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I rumori condominiali molesti sono un reato?

Gli amministratori di condominio sanno molto bene quanto proteste, lamentele e liti per rumori molesti siano all’ordine del giorno. un problema che deriva da tanti fattori. Sicuramente la negligenza (in alcuni casi aggravata da poco rispetto) dei dirimpettai che non comprendono il disagio causato anche da una semplice tv a volume massimo. Sono causa di questi dissidi anche muri e pannelli incapaci di assorbire il suono, finestre aperte vicino alle aperture del vicino, animali domestici, orari di lavoro scombinati. Cerchiamo di capire a che tipo di reato va incontro chi provoca rumori condominiali molesti.

Partiamo dalla fonte giuridica più “bassa”: il regolamento condominiale. È possibile infatti che i condomini riuniti nell’assemblea decidano di votare (all’unanimità) determinate proposte orientate al contenimento di rumori condominiali molesti. Ad esempio, stabilendo delle fasce orare di silenzio, da rispettare in tutte le situazioni. Nelle sessioni di gioco dei bambini in cortile, nei lavori di ristrutturazione condominiali, nel quotidiano svolgimento delle proprie attività. Il regolamento è un vero e proprio codice interno per i condomini. Basti pensare che è possibile anche includere nelle clausole delle sanzioni economiche che, in caso di comportamento recidivo, possono raggiungere anche gli 800 euro.

Discorso a parte riguarda gli animali domestici. Sappiamo infatti che è nulla la clausola che vieta la presenza di animali domestici in condominio. È altrettanto vero che un cane ha tutto il diritto di abbaiare. In alcuni casi però è possibile imputare al padrone dei comportamenti negligenti che non agiscono in alcun modo per ridurre il disagio provocato ai vicini. Ci richiamiamo, ancora una volta, al principio di tollerabilità. Un concetto tanto importante per valutare la punibilità o meno del comportamento quanto astratto, poiché difficile da misurare.

Tollerabilità e responsabilità dei rumori condominiali molesti

In ambito civile, i rumori molesti (condominiali o meno) costituiscono un illecito ai sensi dell’articolo 844 sulle Immissioni. Il grado di tollerabilità dei rumori deve dipendere anche dalle condizioni del luogo, delle esigenze di produzione e della priorità di un determinato uso. Per accertare la violazione, il giudice valuta inoltre se si tratta di un comportamento reiterato e comprovato anche da altre testimonianze, che ne hanno percepito la stessa intensità. Il colpevole può essere condannato a un risarcimento civile.

In caso di rumori condominiali molesti , possono però esistere anche le condizioni per un illecito penale. È quello prescritto dall’articolo 659 del CP sul Disturbo delle occupazioni e della quiete pubblica. Schiamazzi, rumori, apparecchi telefonici, segnalazioni acustiche e persino strepiti di animali non contenuti non possono quindi disturbare il sonno né la normale occupazione delle persone.

La pena prevista comprende l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda fino a 309 euro. Per chi è responsabile di rumori nell’ambito della sua professione esercitata però contro le disposizioni della legge o dell’Autorità, è prevista l’ammenda da 103 a 516 euro.

Per incorrere in questo reato penale, è necessario però che i rumori molestino la tranquillità pubblica, dunque siano potenzialmente fastidiosi per un indefinito e vasto numero di persone. Se dunque in sede di processo non emergono elementi che riconoscono il disturbo esteso dei rumori, non si ricade nella fattispecie. Questo significa che, in base alle condizioni degli schiamazzi e dei luoghi, sarebbero sufficienti anche 3 condomini per individuare un reato.

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Orario dei lavori in condominio: esistono regole?

Fra le questioni perennemente al centro di dispute condominiali c’è il rispetto della quiete. Vicini rumorosi, bambini che giocano in cortile e animali domestici sono le principali cause in oggetto. Esiste però anche il problema dei lavori. Il trapano che parte nelle primissime ore del mattino o altri rumori che si perpetrano per tutta la durata della giornata possono davvero costituire una molestia. Come risolvere la questione dell’orario dei lavori in condominio? Esistono regole precise in merito? È possibile imporre delle limitazioni o delle fasce orarie?

Come abbiamo ribadito più volte, i rumori molesti in condominio possono essere regolarmente denunciati nel momento in cui superano la soglia di normale tollerabilità, così come stabilito nel Codice Penale all’articolo 844. Allo stesso tempo, così come per gli orari di gioco dei bambini, non esistono limitazioni o fasce orarie dettate dalla legge. L’unico atto al quale fare riferimento è, anche nel caso di lavori in condominio, il regolamento condominiale.

Qui solitamente sono indicate delle fasce orarie di silenzio. Vale a dire, momenti della giornata nei quali si richiamano tutti i condomini (e i loro ospiti) a rispettare la quiete dell’abitato. Va da sé che, oltre ai rumori della quotidianità, in questi orari sono vietati anche dei lavori fastidiosi o invasivi. Non esiste quindi un vero e proprio orario dei lavori in condominio. È possibile, però, limitarne il rumore a una fascia pomeridiana o di mattinata, in base all’accordo preso dai proprietari in sede di assemblea.

Quali fasce per l’orario dei lavori in condominio?

Le fasce orarie tendenzialmente protette sono:

  • Ore precedenti alle 8 del mattino.
  • Fascia del primo pomeriggio (14 – 16).
  • Fascia serale, dalle 22 in poi.

Ogni assemblea potrà stabilire il proprio orario dei lavori in condominio approvando una clausola contrattuale nel regolamento, qualora ne fosse sprovvisto. Ricordiamo che questo tipo di modifiche alla modalità di utilizzo di un bene comune richiedono l’approvazione all’unanimità.

A questo punto, sarà possibile far sentire la propria voce con i vicini molesti. Il primo step consiste in una lettera di diffida. Un tentativo pacifico di risoluzione che precede il più impegnativo ricorso alle vie legali. Il tribunale, se dovesse stabilire il mancato rispetto di una norma del regolamento condominiale, potrebbe infatti condannare il trasgressore a un’ammenda e a una reclusione fino a massimo 3 mesi. Un’ipotesi estrema, ma che aiuta a percepire la gravità di tali infrazioni che pregiudicano il quieto vivere altrui.

Tenete comunque presente che è necessario che il rumore costituisca una molestia non per un proprietario solo, ma per un numero indefinito di condomini. È sempre buona norma, quindi, rivolgersi all’amministratore per invitarlo a convocare un’assemblea e parlare del problema apertamente.

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Il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali

L’espressione molestie condominiali è una delle più discusse tanto nelle assemblee di condominio quanto a livello giuridico. Nel concetto di molestia rientrano infatti moltissimi comportamenti, volontari o meno, che pregiudicano in qualche modo il quieto vivere della comunità o dei singoli condomini. A volte si tratta di azioni che ledono esplicitamente i diritti di tutti in aree comuni. Altre volte sono comportamenti che pur avendo luogo nelle proprietà private, incidono sul quieto vivere anche dei dirimpettai. Spesso, allora, ci si chiede: qual è il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali? È sempre a lui che bisogna rivolgersi per tutelarsi?

Ricostruiamo, innanzitutto, un quadro di quali comportamenti possano costituire una molestia condominiale. Si parte dalle piccole azioni, fatte spesso con poca accortezza ma senza l’intento di danneggiare o infastidire gli altri. Parliamo, ad esempio, di una grigliata con il barbecue in balcone. Un’azione legittima di chi voglia approfittare di un terrazzo spazioso, che può però infastidire i vicini con fumi e odori molesti, oltre a macchiare i muri nei casi più eclatanti. Ricordiamoci che anche il semplice friggere con la finestra aperta può provocare molestia, se l’azione viene ripetuta più volte e senza riguardo per le richieste dei vicini.

Vi sono poi azioni apparentemente semplici che però implicano un danno alla proprietà comune o altrui. Ad esempio, la pessima abitudine di gettare mozziconi di sigaretta dal balcone, sporcando così il cortile interno o il balcone sottostante. Anche pulire la tovaglia rovesciando briciole dal balcone o innaffiare le piante costituisce una molestia a tutti gli effetti se ogni giorno si inonda il vicino sottostante dei propri avanzi o di acqua. Tutti questi casi rientrano nella fattispecie di stillicidio e gettito pericoloso di cose, penalmente perseguibile ex art. 674. Il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali sembra, quindi, fondamentale.

Molestie e liti condominiali: che ruolo ha l’amministratore?

È bene ricordare che questi comportamenti, portati all’estremo, possono sfociare anche nel cosiddetto stalking condominiale. Anche qui, parliamo di un vero e proprio reato, commesso con il preciso intento di disturbare un vicino causandogli ansia o costringendolo a cambiare le proprie abitudini. Per non parlare dei rumori molesti in condominio, praticamente all’ordine del giorno nelle liti condominiali. A questo punto ci si chiede quali siano gli obblighi di un amministratore in merito a condotte moleste. I doveri di questa figura sono esplicitamente elencati all’articolo 1130 del Codice Civile. Qui, tuttavia, non si trova menzione del ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiale.

Egli è tenuto ad agire nelle liti condominiali in soli due casi:

  • Quando il comportamento di un condomino è lesivo di un bene o di un’area comune.
  • Quando un’azione viola esplicitamente una norma contenuta nel regolamento condominiale.

In tutti gli altri casi, l’amministratore è quindi legittimato a tirarsi fuori dalla risoluzione di un litigio causato da una molestia condominiale. I condomini offesi dovranno quindi rivolgersi direttamente al proprio avvocato per capire se la molestia subita costituisce un reato e, quindi, procedere per vie legali.

Questo spiega anche perché è fondamentale avere un buon amministratore condominiale. Nonostante la legge non lo obblighi a fare da paciere, questa figura rappresenta un po’ il custode del quieto vivere condominiale. È importante, per questo, che l’amministratore sappia (e voglia) consigliare i condomini, aprendo spazi di discussione civile nelle assemblee e fornendo tutte le soluzioni in suo possesso per evitare futuri litigi.

Christian Sterk/Unsplash

Fumi e odori molesti in condominio. Che fare?

Odori molesti, fumi esagerati e vapori invadenti. Non tutte le molestie dei vicini sono tangibili. Spesso, anzi, le più fastidiose hanno una natura intangibile. La legge ha previsto degli strumenti per tutelarsi contro queste immissioni, ma è sempre bene valutare caso per caso la via migliore per agire. Il perno centrale della questione sta nel dimostrare la non tollerabilità di queste esalazioni. Come fare? Come difendersi da fumi e odori molesti in condominio?

Inquadriamo innanzitutto la situazione a livello giuridico. Emanare dal proprio appartamento una quantità ingente di fumo o di odori può costituire un reato.  E non importa che per qualcuno si tratti di odorini invitanti. Basti ricordare la sentenza che condannò un condomino per aver esagerato con gli odori di fritto… Questo tipo di reato rientra nella stessa categoria, ad esempio, del lancio di sigarette nel giardino privato del vicino o del condomino di sotto. Si tratta dello stillicidio, regolato dall’articolo 674 del Codice Penale.

Ciò che conta non è tanto la natura del fumo o degli odori. In tal senso, anche un innocente barbecue in balcone può costituire una vera e propria molestia passibile di denuncia se reiterata senza rispetto delle richieste altrui. Il punto, come dicevamo, sta nel non superare la soglia di tollerabilità che chiunque accetti di vivere in condominio acconsente tacitamente di sopportare. Quando si supera questa soglia e come dimostrarlo?

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Tollerabilità di fumi e odori molesti: come dimostrarla?

Abbiamo detto che l’immissione di gas e fumi maleodoranti costituisce un reato. Se quindi i richiami dell’amministratore non sono sufficienti a interrompere le routine del tuo vicino, puoi ricorrere anche alla via legale. Se ritieni che i fumi e gli odori del tuo vicino siano davvero molesti e superino la cosiddetta soglia di tollerabilità, dovrai però cercare di dimostrarlo al giudice, che non potrà ovviamente basarsi sulla tua sola parola.

Che si tratti di emissioni industriali di gas, detergenti o detersivi molto forti o di odori provenienti da una cucina, per denunciare è bene avere dalla propria parte due requisiti:

  • Innanzitutto, che il gettito di odori molesti sia un’azione ripetuta nel tempo. Se, ad esempio, avete già fatto una diffida nei confronti del vicino, potrete provare il comportamento recidivo dello stesso.
  • Una dimostrazione della non tollerabilità degli odori. Sebbene esistano degli strumenti tecnici capaci di rilevare l’intensità di un profumo, non sempre si riesce a registrare l’esalazione nel momento in cui sovviene. Per questo, è il giudice potrebbe ritenere sufficienti anche dei testimoni che riportino in modo oggettivo una conferma all’accusa.

Un altro elemento da tener presente è la natura del reato. L’emissione di fumi e odori molesti costituisce un illecito civile se incide negativamente sulle abitudini dei vicini. Così, ad esempio, è passibile di denuncia anche un vicino che usi costantemente la candeggina per pulire il balcone, costringendo gli altri condomini a tener chiusa la finestra. Si tratta di un illecito penale solo se in questa molestia sono coinvolti anche altri soggetti in numero indefinito – così, ad esempio, il caso di una fabbrica le cui esalazioni danneggino non solo chi vive nello stesso abitato ma anche chi fosse di passaggio.

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Tettoia a distanza illegale: è una molestia?

Che si tratti di grandi costruzioni per ricoprire ad esempio una porzione di giardino o di cortile o che si parli di piccole sporgenze per riparare il passaggio dalla pioggia, per costruire una tettoia è necessario rispettare degli obblighi ben precisi. Alcuni, nei confronti del proprio Comune, altri nei confronti del proprio condominio. Nello specifico, è essenziale rispettare le distanze imposte dalla legge. Altrimenti, una tettoia a distanza illegale potrebbe costituire ben più di un abuso edilizio, ed essere considerata una vera e propria molestia.

Abbiamo parlato del Comune. È obbligatorio, infatti, richiedere l’autorizzazione urbanistica del proprio Comune. A meno che non si tratti di una costruzione di dimensioni estremamente modeste, atta, ad esempio, semplicemente a riparare l’ingresso dalla pioggia. L’installazione di una tettoia senza permesso comunale può essere risolta con una sanatoria se il Comune concede l’autorizzazione a posteriori. Se invece tale permesso non viene riconosciuto, si può incedere nel reato penale di abuso edilizio.

Per quanto riguarda invece le condizioni richieste dal proprio condominio per la costruzione di una tettoia, bisogna innanzitutto tenere in considerazione il principio di decoro architettonico. Tale criterio, che si applica a quasi tutti i lavori e le innovazioni che riguardano la facciata esterna di un edificio, comprende l’insieme armonico ed estetico delle linee strutturali e delle decorazioni di un palazzo.

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Una tettoia, se costruita senza riguardo per questo principio, può alterare l’aspetto esterno del condominio compromettendone quindi anche il valore economico oltre che quello estetico. Per ottenere un lasciapassare in tal senso è sempre buona norma fare comunicazione al proprio amministratore del progetto di costruzione della tettoia – se riguarda uno spazio ad uso esclusivo o privato del condominio.

Quando è illegale la distanza di una tettoia?

Sarà poi l’amministratore a illustrare tale progetto all’assemblea condominiale che ne valuterà l’impatto. Così come, ad esempio, è richiesto quando si vuole trasformare il proprio balcone in veranda. Questo, fermo restando naturalmente la prova che tale costruzione non pregiudichi la stabilità strutturale dell’edificio. Ma c’è un altro criterio che il costruttore è tenuto a rispettare: quello delle distanze.

La legge stabilisce che le tettoie installate successivamente alla costruzione di un edificio come un condominio debbano mantenersi a una distanza di 3 metri dalla costruzione dell’edificio limitrofo. Questa distanza non va calcolata a partire dalle mura, ma dall’ultimo centimetro di sporgenza della tettoia stessa. Se quindi il vicino è già in possesso di una tettoia sporgente, per costruire la propria è necessario che i 3 metri intercorrano dalla fine della tettoia già esistente all’inizio di quella da installare.

Questo, a meno che la tettoia del vicino non sia abusiva. In quel caso, bisogna calcolare la distanza a partire dal perimetro murale esterno. In caso di violazione di queste distanze? Una tettoia a distanza illegale costituisce non solo un abuso edilizio in tal senso. Con la sentenza n. 23940 del 25/9/19 la Cassazione ha stabilito che tale opera edilizia integra una vera e propria molestia nei confronti del vicino, che potrà quindi rivalersi sul dirimpettaio irrispettoso.