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Rumori Molesti in Condominio: Norme e Soluzioni Efficaci

I rumori molesti in condominio sono una delle cause più comuni di tensioni nei condomini e possono compromettere la qualità della vita di chi abita questi spazi condivisi. Comprendere come affrontare il problema in modo efficace, nel rispetto della normativa italiana, è essenziale per preservare la serenità e il buon vicinato. Questo articolo approfondisce le normative vigenti, gli strumenti a disposizione e le strategie per prevenire e gestire i conflitti.

Cosa Dice la Legge sui Rumori Molesti

La regolamentazione dei rumori molesti in condominio si basa su diverse fonti normative. L’articolo 844 del Codice Civile rappresenta il riferimento principale, stabilendo che le immissioni (tra cui quelle sonore) non devono superare la “normale tollerabilità”. Questo concetto è volutamente generico, poiché deve essere valutato caso per caso, considerando fattori come intensità del rumore, durata, orario e contesto ambientale. In una zona urbana molto rumorosa, per esempio, il livello di tollerabilità sarà differente rispetto a un’area residenziale tranquilla.

Oltre al Codice Civile, anche l’articolo 659 del Codice Penale è fondamentale in materia. Esso prevede sanzioni per chi disturba la quiete pubblica o il riposo delle persone, configurando un illecito penale nei casi più gravi. Infine, i regolamenti comunali e condominiali completano il quadro normativo, specificando gli orari di quiete e i comportamenti consentiti all’interno degli spazi comuni.

Tipologie di Rumori Molesti e Situazioni Comuni

I rumori molesti possono assumere molte forme. Tra le situazioni più comuni che generano conflitti troviamo:

  • Musica ad alto volume o televisione accesa fino a tarda notte.
  • Abbaio costante di cani lasciati soli in appartamento.
  • Utilizzo di elettrodomestici rumorosi, come aspirapolveri o lavatrici, durante le ore di riposo.
  • Lavori di bricolage o ristrutturazione svolti in orari non consentiti.
  • Attività nei locali comuni, come feste o utilizzo improprio delle aree condivise.

Ciascuna di queste situazioni può causare disagio, soprattutto se il comportamento del vicino è reiterato o avviene in orari di quiete, come la notte o il primo pomeriggio. Tuttavia, non tutti i rumori sono considerati “molesti” per legge. Ad esempio, il pianto di un bambino o i normali rumori di vita quotidiana, come i passi, non possono essere sanzionati.

Come Affrontare i Rumori Molesti in Condominio

Per gestire efficacemente il problema, è importante seguire un approccio graduale che privilegi il dialogo e il buon senso. Ecco i passaggi consigliati:

  1. Comunicazione Diretta: La prima azione da intraprendere è sempre il dialogo con il vicino rumoroso. Spesso, le persone non si rendono conto del disturbo che causano, e una segnalazione cortese può essere sufficiente per risolvere la questione.
  2. Intervento dell’Amministratore: Se il problema persiste, è possibile coinvolgere l’amministratore di condominio, il quale ha il compito di richiamare il condomino al rispetto del regolamento. L’amministratore può inviare una comunicazione formale, che spesso ha un effetto deterrente.
  3. Convocazione di un’Assemblea Straordinaria: Nei casi in cui il disturbo coinvolga più condomini, è possibile proporre una modifica al regolamento condominiale, ad esempio stabilendo orari di silenzio più restrittivi o introducendo specifiche sanzioni per i trasgressori.
  4. Denuncia alle Autorità: In presenza di rumori gravi e continuativi, come feste notturne o lavori non autorizzati, è possibile rivolgersi alle autorità competenti, come Carabinieri, Polizia Locale o Procura della Repubblica. La denuncia deve essere accompagnata da prove, come video o registrazioni.
  5. Azione Legale e Perizia Fonometrica: Quando il rumore è oggettivamente insopportabile, è consigliabile richiedere una perizia fonometrica, condotta da un tecnico specializzato. Questa serve a dimostrare che il livello del rumore supera la soglia di tollerabilità, fornendo una base solida per un’azione legale.

Il Ruolo dell’Amministratore di Condominio

L’amministratore riveste un ruolo centrale nella gestione dei conflitti legati ai rumori molesti. È suo compito:

  • Mediare tra le parti coinvolte, cercando di risolvere il problema in modo amichevole.
  • Garantire il rispetto del regolamento condominiale, intervenendo con richiami scritti o avvisi formali.
  • Proporre modifiche al regolamento, come l’introduzione di nuove norme sugli orari di silenzio o sulle sanzioni per i trasgressori.
  • Supportare i condomini nelle eventuali azioni legali, fornendo documentazione o relazioni utili.

In un’epoca sempre più tecnologica, l’amministratore può anche promuovere l’adozione di strumenti innovativi, come app per la comunicazione tra condomini o regolamenti digitali facilmente accessibili.

Buone Pratiche per Prevenire i Conflitti

La prevenzione è sempre la migliore soluzione. Ecco alcune buone pratiche per evitare che i rumori diventino motivo di conflitto:

  • Rispettare gli orari di quiete: Solitamente indicati nel regolamento condominiale, comprendono la fascia notturna (22:00-7:00) e quella pomeridiana (13:00-16:00).
  • Investire in isolamento acustico: Materiali fonoassorbenti, tappeti o doppi vetri possono ridurre significativamente la trasmissione dei rumori.
  • Comunicare in anticipo: Avvisare i vicini in caso di lavori di ristrutturazione o altre attività rumorose dimostra rispetto e può prevenire malintesi.

Conclusione

Affrontare i rumori molesti in condominio richiede un equilibrio tra il rispetto reciproco e l’applicazione delle normative vigenti. Un approccio basato sul dialogo, supportato dall’intervento dell’amministratore e, se necessario, dalle autorità, può garantire una convivenza serena e rispettosa. Se hai bisogno di assistenza nella gestione di queste problematiche o desideri approfondire le soluzioni disponibili, non esitare a contattare il nostro studio: siamo a tua disposizione per aiutarti a vivere serenamente nel tuo condominio.

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Debiti dell’immobile all’asta: chi deve pagare?

Purtroppo è sempre più frequente la messa all’asta di un immobile. Quando questo avviene in un contesto condominiale, bisogna tenere conto anche degli eventuali debiti lasciati dal vecchio proprietario nei confronti delle casse del condominio. Una volta che l’unità immobiliare  viene venduta, chi deve pagare i debiti dell’immobile? La questione è rilevante sia per il nuovo proprietario sia per gli altri condomini che temono di doversi accollare tutto il non pagato.

È chiaro che per mettere all’asta l’immobile di un debitore non è sufficiente il mero decreto ingiuntivo che l’amministratore di condominio può inviare al moroso. Questo è solo la prima fase di un processo che, se i debiti non vengono saldati, può arrivare alla messa all’asta. A questo punto, viene inviata al Tribunale territoriale competente la richiesta di procedura esecutiva immobiliare. A presentarla è direttamente il creditore, che può essere tanto il condominio quanto un istituto bancario – oppure, l’azione congiunta di entrambe le parti.

Anche una volta che l’immobile venga venduto all’asta, non è detto però che il ricavato sia sufficiente a ricoprire tutti i debiti lasciati dal vecchio proprietario. Il nuovo acquirente si ritrova così ad avere un’unità immobiliare “morosa” nei confronti del condominio al quale appartiene. A questo punto, a rigor di logica, il nuovo proprietario è anche il nuovo debitore. Si tratta, difatti, di un obbligo propter rem. Che dipende, quindi, da un titolo di proprietà del soggetto su un bene.

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I debiti dell’immobile all’asta sono del nuovo proprietario? Non solo

La norma di riferimento per risolvere questo dubbio è l’articolo 63 delle disposizioni attuative del Codice Civile. Qui si legge chiaramente che

Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.

L’obbligazione in solido significa che non esiste una ripartizione predefinita delle spese per ripagare il debito. Ciò che conta è che sia restituita l’intera somma dovuta: poco importa se con una quota da parte di ciascuno o se integralmente dal nuovo proprietario. La situazione che più spesso si concretizza è quella del pagamento integrale dei debiti dell’immobile all’asta da parte del nuovo acquirente. Il quale, poi, ha diritto a rifarsi sul vecchio proprietario chiedendogli il rimborso relativo al periodo della sua titolarità sull’immobile.

È bene sottolineare anche l’orizzonte temporale fissato dalla norma. Per quanto riguarda quindi debiti pregressi, quindi, il saldo del debito non può essere richiesto al nuovo proprietario. Ricordiamo anche che ci si riferisce all’anno di chiusura di esercizio del bilancio del condominio, e non all’anno solare.

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Condominio senza amministratore: è possibile?

L’amministratore è una figura essenziale per il condominio. A questo soggetto spettano infatti una serie di obblighi e incombenze di natura legale, fiscale e amministrativa. La legge ha però stabilito, con la Riforma del Condominio del 2012, un preciso limite oltre il quale un condominio è obbligato a nominare un amministratore. Il limite specifico è fissato a 8 unità immobiliari (e non, come a volte si pensa, 8 inquilini). Oltre questa soglia, la presenza di questa figura obbligatoria. Come funziona quindi un condominio senza amministratore? Che succede se, pur superando le 8 unità, non si provvede a nominare il proprio amministratore?

Ricordiamo che, al di sotto degli 8 proprietari, non viene meno l’attribuzione di condominio. Questo status si configura infatti in maniera automatica ogni volta che in un edificio con delle parti comuni convivano almeno 2 proprietari. Nel caso in cui le unità immobiliari non superino il fatidico numero, si parla quindi di condominio minimo. Un “regime” per il quale valgono tutte le regole disposte dal Codice Civile per il condominio, ad eccezione dell’obbligo di nomina di un amministratore e di adozione di un regolamento. Quest’ultimo, lo ricordiamo, diventa obbligatorio solo in condomini con almeno 10 proprietari.

È quindi certamente possibile abitare in un condominio senza amministratore nel caso in cui le unità che lo compongono siano inferiori a 8. Può capitare però che in un condominio scada la nomina di un amministratore e che non si trovi l’accordo per rinnovarlo. Oppure, che un evento inaspettato prolunghi i tempi per la riunione dell’assemblea che dovrebbe approvare la nomina già decisa. Cosa succede in questo caso?

Condominio senza amministratore anche quando è obbligatorio: cosa succede?

Poniamo il caso che in un condominio con obbligo di nomina vi siano alcuni condomini propensi a rispettare quando prescritto dalla legge e altri condomini restii a dotarsi di un nuovo amministratore. In questo caso, i proprietari volenterosi possono innanzitutto ricorrere alla via legale. Recandosi presso il proprio tribunale di riferimento, essi possono infatti ottenere la nomina giudiziale di un amministratore. Si tratterebbe quindi di un atto preso in sostituzione dell’approvazione di una delibera assembleare.

Ciò detto, è bene sapere che un condominio senza amministratore non rischia sanzioni di alcun tipo. O meglio, non rischia sanzioni per il fatto di essere sprovvisti di amministratore. Tutte le incombenze fiscali e legali (ad esempio, la presentazione del modello 770 del condominio) vanno naturalmente rispettate. Ad occuparsene potrà essere un condomino (o un gruppo) volenteroso. La legge sembra tacitamente accettare questa gestione casalinga. All’articolo 1129 del Codice Civile si legge infatti l’obbligo di esposizione nelle aree comuni dei recapiti dell’amministratore o «della persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore». Discorso valido tanto per il condominio minimo, quanto per quello regolare.

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Definizione di condominio

Spesso ci ritroviamo a parlare di norme, regole e leggi riguardanti il condominio. Prima di discuterne applicazione e interpretazioni, sarebbe però utile avere chiaro un quadro generico sull’argomento, a partire proprio dalla definizione di condominio. Cosa rende questo istituto così peculiare e perché si distingue da altri tipi di categorie abitative? Cominciamo col dire che il legislatore non ha fornito una definizione chiara e inequivocabile di condominio. Possiamo però ricavarne una a partire dai suoi principali elementi giuridici. Il punto dal quale partire è il Codice Civile.

In particolare, sappiamo che il condominio è disciplinato nel Libro III del CC dedicato alla proprietà, all’interno del Titolo relativo alla comunione dei beni. Questo ci fornisce un’importante indicazione per comprendere la natura miscellanea della sua definizione. Una primissima formula che possiamo quindi utilizzare descrive un condominio come una costruzione nella quale coesistono unità abitative di proprietà esclusiva di singoli e parti comuni in comproprietà fra di essi. Lo stesso non si potrebbe dire di un edificio le cui singole unità appartengano a un unico proprietario.

È per questo motivo che la costituzione di un condominio è automatica. Non è richiesta la presentazione di alcun documento, ma avviene in automatico nel momento in cui all’interno di un plesso viene venduta un’unità immobiliare mantenendo la proprietà distinta delle altre. In questo modo, si instaura direttamente anche il regime di comunione per tutte le aree considerate comuni di un condominio, elencate a titolo esemplificativo all’articolo 1117 del Codice Civile.

Quanti proprietari servono per rientrare nella definizione di condominio

Secondo quanto appena detto, rientra nell’istituto del condominio anche una semplice villetta divisa in due appartamenti la cui proprietà esclusiva sia di due soggetti distinti che però condividono accesso e utilizzo di parti comuni. Come, ad esempio, il cortile di accesso o il cancello automatico.  In tal senso, il numero minimo di proprietari richiesto per la costituzione automatica di un condominio è due.

Esiste poi una distinzione operata indirettamente dal Codice Civile per quanto riguarda il condominio e il condominio minimo. Quest’ultimo è sottoposto alle stesse leggi del condominio per quando riguarda la ripartizione delle spese per la manutenzione di aree comuni. La differenza da rilevare sta nel numero di proprietari coinvolti. Se all’interno di un edificio coesistono meno di 8 proprietari, si parla di condominio minimo. I condomini in questo caso non sono tenuti a registrare il codice fiscale del proprio condominio, né a dotarsi di un amministratore o di un regolamento. Fatto salvo il rispetto delle norme civilistiche.

Quando invece i proprietari sono più di 8 la legge impone che i condomini nominino un amministratore. Questa figura si occupa di gestire la contabilità e le manutenzioni. Il suo operato è comunque sottoposto al volere dell’assemblea condominiale, che è l’organo democratico nel quale si riuniscono tutti i proprietari. Se i condomini arrivano a 10, il Codice Civile prevede che ci si doti anche di un regolamento condominiale, nel quale votare con le dovute maggioranze norme riguardo la convivenza civile.

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Ecobonus nel condominio minimo: come accedere

Gli sgravi fiscali garantiti dall’Ecobonus fanno gola a moltissimi proprietari. Il provvedimento inserito nel Decreto Rilancio permette di intraprendere grandi progetti di ristrutturazione in vista di un efficientamento energetico del proprio edificio. Da un lato, si vuole dunque investire in un sistema che riduca gli sprechi di energia, dall’altro si incentivano cantieri, lavori e opere in un settore già colpito dalla crisi. Molte sono però le discussioni rispetto alle misure dell’Ecobonus, che necessita di requisiti minimi specifici e di criteri di applicazione rigorosissimi. Parliamo oggi di un caso particolare. L’Ecobonus nel condominio minimo: è possibile accedervi? Entro che termini?

Innanzitutto, riprendiamo brevemente la definizione di condominio minimo. Sono così chiamati quegli edifici nei quali la proprietà è ripartita fra più soggetti, ma in numero inferiore a 8. Può rientrare in questa categoria, ad esempio, una villetta divisa in due appartamenti distinti e con due proprietari diversi. Al condominio minimo si applicano tutte le norme civilistiche riguardanti il condominio, fatta eccezione per l’obbligo di regolamento condominiale e amministratore che, in questo caso, non sussiste.

Sappiamo che l’Ecobonus 110% è accessibile ai condomini nella misura in cui gli interventi riguardino le parti comuni dell’edificio. Eppure, il pacchetto del Superbonus non è applicabile per gli interventi su parti comuni a unità immobiliari distintamente accatastate. Questo, sia che l’edificio abbia un unico proprietario, sia che valga la comproprietà di più soggetti. Cosa succede quindi nel caso del condominio minimo?

Condominio minimo ed Ecobonus: cosa dice il Decreto

È stata la stessa Agenzia delle Entrate a precisare, con la circolare n. 24/E dell’8 agosto 2020, l’applicazione degli incentivi fiscali. Qui si legge esplicitamente che è possibile fare richiesta per l’Ecobonus nel condominio minimo, che rientra quindi fra i beneficiari. Del resto, la costituzione di un condominio avviene in automatico, quindi non sarà necessario né dimostrarne la titolarità né richiedere il proprio codice fiscale condominiale.

L’importante è che l’intervento riguardi una parte comune del condominio minimo. A tal proposito, si consulti l’elenco (non esaustivo, ma illustrativo) all’articolo 1117 sulle aree comuni. Nel caso in cui un condominio minimo sia sprovvisto di codice fiscale, può accollarsi la richiesta per l’Ecobonus anche un singolo condòmino, che dovrà però dimostrare che i lavori riguarderanno parti comuni. Ricordiamo che non solo gli impianti di riscaldamento, ma anche il suolo stesso, il tetto, il lastrico solare e la facciata rientrano fra le aree in comproprietà.

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Cos’è un condominio minimo e come si ripartiscono le spese?

Sappiamo che per un edificio composto da unità immobiliari con proprietari diversi è obbligatorio nominare un amministratore solo con un numero di condòmini maggiore di 8 proprietari. Tuttavia, sappiamo anche che il condominio si costituisce automaticamente quando in un edificio convivono due proprietari distinti. La Riforma del 2012 ha quindi introdotto una serie di norme relative a tutte quelle realtà più “piccole” composte da un numero di condòmini compreso fra 2 e 8. Si tratta del cosiddetto condominio minimo. Vediamo cos’è, come si gestisce e come vengono ripartite le sue spese.

Un condominio deriva dalla coesistenza in uno stesso edificio di più unità immobiliari appartenenti a proprietari diversi. Prendiamo il caso di un villino indipendente, diviso in due piani. Le due abitazioni che ne derivano hanno accessi separati (ad esempio, con una scala esterna che permette l’accesso al piano superiore senza passare da quello inferiore). Il proprietario del villino vende i due appartamenti a due proprietari diversi. Ecco che, in automatico, l’edificio diventa un condominio minimo, e ad esso si applicheranno tutte le norme del Codice Civile.

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Queste norme serviranno per amministrare la gestione di aree e beni condivisi ai due proprietari. Parliamo, ad esempio, del vialetto di accesso, di un cancello d’ingresso, del cortile sottostante, ma anche del lastrico solare. Essendo i proprietari solo due, non sussiste l’obbligo di nominare un amministratore, anche se i due condòmini possono ugualmente delegare la gestione contabile dell’edificio a una figura esterna. Allo stesso modo, non è necessario nemmeno redigere e approvare un regolamento, obbligatorio a partire da 10 condòmini. Fra le norme che, all’atto pratico, più interesseranno i due condomini, rientrano sicuramente quelle sulla ripartizione delle spese.

Come si ripartiscono le spese nel condominio minimo?

Pur in assenza di amministratore e regolamento, i due proprietari dovranno sostenere delle spese per il mantenimento delle parti comuni e, in base alle norme del Codice Civile, ripartirle equamente. Un istituto condominiale che è quindi obbligatorio anche per il condominio minimo sono le tabelle millesimali. La loro approvazione è fondamentale per distribuire le spese. In caso di mancata compilazione, infatti, sarà il giudice a dover ricostruire dei criteri di ripartizione basati sul modello delle tabelle.

Le spese per le aree comuni, naturalmente, non vanno solo distribuite, ma anche approvate. Altro elemento quindi indispensabile nel condominio minimo è l’assemblea condominiale, in base alle stesse regole civilistiche del condominio “tradizionale”. Ovviamente, le norme su criteri di maggioranza e partecipazione si adeguano al numero di condomini. Nell’esempio del nostro villino, una decisione è da intendersi presa all’unanimità solo se all’assemblea perviene il voto favorevole di entrambi.