img1

Definizione di condominio

Spesso ci ritroviamo a parlare di norme, regole e leggi riguardanti il condominio. Prima di discuterne applicazione e interpretazioni, sarebbe però utile avere chiaro un quadro generico sull’argomento, a partire proprio dalla definizione di condominio. Cosa rende questo istituto così peculiare e perché si distingue da altri tipi di categorie abitative? Cominciamo col dire che il legislatore non ha fornito una definizione chiara e inequivocabile di condominio. Possiamo però ricavarne una a partire dai suoi principali elementi giuridici. Il punto dal quale partire è il Codice Civile.

In particolare, sappiamo che il condominio è disciplinato nel Libro III del CC dedicato alla proprietà, all’interno del Titolo relativo alla comunione dei beni. Questo ci fornisce un’importante indicazione per comprendere la natura miscellanea della sua definizione. Una primissima formula che possiamo quindi utilizzare descrive un condominio come una costruzione nella quale coesistono unità abitative di proprietà esclusiva di singoli e parti comuni in comproprietà fra di essi. Lo stesso non si potrebbe dire di un edificio le cui singole unità appartengano a un unico proprietario.

È per questo motivo che la costituzione di un condominio è automatica. Non è richiesta la presentazione di alcun documento, ma avviene in automatico nel momento in cui all’interno di un plesso viene venduta un’unità immobiliare mantenendo la proprietà distinta delle altre. In questo modo, si instaura direttamente anche il regime di comunione per tutte le aree considerate comuni di un condominio, elencate a titolo esemplificativo all’articolo 1117 del Codice Civile.

Quanti proprietari servono per rientrare nella definizione di condominio

Secondo quanto appena detto, rientra nell’istituto del condominio anche una semplice villetta divisa in due appartamenti la cui proprietà esclusiva sia di due soggetti distinti che però condividono accesso e utilizzo di parti comuni. Come, ad esempio, il cortile di accesso o il cancello automatico.  In tal senso, il numero minimo di proprietari richiesto per la costituzione automatica di un condominio è due.

Esiste poi una distinzione operata indirettamente dal Codice Civile per quanto riguarda il condominio e il condominio minimo. Quest’ultimo è sottoposto alle stesse leggi del condominio per quando riguarda la ripartizione delle spese per la manutenzione di aree comuni. La differenza da rilevare sta nel numero di proprietari coinvolti. Se all’interno di un edificio coesistono meno di 8 proprietari, si parla di condominio minimo. I condomini in questo caso non sono tenuti a registrare il codice fiscale del proprio condominio, né a dotarsi di un amministratore o di un regolamento. Fatto salvo il rispetto delle norme civilistiche.

Quando invece i proprietari sono più di 8 la legge impone che i condomini nominino un amministratore. Questa figura si occupa di gestire la contabilità e le manutenzioni. Il suo operato è comunque sottoposto al volere dell’assemblea condominiale, che è l’organo democratico nel quale si riuniscono tutti i proprietari. Se i condomini arrivano a 10, il Codice Civile prevede che ci si doti anche di un regolamento condominiale, nel quale votare con le dovute maggioranze norme riguardo la convivenza civile.

img1

Cos’è un condominio minimo e come si ripartiscono le spese?

Sappiamo che per un edificio composto da unità immobiliari con proprietari diversi è obbligatorio nominare un amministratore solo con un numero di condòmini maggiore di 8 proprietari. Tuttavia, sappiamo anche che il condominio si costituisce automaticamente quando in un edificio convivono due proprietari distinti. La Riforma del 2012 ha quindi introdotto una serie di norme relative a tutte quelle realtà più “piccole” composte da un numero di condòmini compreso fra 2 e 8. Si tratta del cosiddetto condominio minimo. Vediamo cos’è, come si gestisce e come vengono ripartite le sue spese.

Un condominio deriva dalla coesistenza in uno stesso edificio di più unità immobiliari appartenenti a proprietari diversi. Prendiamo il caso di un villino indipendente, diviso in due piani. Le due abitazioni che ne derivano hanno accessi separati (ad esempio, con una scala esterna che permette l’accesso al piano superiore senza passare da quello inferiore). Il proprietario del villino vende i due appartamenti a due proprietari diversi. Ecco che, in automatico, l’edificio diventa un condominio minimo, e ad esso si applicheranno tutte le norme del Codice Civile.

img2.jpg

Queste norme serviranno per amministrare la gestione di aree e beni condivisi ai due proprietari. Parliamo, ad esempio, del vialetto di accesso, di un cancello d’ingresso, del cortile sottostante, ma anche del lastrico solare. Essendo i proprietari solo due, non sussiste l’obbligo di nominare un amministratore, anche se i due condòmini possono ugualmente delegare la gestione contabile dell’edificio a una figura esterna. Allo stesso modo, non è necessario nemmeno redigere e approvare un regolamento, obbligatorio a partire da 10 condòmini. Fra le norme che, all’atto pratico, più interesseranno i due condomini, rientrano sicuramente quelle sulla ripartizione delle spese.

Come si ripartiscono le spese nel condominio minimo?

Pur in assenza di amministratore e regolamento, i due proprietari dovranno sostenere delle spese per il mantenimento delle parti comuni e, in base alle norme del Codice Civile, ripartirle equamente. Un istituto condominiale che è quindi obbligatorio anche per il condominio minimo sono le tabelle millesimali. La loro approvazione è fondamentale per distribuire le spese. In caso di mancata compilazione, infatti, sarà il giudice a dover ricostruire dei criteri di ripartizione basati sul modello delle tabelle.

Le spese per le aree comuni, naturalmente, non vanno solo distribuite, ma anche approvate. Altro elemento quindi indispensabile nel condominio minimo è l’assemblea condominiale, in base alle stesse regole civilistiche del condominio “tradizionale”. Ovviamente, le norme su criteri di maggioranza e partecipazione si adeguano al numero di condomini. Nell’esempio del nostro villino, una decisione è da intendersi presa all’unanimità solo se all’assemblea perviene il voto favorevole di entrambi.

img1

Rumori molesti in condominio: come proteggersi

Rumori condominiali molesti: una vera e propria piaga per molti proprietari, costretti a rivedere la propria routine di riposo a causa di vicini insolenti. Se da un lato è bene considerare anche le condizioni del luogo, ad esempio una struttura con muri sottili e poco fonoassorbenti, dall’altro non è giusto rinunciare al proprio sonno per un dirimpettaio irrispettoso. Spesso e volentieri i semplici richiami, infatti, cadono nel vuoto. A quel punto, ti chiederai: che cosa posso concretamente fare per risolvere il problema? Come proteggersi dai rumori molesti in condominio?

La prima persona cui fare affidamento se si vuole risolvere il problema dei rumori molesti in condominio è l’amministratore. Questa figura ha infatti il compito di verificare che tutti i proprietari rispettino gli spazi e i beni comuni. Ivi compresi la legittima quiete di scale e pianerottoli attraverso i quali i rumori si possono propagare. Non solo.

L’amministratore può aiutarti a scoprire se nel vostro regolamento condominiale esistano norme specifiche riguardo ai rumori. In caso negativo, potreste valutare insieme di proporre all’assemblea l’inserimento nel regolamento, ad esempio, di vincoli legati a determinate fasce orarie. Le disposizioni attuative del Codice Civile ammettono inoltre che il condominio possa stabilire delle sanzioni economiche per il mancato rispetto di tali norme. Sanzioni che possono arrivare ai 200 euro una tantum, e che raggiungono gli 800 euro in caso di recidiva. Un deterrente che può concretamente risolvere il problema dei rumori molesti da parte del vicino. Anche in assenza di sanzioni economiche scritte, il richiamo al rispetto di una norma a un proprietario rumoroso rientra fra gli obblighi di un buon amministratore.

img2.jpg

Rumori molesti in condominio e tollerabilità: qual è il confine?

Se, invece, il supporto dell’amministratore dovesse rivelarsi insufficiente, per sua negligenza o perché i vostri richiami sono stati ignorati, rimane la soluzione della via legale. I tribunali hanno spessissimo dovuto affrontare controversie legate ai rumori molesti in condominio. Il problema di queste situazioni sta nell’onere della prova, a carico di chi protesta, della non tollerabilità dei rumori e del loro verificarsi in fasce orarie “protette”.

L’articolo 844 del CC riguardo alle immissioni afferma che un proprietario non possa impedire i rumori derivanti dal fondo vicino, a meno che non superino la normale tollerabilità. Valutazione nella quale deve rientrare anche la condizione dei luoghi e che, quindi va esaminata in modo più ampio rispetto al singolo rumore.

Una perizia oggettiva – ad esempio, con una registrazione – sarebbe sufficiente a dimostrare chiaramente la tollerabilità di un rumore. Per dare un carattere “istituzionale” e quindi ancor più valido dinanzi a una Corte, è possibile rivolgersi anche a strutture che, con appositi macchinari, possano registrare il livello di rumorosità secondo delle precise soglie di tollerabilità. Rilasciando anche un attestato.

È possibile portare in tribunale anche la semplice parola di altri testimoni. Questo, a patto che affermino di aver percepito rumori della stessa intensità rispetto a quella lamentata dal facente causa. In tal caso, sarà poi il giudice a determinare la veridicità di quanto detto, stabilendo se si tratti di una semplice lamentela ingiustificata o se invece il danno provocato dal rumore e quindi dal disturbo del sonno richieda un vero e proprio risarcimento.

Pixabay

Cortile condominiale: cosa è permesso fare e cosa no?

Un altro bene di proprietà comune a tutti i condòmini è il cortile, spesso al centro di liti e discussioni. Questo spazio appartiene in comunione anche agli inquilini i quali edifici non si affaccino direttamente su di esso, e ad esso si applicano le stesse disposizioni riguardanti eventuali giardini condominiali. Non è raro che nascano dissapori rispetto all’utilizzo che un proprietario faccia del cortile: come parcheggio, come area giochi per bambini, come terreno per piantare vegetazione. Vediamo allora, secondo la legge e le interpretazioni della giurisprudenza, cosa si può fare nel cortile condominiale e cosa non è invece permesso.

Come detto, l’utilizzo del cortile condominiale deve essere paritario per tutti. Questo, nonostante, come per tutti i bene a uso comune, le spese per la sua manutenzione vadano ripartite fra i condomini secondo i valori indicati dalle tabelle millesimali. I limiti al suo utilizzo sono quindi gli stessi applicati agli altri spazi comuni.

L’impiego non deve modificarne la destinazione d’uso, che potremmo riassumere come una generica funzione di areazione e illuminazione della parte interna del condominio e degli spazi ad esso adiacenti o di accesso (compresi altri eventuali spazi verdi e intercapedini). Altro requisito è che l’impiego fatto da un condòmino non ne pregiudichi potenzialmente un paritario utilizzo da parte di un altro proprietario.

Pixabay

Cortile condominiale: cosa è permesso e cosa no?

Nel rispetto di queste due generiche disposizioni, è quindi possibile apportare alcune modifiche non sostanziali al cortile condominiale. Ad esempio, è permesso installare delle panchine o coltivare delle piantine, perché questo non ne pregiudica la funzione primaria né l’utilizzo da parte degli altri. È possibile anche installare delle tubature o un’autoclave, purché non troppo voluminosi.

Oltre queste indicazioni generali, molti condomini specificano nel proprio regolamento a quali scopi specifici è destinato il cortile. Dalla lettura di queste funzioni si ricava quindi una serie di divieti più o meno impliciti, connessi con il mantenimento della destinazione d’uso del bene comune. Se, ad esempio, l’area interna deve mantenere una funzione di parcheggio, i bambini non possono giocare con il pallone in cortile. Viceversa, se il cortile è destinato al transito pedonale, non è possibile parcheggiarvi i propri veicoli.

Come si può utilizzare un cortile condominiale quindi? Fermo restando i due punti saldi del rispetto delle proprietà comuni, per rispondere è necessario rilevare espliciti divieti o funzioni d’uso scritte nel regolamento condominiale. Per poi, eventualmente, richiederne una modifica con le adeguate maggioranze assembleari.