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Superbonus in condominio: come accedere

È ormai chiaro che gli incentivi fiscali del Superbonus 110%, prorogato fino al 2022, sono accessibili anche ai condomini. Vi sono, naturalmente, dei requisiti tanto nella tipologia di lavori effettuati quanto nelle aree condominiali interessate alla ristrutturazione. Vediamo quali sono le principali novità sul Superbonus in condominio e come accedere alle agevolazioni che, ricordiamo, sono indirizzate all’efficientamento energetico dell’edificio.

In linea di massima, quando parliamo di Superbonus in condominio (e non solo) dobbiamo sempre distinguere fra interventi trainanti e interventi trainati. Le agevolazioni fiscali sono cioè concesse (sotto forma di detrazione spalmata in 5 o 10 anni, cessione del credito o sconto in fattura) solo se i lavori riguardano un efficientamento energetico o sismico del condominio. A questi interventi principali possono poi essere accorpati anche lavori “accessori”.

Per accedere al Superbonus è necessario poi che l’edificio corrisponda all’istituto giuridico del condominio. Questo significa che la struttura dev’essere composta da almeno due unità immobiliari divise, di proprietà di due soggetti diversi e aventi in comproprietà alcune aree comuni. Traducendo questo requisito, il proprietario di un intero edificio diviso in varie unità date in locazione a terzi non rientra fra i beneficiari. Viceversa, è possibile accedere al Superbonus se un edificio con più proprietari è concesso in locazione ad un unico detentore.

Altra precisazione fondamentale riguarda l’oggetto dei lavori. Il Superbonus può coprire le spese di efficientamento delle aree comuni (quali interventi trainanti). Non può invece essere richiesto dai singoli proprietari per interventi relativi esclusivamente alle loro unità immobiliari. Facendo un classico esempio, è possibile richiedere il cappotto termico in corrispondenza della propria abitazione poiché il muro perimetrale è da considerarsi come bene comune. Sarà quindi necessaria una procedura di approvazione che coinvolga l’intera assemblea condominiale.

Proprietari dissenzienti o morosi: l’accesso al Superbonus in condominio è automatico?

Essendo il condominio composto da diverse voci, si possono configurare diverse situazioni. C’è il caso, ad esempio, del condomino moroso che sia indietro con i pagamenti delle spese condominiali. In questo caso, il proprietario non potrà accedere alle detrazioni fiscali del Superbonus in condominio a meno che non abbia saldato il proprio debito entro le tempistiche richieste.

Oppure, vi è il caso del condomino dissenziente che, in sede di votazione assembleare, abbia negato il proprio consenso alla realizzazione dei lavori. Come per tutte le altre decisioni condominiali, il proprietario dissenziente dovrà però sottostare alle decisioni prese dalla collettività riguardo gli interventi da realizzare. Con l’ovvia conseguenza che beneficerà anche degli incentivi fiscali annessi.

Infine, per quanto riguarda il compenso dell’amministratore, va precisato che questo non rientra fra le spese sostenute dal Superbonus in condominio. Mentre perizie, interventi e progetti di altri professionisti sono direttamente collegabili ai lavori, e sono quindi compresi nella detrazione, il compenso per l’attività dell’amministratore rientra fra le incombenze dei condomini (che si tratti di provvigioni extra o del compenso usuale).

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Spese per la mediazione condominiale: chi le paga?

Lite in condominio? Prima di arrivare davanti al giudice, la legge impone il ricorso a una mediazione extragiudiziale. Uno step obbligato per non sovraccaricare il già imponente lavoro dei Tribunali civili e dei Giudici di pace. La mediazione, come vedremo, è quindi obbligatoria per alcune categorie di dispute che riguardano condominio e un proprietario, condominio e un terzo o due condomini. Il procedimento deve poi necessariamente svolgersi in presenza di un avvocato. Chi deve pagare le spese per la mediazione condominiale?

Partiamo con il vedere quando la mediazione condominiale è obbligatoria. Con il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, si stabilisce che il ricorso a questo istituto extragiudiziale è obbligatorio in materia di:

  • Condominio – per questioni come, ad esempio, l’impugnazione di una delibera o il contesto di un’opera di un condomino, un presunto utilizzo illegittimo della cosa comune, un provvedimento preso dall’amministratore.
  • RCA e contratti bancari, finanziari e assicurativi o contratti di locazione.

In questi casi, la procedura della mediazione è addirittura condizione di procedibilità per poi poter avviare una domanda giudiziale davanti al giudice. Fanno eccezione invece (non vige l’obbligatorietà ma è comunque possibile ricorrere alla mediazione anziché direttamente al giudice):

  • Ricorsi d’urgenza (cautelari) o ricorsi contro decreti ingiuntivi.
  • Procedure per la revoca e la nomina dell’amministratore.
  • Procedimenti d’istruzione preventiva.

Una volta che si decide di intraprendere una mediazione condominiale, un ruolo centrale spetta all’assemblea. Quest’organo legittima l’amministratore a prendere parte alla gestione della procedura e nomina l’avvocato al quale affidare le pratiche. A questo punto, sorge spontaneo un dubbio: chi deve pagare le spese per la mediazione condominiale? All’interno di queste spese sono comprese sia la parcella dell’avvocato sia altre eventuali spese procedurali.

Ripartizione spese per la mediazione

Anche in questo caso, vige il principio generico che tutti i condomini devono concorrere al pagamento delle spese per la mediazione. Questo, naturalmente, perché la figura giuridica del Condominio è data dall’insieme delle singole parti di proprietà. Da questo si deriva anche che, se la lite è fra il Condominio e un singolo condomino, quest’ultimo non trova nello specifico caso una rappresentanza nel condominio, ed è quindi escluso dalla ripartizione delle spese.

Il criterio di ripartizione è, come è facile dedurre, quello stabilito all’articolo 1123. Ciascuno, quindi, pagherà le spese di mediazione condominiale in proporzione alla propria quota iscritta nelle tabelle millesimali.

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Piccioni in condominio: quali problemi provocano e come agire

Chi abita nelle grandi città non si scompone più di tanto alla vista di un piccione. Questi volatili hanno ormai fatto dei grandi centri urbani la loro casa, e dei davanzali delle abitazioni il loro rifugio. A volte, però, la presenza di piccioni può costituire un problema per un palazzo. Sia per la quantità di esemplari presenti sia per la particolare conformazione di un edificio che, rivestito da sporgenze e in una posizione riparata da sole e vento, si presta a essere il naturale alloggio di famiglie intere di questi animali. Quali sono i problemi legati ai piccioni in condominio?

Il principale problema dei piccioni in condominio è connesso a un discorso di igiene pubblica. Gli escrementi di questo volatile sono infatti potenzialmente pericolosi per la salute. Tramite il guano di questi uccelli si possono diffondere malattie come la salmonellosi e criptococcosi. Infezioni che possono diffondersi non solo con il contatto, ma anche per via aerea. Per non parlare della corrosione di parapetti, ringhiere e muri perimetrali del condominio proprio a causa dell’acido nitrico contenuto negli escrementi di piccione. A tutto questo, si aggiunge il disagio dei condomini che non possono stendere fuori i propri panni o che devono riparare i propri balconi dalla presenza di questi animali.

Ecco quindi che una semplice “condivisione di spazi” con la natura si trasforma in una convivenza difficile. Esistono alcuni rimedi naturali ma anche soluzioni più complesse e drastiche per ridurre la presenza di piccioni o disincentivare l’appoggio sulle sporgenze del proprio palazzo. Come gestire i danni provocati dai piccioni in condominio? Chi se ne deve occupare? A chi spettano eventuali spese? La questione della ripartizione è infatti resa ancora più delicata dal fatto che spesso questi animali si concentrano in una facciata sola o in uno specifico piano alto del palazzo.

Spese per i danni dei piccioni in condominio

La presenza dei piccioni in un condominio riguarda perlopiù gli inquilini dei piani alti o quelli degli appartamenti esposti a particolari condizioni climatiche e di luce. Nonostante questo, è bene precisare che si tratta di una minaccia alla salute di tutti i proprietari. Anche quelli dei piani più bassi che, pur non essendo preda dei piccioni, sono bersaglio involontario dei loro escrementi. Ecco perché qualsiasi misura presa, per iniziativa dell’amministratore di condominio e con l’approvazione dell’assemblea, dev’essere condivisa nell’interesse di tutti.

Mettere in atto procedure di sanificazione, interne ed esterne, rientra sicuramente fra le soluzioni più appropriate. Pur tenendo presente che non si tratta di un rimedio definitivo e duraturo nel tempo. L’assemblea può anche scegliere di installare dei dissuasori per piccioni, costituiti da reti elettriche o metalliche che proteggono i davanzali impedendo ai volatili di appoggiarsi. È possibile addirittura munirsi di dissuasori a ultrasuoni per infastidire (senza naturalmente danni collaterali per l’animale) i piccioni.

L’importante è che i condomini siano consapevoli che, trattandosi di misure per la sicurezza di tutto l’edificio, è necessario ripartire le spese fra tutti i proprietari in base alle tabelle millesimali. Per quanto riguarda il voto in assemblea, sarà sufficiente l’approvazione di almeno metà del valore dell’edificio in millesimi.

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Definizione di condominio

Spesso ci ritroviamo a parlare di norme, regole e leggi riguardanti il condominio. Prima di discuterne applicazione e interpretazioni, sarebbe però utile avere chiaro un quadro generico sull’argomento, a partire proprio dalla definizione di condominio. Cosa rende questo istituto così peculiare e perché si distingue da altri tipi di categorie abitative? Cominciamo col dire che il legislatore non ha fornito una definizione chiara e inequivocabile di condominio. Possiamo però ricavarne una a partire dai suoi principali elementi giuridici. Il punto dal quale partire è il Codice Civile.

In particolare, sappiamo che il condominio è disciplinato nel Libro III del CC dedicato alla proprietà, all’interno del Titolo relativo alla comunione dei beni. Questo ci fornisce un’importante indicazione per comprendere la natura miscellanea della sua definizione. Una primissima formula che possiamo quindi utilizzare descrive un condominio come una costruzione nella quale coesistono unità abitative di proprietà esclusiva di singoli e parti comuni in comproprietà fra di essi. Lo stesso non si potrebbe dire di un edificio le cui singole unità appartengano a un unico proprietario.

È per questo motivo che la costituzione di un condominio è automatica. Non è richiesta la presentazione di alcun documento, ma avviene in automatico nel momento in cui all’interno di un plesso viene venduta un’unità immobiliare mantenendo la proprietà distinta delle altre. In questo modo, si instaura direttamente anche il regime di comunione per tutte le aree considerate comuni di un condominio, elencate a titolo esemplificativo all’articolo 1117 del Codice Civile.

Quanti proprietari servono per rientrare nella definizione di condominio

Secondo quanto appena detto, rientra nell’istituto del condominio anche una semplice villetta divisa in due appartamenti la cui proprietà esclusiva sia di due soggetti distinti che però condividono accesso e utilizzo di parti comuni. Come, ad esempio, il cortile di accesso o il cancello automatico.  In tal senso, il numero minimo di proprietari richiesto per la costituzione automatica di un condominio è due.

Esiste poi una distinzione operata indirettamente dal Codice Civile per quanto riguarda il condominio e il condominio minimo. Quest’ultimo è sottoposto alle stesse leggi del condominio per quando riguarda la ripartizione delle spese per la manutenzione di aree comuni. La differenza da rilevare sta nel numero di proprietari coinvolti. Se all’interno di un edificio coesistono meno di 8 proprietari, si parla di condominio minimo. I condomini in questo caso non sono tenuti a registrare il codice fiscale del proprio condominio, né a dotarsi di un amministratore o di un regolamento. Fatto salvo il rispetto delle norme civilistiche.

Quando invece i proprietari sono più di 8 la legge impone che i condomini nominino un amministratore. Questa figura si occupa di gestire la contabilità e le manutenzioni. Il suo operato è comunque sottoposto al volere dell’assemblea condominiale, che è l’organo democratico nel quale si riuniscono tutti i proprietari. Se i condomini arrivano a 10, il Codice Civile prevede che ci si doti anche di un regolamento condominiale, nel quale votare con le dovute maggioranze norme riguardo la convivenza civile.

Christian Sterk/Unsplash

Fumi e odori molesti in condominio. Che fare?

Odori molesti, fumi esagerati e vapori invadenti. Non tutte le molestie dei vicini sono tangibili. Spesso, anzi, le più fastidiose hanno una natura intangibile. La legge ha previsto degli strumenti per tutelarsi contro queste immissioni, ma è sempre bene valutare caso per caso la via migliore per agire. Il perno centrale della questione sta nel dimostrare la non tollerabilità di queste esalazioni. Come fare? Come difendersi da fumi e odori molesti in condominio?

Inquadriamo innanzitutto la situazione a livello giuridico. Emanare dal proprio appartamento una quantità ingente di fumo o di odori può costituire un reato.  E non importa che per qualcuno si tratti di odorini invitanti. Basti ricordare la sentenza che condannò un condomino per aver esagerato con gli odori di fritto… Questo tipo di reato rientra nella stessa categoria, ad esempio, del lancio di sigarette nel giardino privato del vicino o del condomino di sotto. Si tratta dello stillicidio, regolato dall’articolo 674 del Codice Penale.

Ciò che conta non è tanto la natura del fumo o degli odori. In tal senso, anche un innocente barbecue in balcone può costituire una vera e propria molestia passibile di denuncia se reiterata senza rispetto delle richieste altrui. Il punto, come dicevamo, sta nel non superare la soglia di tollerabilità che chiunque accetti di vivere in condominio acconsente tacitamente di sopportare. Quando si supera questa soglia e come dimostrarlo?

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Tollerabilità di fumi e odori molesti: come dimostrarla?

Abbiamo detto che l’immissione di gas e fumi maleodoranti costituisce un reato. Se quindi i richiami dell’amministratore non sono sufficienti a interrompere le routine del tuo vicino, puoi ricorrere anche alla via legale. Se ritieni che i fumi e gli odori del tuo vicino siano davvero molesti e superino la cosiddetta soglia di tollerabilità, dovrai però cercare di dimostrarlo al giudice, che non potrà ovviamente basarsi sulla tua sola parola.

Che si tratti di emissioni industriali di gas, detergenti o detersivi molto forti o di odori provenienti da una cucina, per denunciare è bene avere dalla propria parte due requisiti:

  • Innanzitutto, che il gettito di odori molesti sia un’azione ripetuta nel tempo. Se, ad esempio, avete già fatto una diffida nei confronti del vicino, potrete provare il comportamento recidivo dello stesso.
  • Una dimostrazione della non tollerabilità degli odori. Sebbene esistano degli strumenti tecnici capaci di rilevare l’intensità di un profumo, non sempre si riesce a registrare l’esalazione nel momento in cui sovviene. Per questo, è il giudice potrebbe ritenere sufficienti anche dei testimoni che riportino in modo oggettivo una conferma all’accusa.

Un altro elemento da tener presente è la natura del reato. L’emissione di fumi e odori molesti costituisce un illecito civile se incide negativamente sulle abitudini dei vicini. Così, ad esempio, è passibile di denuncia anche un vicino che usi costantemente la candeggina per pulire il balcone, costringendo gli altri condomini a tener chiusa la finestra. Si tratta di un illecito penale solo se in questa molestia sono coinvolti anche altri soggetti in numero indefinito – così, ad esempio, il caso di una fabbrica le cui esalazioni danneggino non solo chi vive nello stesso abitato ma anche chi fosse di passaggio.

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Rumori molesti in condominio: come proteggersi

Rumori condominiali molesti: una vera e propria piaga per molti proprietari, costretti a rivedere la propria routine di riposo a causa di vicini insolenti. Se da un lato è bene considerare anche le condizioni del luogo, ad esempio una struttura con muri sottili e poco fonoassorbenti, dall’altro non è giusto rinunciare al proprio sonno per un dirimpettaio irrispettoso. Spesso e volentieri i semplici richiami, infatti, cadono nel vuoto. A quel punto, ti chiederai: che cosa posso concretamente fare per risolvere il problema? Come proteggersi dai rumori molesti in condominio?

La prima persona cui fare affidamento se si vuole risolvere il problema dei rumori molesti in condominio è l’amministratore. Questa figura ha infatti il compito di verificare che tutti i proprietari rispettino gli spazi e i beni comuni. Ivi compresi la legittima quiete di scale e pianerottoli attraverso i quali i rumori si possono propagare. Non solo.

L’amministratore può aiutarti a scoprire se nel vostro regolamento condominiale esistano norme specifiche riguardo ai rumori. In caso negativo, potreste valutare insieme di proporre all’assemblea l’inserimento nel regolamento, ad esempio, di vincoli legati a determinate fasce orarie. Le disposizioni attuative del Codice Civile ammettono inoltre che il condominio possa stabilire delle sanzioni economiche per il mancato rispetto di tali norme. Sanzioni che possono arrivare ai 200 euro una tantum, e che raggiungono gli 800 euro in caso di recidiva. Un deterrente che può concretamente risolvere il problema dei rumori molesti da parte del vicino. Anche in assenza di sanzioni economiche scritte, il richiamo al rispetto di una norma a un proprietario rumoroso rientra fra gli obblighi di un buon amministratore.

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Rumori molesti in condominio e tollerabilità: qual è il confine?

Se, invece, il supporto dell’amministratore dovesse rivelarsi insufficiente, per sua negligenza o perché i vostri richiami sono stati ignorati, rimane la soluzione della via legale. I tribunali hanno spessissimo dovuto affrontare controversie legate ai rumori molesti in condominio. Il problema di queste situazioni sta nell’onere della prova, a carico di chi protesta, della non tollerabilità dei rumori e del loro verificarsi in fasce orarie “protette”.

L’articolo 844 del CC riguardo alle immissioni afferma che un proprietario non possa impedire i rumori derivanti dal fondo vicino, a meno che non superino la normale tollerabilità. Valutazione nella quale deve rientrare anche la condizione dei luoghi e che, quindi va esaminata in modo più ampio rispetto al singolo rumore.

Una perizia oggettiva – ad esempio, con una registrazione – sarebbe sufficiente a dimostrare chiaramente la tollerabilità di un rumore. Per dare un carattere “istituzionale” e quindi ancor più valido dinanzi a una Corte, è possibile rivolgersi anche a strutture che, con appositi macchinari, possano registrare il livello di rumorosità secondo delle precise soglie di tollerabilità. Rilasciando anche un attestato.

È possibile portare in tribunale anche la semplice parola di altri testimoni. Questo, a patto che affermino di aver percepito rumori della stessa intensità rispetto a quella lamentata dal facente causa. In tal caso, sarà poi il giudice a determinare la veridicità di quanto detto, stabilendo se si tratti di una semplice lamentela ingiustificata o se invece il danno provocato dal rumore e quindi dal disturbo del sonno richieda un vero e proprio risarcimento.

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Covid-19 e sanificazione in condominio: quando e come farla

La pulizia settimanale delle scale non basta più. Molti condomini stanno scoprendo come l’igiene dei propri spazi comuni sia un compito serio e urgente. Tanto più, perché spesso le aree condominiali sono rimaste l’unica occasione di contatto e di socializzazione per molte persone. È bene quindi che l’amministratore si faccia carico di questo compito e pianifichi tutte le azioni necessarie per tenere sotto controllo la diffusione delvirus. Parliamo di sanificazione anti-Covid-19 in condominio: quando e come farla? Cominciamo col chiarire una distinzione di primaria importanza.

Sanificare e igienizzare sono la stessa cosa?

I due termini vengono spesso utilizzati come sinonimi, ma in realtà implicano due procedimenti diversi. Igienizzare, disinfettare e pulire rientrano nelle pratiche quotidiane già solitamente svolte dalle imprese di pulizia. Passaggi che, in questo momento, richiedono una cura ancora maggiore, specialmente quando si tratta di mantenere puliti e igienizzati gli ambienti comuni di un condominio.

Sanificare è invece un’azione più complessa, che mira al generico intento di rendere più sano l’ambiente. In questo rientrano certamente le azioni di pulizia classiche, compresa l’igienizzazione degli spazi. Per sanificare, però, a questa routine bisogna aggiungere anche misure per il miglioramento di altre condizioni ambientali: l’umidità, il microclima, la pulizia dell’aria etc. Anche aprire frequentemente le finestre per arieggiare le scale e i pianerottoli può essere una pratica utile per la sanificazione, in questo senso.

Per questo la sanificazione è un procedimento molto più complesso ma anche più efficace, specialmente quando la trasmissione aerea del virus è così aggressiva. Esistono, per questo motivo, delle ditte specializzate in sanificazione che, a prova della loro professionalità, sono iscritte in un albo apposito e dimostrano di saper utilizzare macchinari  e prodotti specifici. Non tutte le imprese di pulizie hanno gli strumenti per operare una sanificazione approfondita.

Sanificazione in condominio: quando va fatta?

Preso atto del fatto che detergere e igienizzare le principali superfici di contatto non equivalga a una vera e propria sanificazione, ci potremmo chiedere: quando è necessario fare una sanificazione in condominio? Una buona pratica di amministrazione del condominio sarebbe quella di pianificare una serie di interventi periodici e regolari, che comprendano sia le quotidiane regole di disinfezione sia il più complesso procedimento di sanificazione.

Non esistono vincoli in tal senso. La sanificazione di un ambiente chiuso ma trafficato come possono essere alcune aree condominiali condivise è ovviamente indicata se nel palazzo risiedono casi positivi accertati, in quarantena o casi sospetti in auto-isolamento preventivo. In tal caso, è possibile anche che siano le stesse autorità competenti a predisporre delle ordinanze specifiche. Anche in assenza di inquilini positivi al virus, sarebbe buona norma pensare a una sanificazione preventiva, specialmente delle aree più trafficate come l’ascensore, le scale, un cortile interno, un garage.

Sanificazione Covid-19 in condominio: chi la decide?

Come detto, la decisione di operare una sanificazione in condominio può provenire direttamente da un’autorità esterna, ad esempio nel caso di positivi accertati o di quarantene imposte. È bene anche precisare che non è necessario l’intervento dell’assemblea per ordinare la sanificazione degli ambienti comuni condominiali. La decisione rientra infatti in una manutenzione straordinaria ma allo stesso tempo urgente.

La sanificazione causa Covid-19 in condominio può quindi essere presa in carico anche dall’amministratore stesso che poi, alla luce dell’articolo 1135, ne riferirà alla prima riunione dell’assemblea.

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Vano per i contatori elettrici: è un bene condominiale?

Tutti i condomini sono dotati di un locale, che sia una stanza nel sottoscala, una parte della cantina o un vano, nel quale sono riposti i vari contatori elettrici dei singoli appartamenti. L’articolo 1117 del Codice Civile ci fornisce un elenco di quelli che vadano considerati come beni condominiali, quindi condivisi in comunione fra tutti i condòmini. Bisogna però considerare che si tratta di un elenco non esaustivo, come più volte ribadito anche dalle pronunce della stessa Cassazione. Il vano per i contatori elettrici è un bene condominiale?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo avere chiaro cosa si intenda per bene condominiale. L’articolo 1117 relativo alle parti comuni dell’edificio infatti fornisce un elenco non tassativo. Possiamo però rinvenire negli elementi qui indicati un fattore comune, dato dalla funzione di questi beni come fondamentali per l’esistenza stessa del condominio.

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Vano per i contatori elettrici: la pronuncia della Cassazione

Nel caso del vano per i contatori elettrici, è possibile evidenziare una sua accessorietà al godimento delle singole unità del condominio. Si tratta, infatti, di un locale la cui destinazione ha una concreta funzione condominiale. Lo ha ribadito la stessa Cassazione con la decisione n. 4890 del 24/2/20, della quale basta estrapolare un passaggio.

Pertanto qualora, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, il bene serva al godimento delle parti singole dell’edificio comune, si presume -indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini o soltanto da alcuni di essi- la contitolarità necessaria di tutti i condomini su di esso.

Lo stesso articolo 1117 aggiunge anche che questa presunzione di comunione è valida «se non risulta da contrario titolo». Per rivendicare la proprietà esclusiva di uno di questi beni è quindi necessario presentare delle prove, vale a dire un titolo d’acquisto, che dimostri in maniera innegabile la natura privata del bene. Sono validi a tale scopo anche un regolamento contrattuale, atti che ne dimostrino l’avvenuta usucapione o un testamento. L’onere probatorio è a carico della parte che ne reclama l’utilizzo esclusivo. A meno, quindi, di una dimostrazione in tal senso, anche il vano per contatori elettrici è da presumersi un bene condominiale.

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Passo carrabile in condominio

Il passo carrabile serve per facilitare l’accesso di un utente alla sua proprietà privata. Quando, però, la proprietà privata in questione è un’unità immobiliare contenuta in un condominio, possono crearsi delle liti. Il permesso di affiggere un passo carrabile, richiedibile al Comune, ha infatti dei costi di gestione rappresentati dalla TOSAPTassa per l’Occupazione dei Suoli e delle Aree Pubbliche. Chi deve pagare queste spese? In alcuni casi, il divieto di sosta rivolto a terzi è a beneficio dell’intero condominio. In altri casi no. Vediamo tutto quello che c’è da sapere sul passo carrabile in condominio.

Per esaminare questa controversia dobbiamo rifarci alle norme relative ai beni condominiali comuni. Il Codice Civile dispone infatti che la manutenzione e le spese relative a cose ad uso comune vada ripartita fra i condomini che traggano utilità (effettiva o potenziale) dai beni stessi. Questo, parafrasando l’articolo 1123 del CC. Se ne deve dedurre che le tasse che bisogna versare al Comune in caso di passo carrabile vadano ripartite fra tutti coloro che traggano un beneficio da questo divieto. Quindi, fra quanti abbiano diritto di parcheggiare la macchina sui posti “protetti” dal passo carrabile o nel cortile interno cui si accede tramite un ingresso con passo carrabile. Il tutto, naturalmente, secondo le tabelle millesimali.

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Chi paga le tasse del passo carrabile in condominio?

Se dunque il condominio è dotato di un ampio cortile che funge da autorimessa accessibile a tutti i condòmini e protetto, all’ingresso, da un passo carrabile, il pagamento delle tasse è da dividersi fra tutti i proprietari. Saranno esclusi dal pagamento i condòmini che non abbiano diritti di proprietà o di utilizzo degli spazi condominiali per il parcheggio. È ad esempio il caso degli edifici dotati di box auto di proprietà esclusiva di alcuni condòmini o dei parcheggi condominiali utilizzati da terzi.

Tutto, insomma, dipende dall’autorimessa del condominio e dalla possibilità di accedervi e usufruirne dei vari proprietari. Notare che il passo carrabile può anche fungere da accesso privilegiato a veicoli di soggetti che si occupano della manutenzione di altri beni comuni. Se, ad esempio, si rompesse l’ascensore, i tecnici incaricati di ripararlo potrebbero usufruire di quel passo carrabile. In tal caso, sarebbe da intendersi che l’utilità, seppur indiretta, ricada su tutti. Dunque, è necessario distribuire le spese fra tutti i proprietari.

La richiesta per l’ottenimento di un passo carrabile andrà fatta al Comune tramite apposito modulo. Per quanto riguarda l’ammontare della spesa? Bisogna consultare il regolamento comunale che fissa, con cadenza annuale, le tariffe per la concessione di suolo pubblico in quanto passo carrabile in condominio.

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Ecobonus e Sismabonus: le ultime novità sul Superbonus

Dopo essere passato in discussione anche al Senato, il famoso Superbonus che racchiude al suo interno importanti sgravi fiscali per ristrutturazioni si prepara a una nuova approvazione. Pur non trattandosi della forma di testo definitiva, questa nuova modifica dell’impianto di legge presenta anche nuove indicazioni sui fondi e su condomini e villette a schiera. Ma non solo. Tra le varie forme di incentivi previste, vediamo quali sono le ultime novità sul Superbonus, dal Sismabonus all’Ecobonus.

Ultime novità sul Superbonus: da quando in vigore?

Il testo definitivo che contiene le novità del Superbonus dovrebbe essere approvato entro il 13 ottobre. Per quanto riguarda il Decreto sui requisiti minimi per accedere all’Ecobonus e al Sismabonus, la legge è già in approdo in Gazzetta Ufficiale.

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Novità sull’Ecobonus

La principale novità sull’Ecobonus 110% – gli incentivi fiscali per la ristrutturazione migliorativa del proprio edificio in chiave energetica – riguarda la platea di accesso agli sgravi. L’approvazione di alcuni emendamenti ha infatti stabilito che:

  • Se un condominio vorrà usufruire dell’Ecobonus, le valutazioni di conformità fatte dai tecnici abilitati riguarderanno esclusivamente le parti comuni. Questo, per permettere l’accesso anche a condomini che abbiano al loro interno unità abitative con difformità o, addirittura, abusivismo.
  • Riguardo gli sgravi per gli edifici unifamiliari, l’Ecobonus specifica che rientrano in questa categoria anche le unità dotate di accesso autonomo anche se quest’ultimo è collegato con aree comuni (strada, cortile, giardino). Anche in questo caso, le ultime novità sul Superbonus ampliano la platea dei beneficiari. Questo discorso riguarda ad esempio le villette a schiera. Anche se queste costruzioni condividono in parte l’accesso con altri proprietari, non dovranno chiedere loro il permesso identificandosi come “indipendenti“.
  • Sempre in tema di condominio, un’altra novità è stata introdotta sull’Ecobonus e riguarda le maggioranze assembleari. Il testo di legge stabilisce infatti che in assemblea sia richiesta la maggioranza di un terzo dei proprietari in millesimi per tutte e procedure. Dall’approvazione del lavori alla richiesta di un finanziamento bancario, compresa la possibilità di chiedere lo sconto in fattura o la cessione del credito.

Ultime novità sul Sismabonus

La quota di sgravio fiscale del Sismabonus è invece destinata alla riqualificazione sismica, oltre che a quella ecologica. Il provvedimento è rivolto agli immobili che hanno subito i danni dei terremoti del Centro Italia (2009, 2016 e 2017). Anche in questo caso una novità positiva.

L’incentivo fiscale del Governo era inizialmente fissato al 110%, come quello relativo all’Ecobonus. Ora, la soglia è stata aumentata del 55%, portando così il Sismabonus a quota 165%. Il provvedimento, che non include i fabbricati destinati ad attività produttive, è rivolto tanto alle prime case quanto alle seconde.