamenti possano costituire una molestia condominiale. Si parte dalle piccole azioni, fatte spesso con poca accortezza ma senza l’intento di danneggiare o infastidire gli altri. Parliamo, ad esempio, di una grigliata con il barbecue in balcone. Un’azione legittima di chi voglia approfittare di un terrazzo spazioso, che può però infastidire i vicini con fumi e odori molesti, oltre a macchiare i muri nei casi più eclatanti. Ricordiamoci che anche il semplice friggere con la finestra aperta può provocare molestia, se l’azione viene ripetuta più volte e senza riguardo per le richieste dei vicini.

Vi sono poi azioni apparentemente semplici che però implicano un danno alla proprietà comune o altrui. Ad esempio, la pessima abitudine di gettare mozziconi di sigaretta dal balcone, sporcando così il cortile interno o il balcone sottostante. Anche pulire la tovaglia rovesciando briciole dal balcone o innaffiare le piante costituisce una molestia a tutti gli effetti se ogni giorno si inonda il vicino sottostante dei propri avanzi o di acqua. Tutti questi casi rientrano nella fattispecie di stillicidio e gettito pericoloso di cose, penalmente perseguibile ex art. 674. Il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali sembra, quindi, fondamentale.

Molestie e liti condominiali: che ruolo ha l’amministratore?

È bene ricordare che questi comportamenti, portati all’estremo, possono sfociare anche nel cosiddetto stalking condominiale. Anche qui, parliamo di un vero e proprio reato, commesso con il preciso intento di disturbare un vicino causandogli ansia o costringendolo a cambiare le proprie abitudini. Per non parlare dei rumori molesti in condominio, praticamente all’ordine del giorno nelle liti condominiali. A questo punto ci si chiede quali siano gli obblighi di un amministratore in merito a condotte moleste. I doveri di questa figura sono esplicitamente elencati all’articolo 1130 del Codice Civile. Qui, tuttavia, non si trova menzione del ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiale.

Egli è tenuto ad agire nelle liti condominiali in soli due casi:

  • Quando il comportamento di un condomino è lesivo di un bene o di un’area comune.
  • Quando un’azione viola esplicitamente una norma contenuta nel regolamento condominiale.

In tutti gli altri casi, l’amministratore è quindi legittimato a tirarsi fuori dalla risoluzione di un litigio causato da una molestia condominiale. I condomini offesi dovranno quindi rivolgersi direttamente al proprio avvocato per capire se la molestia subita costituisce un reato e, quindi, procedere per vie legali.

Questo spiega anche perché è fondamentale avere un buon amministratore condominiale. Nonostante la legge non lo obblighi a fare da paciere, questa figura rappresenta un po’ il custode del quieto vivere condominiale. È importante, per questo, che l’amministratore sappia (e voglia) consigliare i condomini, aprendo spazi di discussione civile nelle assemblee e fornendo tutte le soluzioni in suo possesso per evitare futuri litigi.

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Stalking condominiale: quando denunciare il reato?

Lo stalking è, purtroppo un reato di cui si sente spesso parlare. Oltre alle modalità persecutorie che troppo frequentemente le cronache ci riportano, esiste anche un’altra tipologia di reato di cui la legge si è dovuta occupare: lo stalking condominiale. Potrà sembrare un caso limite o esagerato, ma la giurisprudenza si è già dovuta confrontare con molti casi in cui le vittime di minacce e le molestie erano il dirimpettaio o il condòmino del persecutore. Vediamo meglio come l’apparato giuridico italiano si è mosso contro questo tipo di reato che, ricordiamo, costituisce un illecito penale.

La norma di riferimento per lo stalking (compreso quello condominiale) è l’articolo 612 bis del Codice Penale, introdotto nel 2009 con il Decreto Legge n. 11 in tema di atti persecutori. Questo disposto punisce chi:

minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Il reato di stalking che si configura a partire dalla querela della persona offesa che devedenunciare l’accaduto entro sei mesi dal fatto. La pena prevista dal Codice penale è di reclusione da 6 mesi a 4 anni. L’articolo 612 specifica inoltre che la condotta debba essere reiterata. Con questo, si intende che la molestia debba essere perpetrata nel tempo, ma dopo quanto una condotta persecutoria può considerarsi effettivamente reato? La risposta ce la fornisce la Cassazione.

Molestie e minacce: quando diventano stalking condominiale?

È chiaro quindi come lo stalking non si configuri esclusivamente, come spesso si pensa, in ambito affettivo o coniugale. Rientrano nella fattispecie dello stalking anche i casi di persecuzione del vicinato con minacce, molestie e comportamenti vessatori che implicano un effettivo danno morale oltre che un cambiamento nelle routine di vita delle vittime.

Il limite fra offesa e stalking condominiale è più labile di quanto si pensi. La Corte di Cassazione ha recentemente stabilito che sono sufficienti due reiterazioni di molestie o minacce per costituire un reato di stalking. La periodicità della condotta illecita richiesta dalla legge si costituisce quindi a partire da due soli episodi di violenza, anche se commessi in un breve arco temporale. Questo intento della giurisprudenza è importante perché è atto a scongiurare la rinuncia delle vittime a una denuncia del reato. Il legislatore invita invece chi ha subito almeno due episodi di stalking condominiale a querelare i responsabili.

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Stalking condominiale: la sentenza

Ultima sentenza riguardante lo stalking condominiale

Denuncia i vicini per stalking condominiale: la sentenza stabilisce che ora li deve risarcire. La controversia condominiale finisce davanti alla Corte Suprema.

Nei guai è infatti finita la querelante, che si era mandata delle lettere anonime accusando però una famiglia residente nel suo stesso condominio. Si ringrazia l’Avv. Cristina Tomba per la gentile segnalazione del provvedimento in commento. Vediamo qualche cenno sul reato di atti persecutori, e su quando si può applicare questa normativa anche in ambito condominiale.

Ai fini del perfezionamento della fattispecie di reato di cui all’art. 612bis cod. pen. è essenziale la connessione causale tra la condotta dell’agente, caratterizzata dalla reiterazione, e uno dei tre eventi alternativamente tipizzati dalla norma, ovvero:

  • Il perdurante e grave stato di ansia o paura della vittima.
  • Il fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona comunque ad essa affettivamente legata.
  • La costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.

Dal punto di vista giurisprudenziale, questa fattispecie è stata introdotta dalla Corte di Cassazione con sentenza del 7 aprile 2011, n. 20895, con la quale il reato di stalking ha fatto il proprio ingresso anche in ambito condominiale.

Tale sentenza è importante non solo perché con essa si è subito chiarito come lo stalking possa consumarsi, come detto, anche fuori da un contesto relazionale affettivo e all’interno di un contesto condominiale. La decisione ha una rilevanza epocale soprattutto perché il Supremo Collegio ha con essa evidenziato che “il fatto può essere costituito anche da due sole condotte”. Le minacce e/o le molestie, in sostanza, devono essere più di una, ma anche solo due (sul punto Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 6417 del 17/02/2010).