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L’assicurazione del condominio è obbligatoria?

L’assicurazione globale per fabbricati, meglio conosciuta come assicurazione condominiale, protegge un edificio e i suoi proprietari da eventuali responsabilità civili. Sebbene sia un costo aggiuntivo che va a sommarsi alle altre spese condominiali, stipulare questo tipo di contratto con una compagnia potrebbe essere una scelta di previdenza. Di quelle che poi ci si pente di non aver fatto. Il dubbio, però, sorge spontaneo: l’assicurazione del condominio è obbligatoria?

È importante saperlo per non incorrere anche nel rischio di sanzioni, oltre che nella possibilità di trovarsi scoperti in caso di danno al condominio o a terzi. In realtà, da questo punto di vista l’assemblea condominiale gode di una certa libertà. La legge infatti non pone nessun obbligo in tal senso. L’assicurazione del condominio è obbligatoria solo se prescritta dal regolamento. Solo in tal caso il condominio è tenuto a stipulare un contratto in tal senso.

I proprietari riuniti possono inoltre decidere di stipulare un contratto assicurativo anche in assenza di un obbligo iscritto nel regolamento. Come? Votando questa decisione con la maggioranza prevista dall’articolo 1136. Vale a dire, con una delibera in prima convocazione approvata dalla metà degli intervenuti e almeno metà del valore in millesimi dell’edificio. La delibera non è obbligatoria se invece vige già l’imposizione dettata dal regolamento.

A tal proposito, ricordiamo anche che l’amministratore non può stipulare un contratto di assicurazione per conto del condominio sulla base dei poteri conferitigli dall’assemblea. Può però farlo senza attendere la votazione di una delibera quando il regolamento stesso lo imponga.

Quali danni copre un’assicurazione condominiale?

Quando l’assicurazione condominiale è obbligatoria per regolamento (o votata a maggioranza) copre solitamente danni da responsabilità civile. Si tratta, cioè, di danni provocati a terzi da un cedimento, un danno, un malfunzionamento imprevisto e indipendente dalla volontà dei proprietari.

Si pensi, ad esempio, a un operaio che, lavorando nel condominio, viene colpito da un calcinaccio. Oppure a un terzo che, attraversando l’atrio, cada su un gradino sconnesso. Non rientrano in questi casi tutte le azioni che implichino la negligenza o la mancata cura dei singoli proprietari per le loro aree esclusive. Il lancio di un mozzicone da un balcone ne è l’esempio classico. Da un punto di vista strutturale, l’assicurazione condominiale solitamente protegge dai danni da incendio. Qui inclusi anche quelli causati da agenti atmosferici come fulmini, esplosioni e così via. A questo è poi possibile aggiungere altre coperture. Ad esempio, danni da furto, calamità naturali, spese legali per controversie condominiali. Ricordiamo, infine, che alle spese per un’assicurazione condominiale devono contribuire tutti i proprietari.

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Condominio senza amministratore: è possibile?

L’amministratore è una figura essenziale per il condominio. A questo soggetto spettano infatti una serie di obblighi e incombenze di natura legale, fiscale e amministrativa. La legge ha però stabilito, con la Riforma del Condominio del 2012, un preciso limite oltre il quale un condominio è obbligato a nominare un amministratore. Il limite specifico è fissato a 8 unità immobiliari (e non, come a volte si pensa, 8 inquilini). Oltre questa soglia, la presenza di questa figura obbligatoria. Come funziona quindi un condominio senza amministratore? Che succede se, pur superando le 8 unità, non si provvede a nominare il proprio amministratore?

Ricordiamo che, al di sotto degli 8 proprietari, non viene meno l’attribuzione di condominio. Questo status si configura infatti in maniera automatica ogni volta che in un edificio con delle parti comuni convivano almeno 2 proprietari. Nel caso in cui le unità immobiliari non superino il fatidico numero, si parla quindi di condominio minimo. Un “regime” per il quale valgono tutte le regole disposte dal Codice Civile per il condominio, ad eccezione dell’obbligo di nomina di un amministratore e di adozione di un regolamento. Quest’ultimo, lo ricordiamo, diventa obbligatorio solo in condomini con almeno 10 proprietari.

È quindi certamente possibile abitare in un condominio senza amministratore nel caso in cui le unità che lo compongono siano inferiori a 8. Può capitare però che in un condominio scada la nomina di un amministratore e che non si trovi l’accordo per rinnovarlo. Oppure, che un evento inaspettato prolunghi i tempi per la riunione dell’assemblea che dovrebbe approvare la nomina già decisa. Cosa succede in questo caso?

Condominio senza amministratore anche quando è obbligatorio: cosa succede?

Poniamo il caso che in un condominio con obbligo di nomina vi siano alcuni condomini propensi a rispettare quando prescritto dalla legge e altri condomini restii a dotarsi di un nuovo amministratore. In questo caso, i proprietari volenterosi possono innanzitutto ricorrere alla via legale. Recandosi presso il proprio tribunale di riferimento, essi possono infatti ottenere la nomina giudiziale di un amministratore. Si tratterebbe quindi di un atto preso in sostituzione dell’approvazione di una delibera assembleare.

Ciò detto, è bene sapere che un condominio senza amministratore non rischia sanzioni di alcun tipo. O meglio, non rischia sanzioni per il fatto di essere sprovvisti di amministratore. Tutte le incombenze fiscali e legali (ad esempio, la presentazione del modello 770 del condominio) vanno naturalmente rispettate. Ad occuparsene potrà essere un condomino (o un gruppo) volenteroso. La legge sembra tacitamente accettare questa gestione casalinga. All’articolo 1129 del Codice Civile si legge infatti l’obbligo di esposizione nelle aree comuni dei recapiti dell’amministratore o «della persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore». Discorso valido tanto per il condominio minimo, quanto per quello regolare.

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Definizione di condominio

Spesso ci ritroviamo a parlare di norme, regole e leggi riguardanti il condominio. Prima di discuterne applicazione e interpretazioni, sarebbe però utile avere chiaro un quadro generico sull’argomento, a partire proprio dalla definizione di condominio. Cosa rende questo istituto così peculiare e perché si distingue da altri tipi di categorie abitative? Cominciamo col dire che il legislatore non ha fornito una definizione chiara e inequivocabile di condominio. Possiamo però ricavarne una a partire dai suoi principali elementi giuridici. Il punto dal quale partire è il Codice Civile.

In particolare, sappiamo che il condominio è disciplinato nel Libro III del CC dedicato alla proprietà, all’interno del Titolo relativo alla comunione dei beni. Questo ci fornisce un’importante indicazione per comprendere la natura miscellanea della sua definizione. Una primissima formula che possiamo quindi utilizzare descrive un condominio come una costruzione nella quale coesistono unità abitative di proprietà esclusiva di singoli e parti comuni in comproprietà fra di essi. Lo stesso non si potrebbe dire di un edificio le cui singole unità appartengano a un unico proprietario.

È per questo motivo che la costituzione di un condominio è automatica. Non è richiesta la presentazione di alcun documento, ma avviene in automatico nel momento in cui all’interno di un plesso viene venduta un’unità immobiliare mantenendo la proprietà distinta delle altre. In questo modo, si instaura direttamente anche il regime di comunione per tutte le aree considerate comuni di un condominio, elencate a titolo esemplificativo all’articolo 1117 del Codice Civile.

Quanti proprietari servono per rientrare nella definizione di condominio

Secondo quanto appena detto, rientra nell’istituto del condominio anche una semplice villetta divisa in due appartamenti la cui proprietà esclusiva sia di due soggetti distinti che però condividono accesso e utilizzo di parti comuni. Come, ad esempio, il cortile di accesso o il cancello automatico.  In tal senso, il numero minimo di proprietari richiesto per la costituzione automatica di un condominio è due.

Esiste poi una distinzione operata indirettamente dal Codice Civile per quanto riguarda il condominio e il condominio minimo. Quest’ultimo è sottoposto alle stesse leggi del condominio per quando riguarda la ripartizione delle spese per la manutenzione di aree comuni. La differenza da rilevare sta nel numero di proprietari coinvolti. Se all’interno di un edificio coesistono meno di 8 proprietari, si parla di condominio minimo. I condomini in questo caso non sono tenuti a registrare il codice fiscale del proprio condominio, né a dotarsi di un amministratore o di un regolamento. Fatto salvo il rispetto delle norme civilistiche.

Quando invece i proprietari sono più di 8 la legge impone che i condomini nominino un amministratore. Questa figura si occupa di gestire la contabilità e le manutenzioni. Il suo operato è comunque sottoposto al volere dell’assemblea condominiale, che è l’organo democratico nel quale si riuniscono tutti i proprietari. Se i condomini arrivano a 10, il Codice Civile prevede che ci si doti anche di un regolamento condominiale, nel quale votare con le dovute maggioranze norme riguardo la convivenza civile.

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Rappresentante del codice fiscale condominiale: quali obblighi e responsabilità ha?

Pur non essendo una persona fisica, anche il condominio ha l’obbligo di avere un codice fiscale. Questo, in funzione delle sue attività di contabilità e finanziarie, affidate alla gestione di un rappresentante quale l’amministratore di condominio. Anche la richiesta del codice fiscale di condominio va effettuata con l’apposito modulo e da un rappresentante ed è necessaria per rendicontare, effettuare e versare le ritenute d’acconto delle spese relative a manutenzioni, interventi e retribuzione dell’amministratore. Ma questa figura del rappresentante del codice fiscale condominiale quali obblighi e responsabilità ha rispetto a un amministratore?

Si tratta di una situazione dinnanzi alla quale si trovano soprattutto i condomini di nuova costituzione. Il dubbio riguarda anche i condomini minimi che, pur non avendo l’obbligo di nominare un amministratore, decidano di registrare il codice fiscale condominiale per gestire le proprie spese. In tal caso, i singoli proprietari devono nominare un rappresentante che presenti la richiesta di codice fiscale condominiale all’ente preposto, ossia l’Agenzia delle Entrate. Tale richiesta si effettua tramite il modello AA5/6 per i soggetti diversi dalle persone fisiche.

Rappresentante del codice fiscale e amministratore

Quello che non sempre i proprietari sanno è che il rappresentante nominato per richiedere il codice fiscale condominiale acquisisce, in automatico, tutti gli obblighi e le responsabilità di un amministratore di condominio. Questo, anche nel caso in cui si tratti di un condominio minimo che quindi non ha l’obbligo di nominare questa figura. Il motivo di questa attribuzione di responsabilità è di natura fiscale. Attraverso la richiesta del codice, infatti, è possibile gestire la contabilità dell’edificio. In particolare, si tratta di:

  • Effettuare e versare all’Agenzia delle Entrate le ritenute d’acconto per i lavoratori autonomi e indipendenti del condominio (pensiamo, ad esempio, al portiere).
  • Presentare annualmente la certificazione unica di condominio.
  • Registrare la dichiarazione dei sostituti con modello 770.

In buona sostanza, il rappresentante del codice fiscale condominiale diventa automaticamente non solo il soggetto fisico che presenta la richiesta del codice all’Erario, ma anche l’amministratore del condominio. Rientreranno quindi fra i suoi compiti anche la gestione degli altri aspetti, oltre a quelli contabili, della convivenza condominiale. Dalla convocazione di assemblee alle comunicazioni ai condomini.

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Il compenso dell’amministratore di condominio

Torniamo a parlare dell’amministratore di condominio. Come abbiamo già visto, i compiti e i doveri di un amministratore di condominio non sono certo pochi. Dalla gestione concreta alla registrazione dei documenti legali e fiscali, questa figura riveste un ruolo fondamentale per una sana e pacifica convivenza condominiale. Come è giusto quindi, anche a chi amministra l’intero complesso di pratiche spetta una giusta retribuzione. Ma chi stabilisce il compenso dell’amministratore? Questa somma dev’essere indicata nella delibera di nomina? È possibile cambiare in corso d’opera i patti sulla retribuzione? Vediamo.

Tutto quanto concerne la nomina, la revoca e l’elencazione precisa degli obblighi dell’amministratore di condominio è indicato all’articolo 1129 del Codice Civile. Qui vengono quindi fatte alcune precisazioni riguardo il ruolo di questa figura. Innanzitutto, va ricordato che la carica è annuale, con possibilità di rinnovo. Un amministratore dunque sa bene a cosa va incontro quando accetta un incarico condominiale.

Questo articolo, del resto, evidenzia anche una serie di comportamenti irregolari che possono determinare la revoca della nomina all’amministratore. Anche per questo, il suo compenso dell’amministratore di condominio dev’essere commisurato all’impegno che il soggetto ritiene di dover sostenere in termini di tempo.

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Il compenso dell’amministratore deve essere indicato nella delibera di nomina?

A rispondere, a chiare  lettere, è lo stesso articolo 1129, che così recita:

L’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta.

È necessario dunque specificare il compenso all’inizio del mandato. Anche in caso di rinnovo di un incarico bisogna confermare (o, eventualmente, modificare) la somma dovuta. La mancanza di un compenso specifico rende addirittura nulla la nomina dell’amministratore. A provvedere alla sua nomina e alla sua revoca sarà l’assemblea condominiale che, quindi, vigilerà anche sul compenso regolarmente indicato. La delibera dovrà essere approvata da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e la metà più uno del valore dell’edificio in base ai valori delle tabelle millesimali.

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Anagrafe condominiale: cosa e quando bisogna comunicare?

Tra i numerosi compiti di un amministratore di condominio c’è anche l’obbligo di rendicontare dati e informazioni sugli inquilini del palazzo. Questo tipo di attribuzione impone un certo rigore tanto da parte dell’amministratore quanto da parte dei vari condomini, che devono collaborare alla corretta compilazione di un documento chiamato anagrafe condominiale. Si tratta di un atto introdotto dalla Riforma del Condominio e obbligatorio ai sensi dell’articolo 1130 del Codice Civile, comma 6. Vediamo in cosa consiste l’anagrafe condominiale che include, fra le altre cose, l’obbligo di comunicazione del cambio di inquilino.

L’anagrafe condominiale è un registro che raccoglie i dati fondamentali di un condominio. Si tratta, appunto, di un documento che annota, per motivi fiscali e di sicurezza, gli abitanti di un palazzo, a prescindere che siano conduttori di un contratto di affitto o gli effettivi proprietari. L’obbligo di aggiornamento dell’anagrafe è in capo all’amministratore di condominio, ma prevede per legge anche la collaborazione da parte dei titolari delle unità immobiliari date in affitto.

Nello specifico, i dati che un proprietario deve fornire all’amministratore di condominio (aggiornando la comunicazione ogni volta che intercorra un cambiamento) sono:

  • Generalità di proprietari e conduttori di locazione, compresi nome, cognome, codice fiscale, residenza o domicilio;
  • Numero e data di registrazione dell’eventuale contratto di locazione;
  • Dati catastali di ciascuna unità immobiliare di proprietà del singolo (se invariati non è necessario aggiornarne la comunicazione).

Anagrafe condominiale: tempi e modalità di comunicazione

La legge fissa anche dei precisi termini entro i quali è necessario aggiornare l’anagrafe condominiale riguardo all’ingresso, all’interno di un’unità immobiliare, di un nuovo inquilino. Per quanto riguarda il proprietario dell’immobile, esso ha l’obbligo di comunicare i dati del conduttore entro 60 giorni dalla registrazione del contratto di locazione. La modalità non è specificata: è sufficiente una comunicazione in forma scritta (che siano una lettera, un fax o un’email); spesso è sufficiente inoltrare all’amministratore una copia della prima pagina del contratto di locazione. Notare che il prezzo d’affitto pattuito costituisce invece un dato privato e irrilevante ai fini della sicurezza del condominio, e non va quindi comunicato.

Per quanto riguarda gli obblighi dell’amministratore invece, la legge prevede che in caso di mancata comunicazione da parte dei proprietari egli debba sollecitare tramite raccomandata l’invio dei dati richiesti. Da quel punto, al decorrere del 30esimo giorno senza un completo adempimento, l’amministratore ha diritto ad acquisire le informazioni necessarie, «addebitandone il costo ai responsabili».

Ricordiamo che, oltre ai dati sensibili degli inquilini, l’anagrafe condominiale deve tenere traccia anche delle condizioni di sicurezza degli ambienti comuni di un edificio, registrando manutenzioni e controlli di impianti di sicurezza e antincendio. Proprio per questo, la mancata o incompleta compilazione dell’anagrafe condominiale può costituire addirittura motivo di revoca per un amministratore.

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Perché scegliere un amministratore di condominio?

Affidare la gestione di un condominio a un amministratore non è obbligatorio per legge al di sotto di un numero legale di proprietari di immobili. Quando però la sua nomina si rende necessaria, o nel caso in cui anche gli stabili più piccoli vogliano dotarsi di una gestione centralizzata, è bene comprendere perché scegliere il proprio amministratore di condominio è il primo passo per una convivenza serena.

Il ruolo della figura dell’amministratore di condominio va ben oltre la semplice gestione dei conti condivisi. È importante scegliere a chi affidare le pratiche del proprio palazzo condominiale valutandone le caratteristiche e la capacità. Solo attraverso professionalità, competenza e dedizione all’ascolto, infatti, è possibile trasformare il proprio condominio in una piccola comunità collaborativa e solidale.

La legge offre inoltre la possibilità di revocare o di rinnovare la nomina degli amministratori condominiali. La carica a tempo determinato è, in questo senso, un vero e proprio strumento democratico. In tal modo si permette ai condomini di tirare le somme del lavoro svolto a fine mandato. Se i proprietari, al termine dell’incarico, si ritrovassero insoddisfatti della gestione, rilevassero poca trasparenza o se addirittura dovessero riscontrare irregolarità, non dovrebbero temere di cambiare amministratore. La differenza da una gestione all’altra è ben evidente e tutt’altro che puramente nominale.

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Come scegliere un buon amministratore di condominio?

Litigi, malintesi e contesi sono all’ordine del giorno per chi fa questo mestiere. Nonostante sarebbe auspicabile evitare discussioni, purtroppo è spesso inevitabile aprire dibattiti su questioni delicate. Ecco allora che un buon amministratore non cerca solo di arginare le liti condominiali, ma si applica anche per risolverle nel miglior modo possibile, ricercando compromessi e favorendo il dialogo. L’empatia, la predisposizione all’ascolto e la capacità comunicativa sono i due primissimi requisiti da ricercare in un amministratore condominiale.

Riguardo la conoscenza della materia giuridica, è evidente che solo un esperto informato può amministrare correttamente un condominio. Questo emerge già a partire dalle principali e più ordinarie attività dell’amministratore. Ad esempio, il rispetto delle maggioranze assembleari nel corso delle votazioni, o ancora la conoscenza delle competenze dell’assemblea. Un amministratore ben formato è anche responsabile dell’equa ripartizione delle spese fra condomini, con il sostegno delle tabelle millesimali appositamente redatte.

Spesso, però, portare con sé i regolamenti condominiali e gli articoli del Codice Civile relativi all’amministrazione non basta. La materia è infatti ricca di casistica e piena di eccezioni, ed è quanto mai frequente che debba essere proprio la Corte Suprema a fare chiarezza su precise interpretazioni e risoluzioni di controversie. Ecco quindi che un amministratore aggiornato sulle ultime sentenze della Corte di Cassazione è anche capace di risolvere meglio i dubbi dei suoi condomini.

Empatia, competenza e continua formazione non sono valori aggiunti, ma requisiti fondamentali: ecco perché è importante scegliere un bravo amministratore di condominio, e non accontentarsi di una gestione mediocre.

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Passaggio di consegne tra amministratori di condominio

Un amministratore non è per sempre. Di norma, l’incarico di gestione economica e amministrativa di un condominio dura un anno, salvo rinnovo per altri 12 mesi. E quando invece di un rinnovo avviene il subentro di un nuovo amministratore? L’articolo 1129 del Codice Civile stabilisce precisi obblighi e doveri dell’amministratore uscente (il mandatario) nei confronti del nuovo (il mandante). Vediamo come funziona il passaggio di consegne tra amministratori di condominio.

Il primo punto fermo stabilito dalla legge è che il mandatario renda conto del suo operato al nuovo amministratore, rimettendogli «tutto ciò che ha ricevuto». Questo comporta il trasferimento di un’ingente quantità di documenti di natura fiscale e legale. Si tratta infatti dell’insieme di pratiche afferenti al condominio e ai singoli condomini. Si tratta in questo caso dell’obbligo di rendiconto disposto dall’articolo 1713 CC. Oltre alla consegna della documentazione, l’amministratore uscente ha anche l’obbligo di

eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.

Per quanto riguarda il nuovo amministratore, ricordiamo che la comunicazione dell’importo dovuto a titolo di compenso per la sua attività deve essere fatta – pena la nullità della nomina – all’atto dell’accettazione stessa.

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Passaggio di consegne fra amministratori: quali documenti servono?

La legge si è limitata in questo caso ad esprimere un generico obbligo di consegna di tutta la documentazione relativa al condominio e ai condomini. Spesso, pertanto, nel passaggio fra un amministratore e l’altro non mancano litigi e fraintendimenti riguardo il materiale dovuto.

A risolvere questo vacuum è intervenuto il Tribunale di Palermo con un’Ordinanza emessa il 28 gennaio 2014. In questa sentenza si legge un esaustivo elenco di documenti che l’amministratore uscente è obbligato a consegnare in seguito al passaggio di consegne. Nello specifico, si tratta di:

  •  ultimo bilancio approvato, con reso conto successivo sino al passaggio delle consegne.
  • Registro anagrafe condominiale.
  • Tabelle millesimali e regolamento condominiale.
  • Chiavi e timbri del condominio.
  • Registri dei verbali di assemblea.
  • Contratti con le ditte fornitrici e relative fatture solutorie (luce, acqua, manutenzione ascensore, pulizia scala, autoclave, ecc.).
  • Libretti di esercizio e documentazione relativa agli impianti comuni.
  • Codice fiscale del condominio.
  • Passaggio del conto corrente e/o dei conti correnti condominiali e chiavi di accesso online.
  • Polizza di assicurazione del fabbricato.
  • Certificato di prevenzione incendi.
  • Eventuali contratti di appalto opere straordinarie, stato di avanzamento lavori, certificato di collaudo e di esecuzione a regola d’arte dell’opera.
  • Disciplinare d’incarico con il direttore dei lavori.
  • Atti giudiziari per i contenziosi che hanno medio tempore coinvolto il condominio.
  • Certificazione del modello 770, nonché la comunicazione all’anagrafe tributaria dell’ammontare dei beni e servizi, anche per l’amministratore cessato dalla carica per il suo subentro.
  • Documentazione di chiusura cassa.
  • Ogni altra documentazione condominiale di carattere contabile o amministrativo necessaria o utile alla prosecuzione della gestione corrente.