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Liti condominiali: quali le cause principali?

Gli italiani sono un popolo litigioso? Se dovessimo giudicare il loro comportamento basandoci sulla quantità di liti condominiali attive ogni giorno probabilmente dovremmo rispondere di sì. Esistono decine (se non centinaia!) di motivi che possono spingere i proprietari dello stesso edificio a discutere, fra di loro o con il Condominio stesso. Diamo un’occhiata alle cause principali delle liti condominiali per capire quali sono i punti di discussione più delicati.

Cominciamo con qualche dato. Nel 2020 le cause civili pendenti hanno superato i 2 milioni. Si stima che addirittura il 50% di tutte le procedure civili riguardino casi di liti condominiali. Con qualche variazione fra regione e regione: in testa alle classifiche per numero di cause civili per litigi con i condomini nell’ultimo anno abbiamo visto la Campania e il Lazio. Ma quali sono le cause principali delle liti condominiali in Italia?

Una classifica stilata dal Codacons ci suggerisce i motivi che più di tutti portano i dirimpettai a confrontarsi davanti a un giudice. Nell’elenco rientrano grandi classici che chiunque, abitando in condominio, ha già conosciuto, ma anche pretesti apparentemente futili che a volte nascondono dissapori ben più radicati. Al primo posto della classifica naturalmente rientrano gli odori e i rumori molesti in condominio. Fumo della griglia, barbecue, odore di fritto, puzza di fumo. E ancora musica a tutto volume, tono alto di voce, spostamento di mobili, camminate con i tacchi, lavori condominiali nelle fasce protette.

Vi sono poi i litigi per l’utilizzo condiviso delle aree comuni. Qui si verificano spesso incomprensioni e malumori a causa degli animali domestici in condominio e dello sporco, del parcheggio di moto o biciclette in cortile, dell’utilizzo di sottoscala e terrazze comuni come ripostigli privati. Abbiamo già visto come anche il semplice orario di gioco dei bambini in cortile possa far nascere delle discussioni. Naturalmente, anche i balconi sono grandi protagonisti in questi litigi: per i vasi pericolanti, per l’innaffiamento delle piante, per lo sbattimento della tovaglia con le briciole – rispettivamente, stillicidio e getto pericoloso.

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Liti condominiali? Ecco il vero motivo

Se è vero che alcuni di questi motivi possono apparire futili a chi non si è mai trovato in una situazione simile, bisogna anche attribuire la giusta responsabilità di questi problemi. Un basso tasso di sopportazione e la poca propensione al dialogo da parte dei condomini sono parte della causa. Un ruolo dirimente per la risoluzione delle controversie però spetta proprio all’amministratore di condominio. Questa figura, a volte schiva, a volte del tutto ininfluente, dovrebbe infatti farsi carico anche di liti o diverbi oltre che delle incombenze fiscali. Come?

Adottando una maggiore chiarezza comunicativa riguardo le regole e le procedure di ripartizione delle spese. Ricordando ai proprietari i loro diritti ma anche i loro doveri. Proponendo una mediazione extragiudiziale. Fornendo spunti di soluzione e favorendo il compromesso. Questo non sarebbe necessario “solo” per alleggerire il carico dei Tribunali. Permetterebbe anche un diverso approccio alla vita condominiale, rassicurato da un punto fermo che faccia rispettare le regole interne e le leggi del Codice Civile. Un Condominio troppo litigioso è, quindi, anche colpa di un amministratore poco informato o non abbastanza presente.

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Richiesta straordinaria di assemblea da parte de coinquilini

L’assemblea condominiale di norma viene convocata dall’amministratore. Ci sono però alcuni casi in cui anche i condomini possono prendere in mano la situazione a fare una richiesta straordinaria di assemblea. Questo accade naturalmente quando il condominio è sprovvisto di amministratore, per problemi di nomina o nei condomini minimi. Ma può accadere anche quando l’amministratore non rispetta le volontà di convocazione espresse dai condomini, sia in termini legali sia in termini di tempistiche e modi.

A tal proposito, parliamo di vizi legati ai requisiti legali delle convocazioni. È anche possibile, poi, che l’amministratore snaturi il contenuto della convocazione scegliendo una data troppo in là. In quest’ultimo caso, secondo la legge i condomini possono agire in autonomia. Come avviene l’iter di una richiesta straordinaria di assemblea? Ce lo spiega l’articolo 66 delle disp. att. CC.

Due condomini (distinti proprietari) che rappresentino un sesto del valore dell’edificio possono comunicare all’amministratore la loro richiesta. A questo punto, egli ha 10 giorni di tempo per calendarizzare la riunione. Se decorso il tempo non accade nulla, i due condomini «possono provvedere direttamente alla convocazione».

Questo può accadere anche nel caso in cui la convocazione venga fatta, ma fissata troppo in là nel tempo. Se questo ritardo è in grado di sminuire il senso dell’assemblea per quel dato ordine del giorno, i condomini possono autoconvocarsi. Lo stesso vale anche quando l’amministratore convochi un’assemblea modificando la richiesta dei condomini nel contenuto o nell’ordine. Anche qui, si ritiene che un’autoconvocazione sia legittima da parte dei proprietari. A patto che, naturalmente, il contenuto in oggetto abbia un’adeguata urgenza e rilevanza.

Per cosa è possibile fare una richiesta straordinaria di assemblea?

Per quali argomenti è possibile convocare una richiesta straordinaria di assemblea? È l’articolo 1135 a spiegarci a cosa provvede l’assemblea dei condomini. Si tratta, innanzitutto, di temi legati alla conferma dell’amministratore e ai suoi compensi.

L’assemblea ha inoltre facoltà riguardo:

  • Approvazione del preventivo delle spese e della relativa ripartizione fra proprietari.
  • Rendiconto annuale dell’amministratore, con discussione sull’impiego di eventuali residui attivi dalla gestione.
  • Interventi di manutenzione straordinaria e innovazioni. In questo contesto è poi obbligatoria l’istituzione di un fondo cassa condominiale.
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Condominio senza amministratore: è possibile?

L’amministratore è una figura essenziale per il condominio. A questo soggetto spettano infatti una serie di obblighi e incombenze di natura legale, fiscale e amministrativa. La legge ha però stabilito, con la Riforma del Condominio del 2012, un preciso limite oltre il quale un condominio è obbligato a nominare un amministratore. Il limite specifico è fissato a 8 unità immobiliari (e non, come a volte si pensa, 8 inquilini). Oltre questa soglia, la presenza di questa figura obbligatoria. Come funziona quindi un condominio senza amministratore? Che succede se, pur superando le 8 unità, non si provvede a nominare il proprio amministratore?

Ricordiamo che, al di sotto degli 8 proprietari, non viene meno l’attribuzione di condominio. Questo status si configura infatti in maniera automatica ogni volta che in un edificio con delle parti comuni convivano almeno 2 proprietari. Nel caso in cui le unità immobiliari non superino il fatidico numero, si parla quindi di condominio minimo. Un “regime” per il quale valgono tutte le regole disposte dal Codice Civile per il condominio, ad eccezione dell’obbligo di nomina di un amministratore e di adozione di un regolamento. Quest’ultimo, lo ricordiamo, diventa obbligatorio solo in condomini con almeno 10 proprietari.

È quindi certamente possibile abitare in un condominio senza amministratore nel caso in cui le unità che lo compongono siano inferiori a 8. Può capitare però che in un condominio scada la nomina di un amministratore e che non si trovi l’accordo per rinnovarlo. Oppure, che un evento inaspettato prolunghi i tempi per la riunione dell’assemblea che dovrebbe approvare la nomina già decisa. Cosa succede in questo caso?

Condominio senza amministratore anche quando è obbligatorio: cosa succede?

Poniamo il caso che in un condominio con obbligo di nomina vi siano alcuni condomini propensi a rispettare quando prescritto dalla legge e altri condomini restii a dotarsi di un nuovo amministratore. In questo caso, i proprietari volenterosi possono innanzitutto ricorrere alla via legale. Recandosi presso il proprio tribunale di riferimento, essi possono infatti ottenere la nomina giudiziale di un amministratore. Si tratterebbe quindi di un atto preso in sostituzione dell’approvazione di una delibera assembleare.

Ciò detto, è bene sapere che un condominio senza amministratore non rischia sanzioni di alcun tipo. O meglio, non rischia sanzioni per il fatto di essere sprovvisti di amministratore. Tutte le incombenze fiscali e legali (ad esempio, la presentazione del modello 770 del condominio) vanno naturalmente rispettate. Ad occuparsene potrà essere un condomino (o un gruppo) volenteroso. La legge sembra tacitamente accettare questa gestione casalinga. All’articolo 1129 del Codice Civile si legge infatti l’obbligo di esposizione nelle aree comuni dei recapiti dell’amministratore o «della persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore». Discorso valido tanto per il condominio minimo, quanto per quello regolare.

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Il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali

L’espressione molestie condominiali è una delle più discusse tanto nelle assemblee di condominio quanto a livello giuridico. Nel concetto di molestia rientrano infatti moltissimi comportamenti, volontari o meno, che pregiudicano in qualche modo il quieto vivere della comunità o dei singoli condomini. A volte si tratta di azioni che ledono esplicitamente i diritti di tutti in aree comuni. Altre volte sono comportamenti che pur avendo luogo nelle proprietà private, incidono sul quieto vivere anche dei dirimpettai. Spesso, allora, ci si chiede: qual è il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali? È sempre a lui che bisogna rivolgersi per tutelarsi?

Ricostruiamo, innanzitutto, un quadro di quali comportamenti possano costituire una molestia condominiale. Si parte dalle piccole azioni, fatte spesso con poca accortezza ma senza l’intento di danneggiare o infastidire gli altri. Parliamo, ad esempio, di una grigliata con il barbecue in balcone. Un’azione legittima di chi voglia approfittare di un terrazzo spazioso, che può però infastidire i vicini con fumi e odori molesti, oltre a macchiare i muri nei casi più eclatanti. Ricordiamoci che anche il semplice friggere con la finestra aperta può provocare molestia, se l’azione viene ripetuta più volte e senza riguardo per le richieste dei vicini.

Vi sono poi azioni apparentemente semplici che però implicano un danno alla proprietà comune o altrui. Ad esempio, la pessima abitudine di gettare mozziconi di sigaretta dal balcone, sporcando così il cortile interno o il balcone sottostante. Anche pulire la tovaglia rovesciando briciole dal balcone o innaffiare le piante costituisce una molestia a tutti gli effetti se ogni giorno si inonda il vicino sottostante dei propri avanzi o di acqua. Tutti questi casi rientrano nella fattispecie di stillicidio e gettito pericoloso di cose, penalmente perseguibile ex art. 674. Il ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiali sembra, quindi, fondamentale.

Molestie e liti condominiali: che ruolo ha l’amministratore?

È bene ricordare che questi comportamenti, portati all’estremo, possono sfociare anche nel cosiddetto stalking condominiale. Anche qui, parliamo di un vero e proprio reato, commesso con il preciso intento di disturbare un vicino causandogli ansia o costringendolo a cambiare le proprie abitudini. Per non parlare dei rumori molesti in condominio, praticamente all’ordine del giorno nelle liti condominiali. A questo punto ci si chiede quali siano gli obblighi di un amministratore in merito a condotte moleste. I doveri di questa figura sono esplicitamente elencati all’articolo 1130 del Codice Civile. Qui, tuttavia, non si trova menzione del ruolo dell’amministratore nelle molestie condominiale.

Egli è tenuto ad agire nelle liti condominiali in soli due casi:

  • Quando il comportamento di un condomino è lesivo di un bene o di un’area comune.
  • Quando un’azione viola esplicitamente una norma contenuta nel regolamento condominiale.

In tutti gli altri casi, l’amministratore è quindi legittimato a tirarsi fuori dalla risoluzione di un litigio causato da una molestia condominiale. I condomini offesi dovranno quindi rivolgersi direttamente al proprio avvocato per capire se la molestia subita costituisce un reato e, quindi, procedere per vie legali.

Questo spiega anche perché è fondamentale avere un buon amministratore condominiale. Nonostante la legge non lo obblighi a fare da paciere, questa figura rappresenta un po’ il custode del quieto vivere condominiale. È importante, per questo, che l’amministratore sappia (e voglia) consigliare i condomini, aprendo spazi di discussione civile nelle assemblee e fornendo tutte le soluzioni in suo possesso per evitare futuri litigi.

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Presentazione modello 770 del condominio: a chi spetta?

Oggi parliamo di un argomento di natura fiscale che interessa in particolar modo gli amministratori, ma non solo. Sappiamo che il condominio, da un punto di vista tributario, si presenta come sostituto d’imposta. Come tale, è tenuto ogni anno a presentare l’apposita dichiarazione con modello 770. Vediamo meglio in cosa consiste questo obbligo. Ci chiediamo anche: a chi spetta la presentazione del modello 770 del condominio in caso, ad esempio, di un cambio di amministratori alla gestione? E in assenza di amministratore?

Partiamo dalle tempistiche. Come tutte le dichiarazioni dei sostituti d’imposta, anche il modello 770 del condominio dev’essere consegnato all’Agenzia delle Entrate entro il 31 ottobre di ogni anno e utilizzando l’apposito modulo. A fare fede dell’avvenuta presentazione del modello, la comunicazione da parte dell’Agenzia della ricezione dei dati. La data della consegna corrisponde invece al giorno nel quale avviene la ricezione dei dati comunicati nel modulo.

Modello 770 del condominio: chi deve presentarlo?

Come precisato all’articolo 1130 del Codice Civile sulle attribuzioni dell’amministratore, è a questa figura che spetta l’obbligo di presentazione del modello 770 del condominio. In assenza di amministratore, ad esempio in caso di un condominio minimo, la presentazione del modello 770 è comunque dovuta, e a consegnarla sarà un condomino designato. Figura che, solitamente, coincide con il rappresentante del codice fiscale del condominio.

La trasmissione del modello può avvenire direttamente (mediante la registrazione sulle apposite piattaforme del Fisco) per mano dell’amministratore o del condomino. In alternativa, è possibile rivolgersi a un intermediario quali commercialisti, ragionieri, Caf, notai, revisori contabili, avvocati e altre figure abilitate.

Anche per questo motivo, sempre più condomini minimi, formati, quindi, da meno di 8 condomini, adottano la prassi di nominare un amministratore anche se non sarebbero obbligati. Per delegare a un soggetto esperto e competente le incombenze di natura fiscale e assicurarsi che tutte le scadenze vengano rispettate a dovere.

E nel caso in cui due amministratori si diano il cambio? Nel momento in cui avviene la nomina di una nuova figura ad amministrare il condominio può crearsi un po’ di confusione nella consegna delle pratiche. La presentazione del modello 770 del condominio spetta all’amministratore in carica al momento della registrazione dello stesso presso l’Agenzia.

Ricordiamo che, poiché la consegna della dichiarazione è un obbligo in capo all’amministratore, la tardiva, mancata o incompleta presentazione del modello 770 implica innanzitutto delle sanzioni amministrative. L’assemblea, se dovesse imputare questa inadempienza all’amministratore, può poi votare per revocarne la nomina.

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Cos’è un condominio minimo e come si ripartiscono le spese?

Sappiamo che per un edificio composto da unità immobiliari con proprietari diversi è obbligatorio nominare un amministratore solo con un numero di condòmini maggiore di 8 proprietari. Tuttavia, sappiamo anche che il condominio si costituisce automaticamente quando in un edificio convivono due proprietari distinti. La Riforma del 2012 ha quindi introdotto una serie di norme relative a tutte quelle realtà più “piccole” composte da un numero di condòmini compreso fra 2 e 8. Si tratta del cosiddetto condominio minimo. Vediamo cos’è, come si gestisce e come vengono ripartite le sue spese.

Un condominio deriva dalla coesistenza in uno stesso edificio di più unità immobiliari appartenenti a proprietari diversi. Prendiamo il caso di un villino indipendente, diviso in due piani. Le due abitazioni che ne derivano hanno accessi separati (ad esempio, con una scala esterna che permette l’accesso al piano superiore senza passare da quello inferiore). Il proprietario del villino vende i due appartamenti a due proprietari diversi. Ecco che, in automatico, l’edificio diventa un condominio minimo, e ad esso si applicheranno tutte le norme del Codice Civile.

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Queste norme serviranno per amministrare la gestione di aree e beni condivisi ai due proprietari. Parliamo, ad esempio, del vialetto di accesso, di un cancello d’ingresso, del cortile sottostante, ma anche del lastrico solare. Essendo i proprietari solo due, non sussiste l’obbligo di nominare un amministratore, anche se i due condòmini possono ugualmente delegare la gestione contabile dell’edificio a una figura esterna. Allo stesso modo, non è necessario nemmeno redigere e approvare un regolamento, obbligatorio a partire da 10 condòmini. Fra le norme che, all’atto pratico, più interesseranno i due condomini, rientrano sicuramente quelle sulla ripartizione delle spese.

Come si ripartiscono le spese nel condominio minimo?

Pur in assenza di amministratore e regolamento, i due proprietari dovranno sostenere delle spese per il mantenimento delle parti comuni e, in base alle norme del Codice Civile, ripartirle equamente. Un istituto condominiale che è quindi obbligatorio anche per il condominio minimo sono le tabelle millesimali. La loro approvazione è fondamentale per distribuire le spese. In caso di mancata compilazione, infatti, sarà il giudice a dover ricostruire dei criteri di ripartizione basati sul modello delle tabelle.

Le spese per le aree comuni, naturalmente, non vanno solo distribuite, ma anche approvate. Altro elemento quindi indispensabile nel condominio minimo è l’assemblea condominiale, in base alle stesse regole civilistiche del condominio “tradizionale”. Ovviamente, le norme su criteri di maggioranza e partecipazione si adeguano al numero di condomini. Nell’esempio del nostro villino, una decisione è da intendersi presa all’unanimità solo se all’assemblea perviene il voto favorevole di entrambi.

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L’amministratore può fornire informazioni sui pagamenti di altri condomini?

Il pagamento della propria quota di spese e rate condominiali è un obbligo in capo a tutti i proprietari di unità immobiliari in condominio. Lo stato di un condòmino moroso può però creare, oltre a un certo imbarazzo, anche delle vere e proprie contese giudiziarie. Non solo per il mancato pagamento di un debito, ma anche per la comunicazione di informazioni sui pagamenti degli altri condomini. Questa tipologia di dati può essere condivisa dall’amministratore con gli altri proprietari o si tratta di violazione della privacy? La legge e l’interpretazione giuridica hanno chiarito la questione.

L’amministratore è tenuto alla gestione economica e contabile del condominio, ed entra quindi direttamente a conoscenza di un mancato pagamento. Fra i suoi compiti, c’è inoltre anche quello della rendicontazione. Infatti, nell’articolo 1130 del Codice Civile relativo alle ulteriori attribuzioni dell’amministratore di condominio, è compreso l’obbligo di

redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni.

Tale rendiconto deve riportare lo stato di amministrazione patrimoniale del condominio, con entrate, uscite e mancati incassi. Ricordiamo, a tal proposito, che il debito delle spese condominiali può andare in prescrizione e che è compito dell’amministratore prendere tutte le misure necessarie per la sua riscossione.

Lo stesso articolo, al punto 9, specifica inoltre che è compito dell’amministratore anche

fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso.

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Questo, in funzione del generale principio per il quale ogni condomino ha il diritto di vigilare sulla gestione proprio patrimonio, seppur condiviso con gli altri condomini. La situazione contabile del condominio non può quindi essere tenuta nascosta agli altri proprietari, anche se questo implica la comunicazione di informazioni sui pagamenti degli altri condomini.

Come può avvenire la comunicazione di informazioni sui pagamenti degli altri condomini

Una recente sentenza del Tribunale di Torino (12/3/19, IV sezione civile) ha integrato l’interpretazione di queste disposizioni normative. Da un lato, è certamente vero che rientra fra le prerogative – anzi, fra gli obblighi – dell’amministratore comunicare lo stato patrimoniale del condominio ai singoli proprietari. Compresi, quindi, gli eventuali debiti di alcuni condomini. Tuttavia, questa comunicazione deve avvenire nel rispetto della privacy e nella tutela della dignità delle persone, quindi secondo precise procedure.

La prima procedura di comunicazione ha luogo annualmente quando viene sottoposto all’approvazione dell’assemblea il rendiconto patrimoniale del condominio. In tal caso, è il diritto degli altri proprietari a conoscere la condizione contabile del condominio, debiti compresi. Al di fuori di questa approvazione assembleare, l’amministratore può comunicare lo stato dei pagamenti di un condòmino solo a un altro condòmino e solo previa esplicita richiesta di chiarimenti in merito all’inadempimento di un pagamento. In assenza di tale richiesta e al di fuori della comunicazione del rendiconto, l’amministratore non può di propria iniziativa divulgare informazioni sui pagamenti degli altri condomini e sullo stato debitorio dei proprietari.

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Di chi è la responsabilità di un infortunio sulle scale condominiali?

Quando si parla di infortuni domestici non bisogna tener conto solo di quelli che accadono fra le mura di casa, ma anche degli incidenti che avvengono nelle aree comune condominiali. Ad esempio, sulle scale. Capita, purtroppo, che una semplice caduta si trasformi addirittura in un evento fatale per il malcapitato. In queste situazioni, al danno fisico o al dolore per una perdita si aggiungono anche dei ragionamenti sulla responsabilità del fatto. Erano scale mal custodite? C’erano crepe o dislivelli? Erano rese scivolose da una perdita non asciugata? E ancora, di chi è la responsabilità di un infortunio sulle scale condominiali?

Il caso è stato sollevato più volte dinnanzi alla Corte di Cassazione, la quale ha come sempre provveduto a fornire alcune interpretazioni giurisprudenziali del principio di responsabilità penale in condominio. Partiamo con le indicazioni generali fissate nel Codice Civile. Parlando dell’amministratore, sappiamo già che questa figura ha in capo obblighi ben precisi per legge.

Fra questi rientra il dovere di custodia del condominio e dei suoi beni comuni. La custodia implica, come si legge all’articolo 2051, una responsabilità sui danni cagionati dal bene stesso, «salvo che provi il caso fortuito». Di qui, una prima risposta. La responsabilità di un infortunio sulle scale condominiali è, congiuntamente, dell’amministratore e del condominio quando il danno poteva essere evitato se il bene comune fosse stato custodito con la dovuta attenzione.

Caso fortuito: quando la responsabilità di un infortunio sulle scale non è condominiale

Allo stesso tempo, il condominio può dimostrare in via giudiziale che l’incidente ha avuto origine da un caso fortuito. Si intende, in questo senso, di cause di forza maggiore e imprevedibili, come ad esempio un evento atmosferico violento e inaspettato. Rientrano nel caso fortuito anche i comportamenti imprudenti della vittima del danno o di un terzo, non imputabili né all’amministratore né al condomino. Se un soggetto cade dalle scale del condominio perché spinto da un terzo, ad esempio, o perché non ha prestato attenzione ai cartelli esposti, non è possibile attribuirne la responsabilità al condominio.

La Cassazione ha ad esempio stabilito che un condominio che assicuri la pulizia delle scale due volte a settimana adempie adeguatamente al suo ruolo di custode. Non sarebbe pertanto imputabile a lui la presenza di rifiuti lasciati da terzi o da sostanze scivolose non segnalate sulle scale. Diversamente, un distacco improvviso della luce sulle scale che provoca la caduta di una persona è imputabile alla responsabilità del condominio, così come ha stabilito il Tribunale di Crotone con una recente sentenza.

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Rumori molesti in condominio: come proteggersi

Rumori condominiali molesti: una vera e propria piaga per molti proprietari, costretti a rivedere la propria routine di riposo a causa di vicini insolenti. Se da un lato è bene considerare anche le condizioni del luogo, ad esempio una struttura con muri sottili e poco fonoassorbenti, dall’altro non è giusto rinunciare al proprio sonno per un dirimpettaio irrispettoso. Spesso e volentieri i semplici richiami, infatti, cadono nel vuoto. A quel punto, ti chiederai: che cosa posso concretamente fare per risolvere il problema? Come proteggersi dai rumori molesti in condominio?

La prima persona cui fare affidamento se si vuole risolvere il problema dei rumori molesti in condominio è l’amministratore. Questa figura ha infatti il compito di verificare che tutti i proprietari rispettino gli spazi e i beni comuni. Ivi compresi la legittima quiete di scale e pianerottoli attraverso i quali i rumori si possono propagare. Non solo.

L’amministratore può aiutarti a scoprire se nel vostro regolamento condominiale esistano norme specifiche riguardo ai rumori. In caso negativo, potreste valutare insieme di proporre all’assemblea l’inserimento nel regolamento, ad esempio, di vincoli legati a determinate fasce orarie. Le disposizioni attuative del Codice Civile ammettono inoltre che il condominio possa stabilire delle sanzioni economiche per il mancato rispetto di tali norme. Sanzioni che possono arrivare ai 200 euro una tantum, e che raggiungono gli 800 euro in caso di recidiva. Un deterrente che può concretamente risolvere il problema dei rumori molesti da parte del vicino. Anche in assenza di sanzioni economiche scritte, il richiamo al rispetto di una norma a un proprietario rumoroso rientra fra gli obblighi di un buon amministratore.

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Rumori molesti in condominio e tollerabilità: qual è il confine?

Se, invece, il supporto dell’amministratore dovesse rivelarsi insufficiente, per sua negligenza o perché i vostri richiami sono stati ignorati, rimane la soluzione della via legale. I tribunali hanno spessissimo dovuto affrontare controversie legate ai rumori molesti in condominio. Il problema di queste situazioni sta nell’onere della prova, a carico di chi protesta, della non tollerabilità dei rumori e del loro verificarsi in fasce orarie “protette”.

L’articolo 844 del CC riguardo alle immissioni afferma che un proprietario non possa impedire i rumori derivanti dal fondo vicino, a meno che non superino la normale tollerabilità. Valutazione nella quale deve rientrare anche la condizione dei luoghi e che, quindi va esaminata in modo più ampio rispetto al singolo rumore.

Una perizia oggettiva – ad esempio, con una registrazione – sarebbe sufficiente a dimostrare chiaramente la tollerabilità di un rumore. Per dare un carattere “istituzionale” e quindi ancor più valido dinanzi a una Corte, è possibile rivolgersi anche a strutture che, con appositi macchinari, possano registrare il livello di rumorosità secondo delle precise soglie di tollerabilità. Rilasciando anche un attestato.

È possibile portare in tribunale anche la semplice parola di altri testimoni. Questo, a patto che affermino di aver percepito rumori della stessa intensità rispetto a quella lamentata dal facente causa. In tal caso, sarà poi il giudice a determinare la veridicità di quanto detto, stabilendo se si tratti di una semplice lamentela ingiustificata o se invece il danno provocato dal rumore e quindi dal disturbo del sonno richieda un vero e proprio risarcimento.

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Covid-19 e sanificazione in condominio: quando e come farla

La pulizia settimanale delle scale non basta più. Molti condomini stanno scoprendo come l’igiene dei propri spazi comuni sia un compito serio e urgente. Tanto più, perché spesso le aree condominiali sono rimaste l’unica occasione di contatto e di socializzazione per molte persone. È bene quindi che l’amministratore si faccia carico di questo compito e pianifichi tutte le azioni necessarie per tenere sotto controllo la diffusione delvirus. Parliamo di sanificazione anti-Covid-19 in condominio: quando e come farla? Cominciamo col chiarire una distinzione di primaria importanza.

Sanificare e igienizzare sono la stessa cosa?

I due termini vengono spesso utilizzati come sinonimi, ma in realtà implicano due procedimenti diversi. Igienizzare, disinfettare e pulire rientrano nelle pratiche quotidiane già solitamente svolte dalle imprese di pulizia. Passaggi che, in questo momento, richiedono una cura ancora maggiore, specialmente quando si tratta di mantenere puliti e igienizzati gli ambienti comuni di un condominio.

Sanificare è invece un’azione più complessa, che mira al generico intento di rendere più sano l’ambiente. In questo rientrano certamente le azioni di pulizia classiche, compresa l’igienizzazione degli spazi. Per sanificare, però, a questa routine bisogna aggiungere anche misure per il miglioramento di altre condizioni ambientali: l’umidità, il microclima, la pulizia dell’aria etc. Anche aprire frequentemente le finestre per arieggiare le scale e i pianerottoli può essere una pratica utile per la sanificazione, in questo senso.

Per questo la sanificazione è un procedimento molto più complesso ma anche più efficace, specialmente quando la trasmissione aerea del virus è così aggressiva. Esistono, per questo motivo, delle ditte specializzate in sanificazione che, a prova della loro professionalità, sono iscritte in un albo apposito e dimostrano di saper utilizzare macchinari  e prodotti specifici. Non tutte le imprese di pulizie hanno gli strumenti per operare una sanificazione approfondita.

Sanificazione in condominio: quando va fatta?

Preso atto del fatto che detergere e igienizzare le principali superfici di contatto non equivalga a una vera e propria sanificazione, ci potremmo chiedere: quando è necessario fare una sanificazione in condominio? Una buona pratica di amministrazione del condominio sarebbe quella di pianificare una serie di interventi periodici e regolari, che comprendano sia le quotidiane regole di disinfezione sia il più complesso procedimento di sanificazione.

Non esistono vincoli in tal senso. La sanificazione di un ambiente chiuso ma trafficato come possono essere alcune aree condominiali condivise è ovviamente indicata se nel palazzo risiedono casi positivi accertati, in quarantena o casi sospetti in auto-isolamento preventivo. In tal caso, è possibile anche che siano le stesse autorità competenti a predisporre delle ordinanze specifiche. Anche in assenza di inquilini positivi al virus, sarebbe buona norma pensare a una sanificazione preventiva, specialmente delle aree più trafficate come l’ascensore, le scale, un cortile interno, un garage.

Sanificazione Covid-19 in condominio: chi la decide?

Come detto, la decisione di operare una sanificazione in condominio può provenire direttamente da un’autorità esterna, ad esempio nel caso di positivi accertati o di quarantene imposte. È bene anche precisare che non è necessario l’intervento dell’assemblea per ordinare la sanificazione degli ambienti comuni condominiali. La decisione rientra infatti in una manutenzione straordinaria ma allo stesso tempo urgente.

La sanificazione causa Covid-19 in condominio può quindi essere presa in carico anche dall’amministratore stesso che poi, alla luce dell’articolo 1135, ne riferirà alla prima riunione dell’assemblea.