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I rumori condominiali molesti sono un reato?

Gli amministratori di condominio sanno molto bene quanto proteste, lamentele e liti per rumori molesti siano all’ordine del giorno. un problema che deriva da tanti fattori. Sicuramente la negligenza (in alcuni casi aggravata da poco rispetto) dei dirimpettai che non comprendono il disagio causato anche da una semplice tv a volume massimo. Sono causa di questi dissidi anche muri e pannelli incapaci di assorbire il suono, finestre aperte vicino alle aperture del vicino, animali domestici, orari di lavoro scombinati. Cerchiamo di capire a che tipo di reato va incontro chi provoca rumori condominiali molesti.

Partiamo dalla fonte giuridica più “bassa”: il regolamento condominiale. È possibile infatti che i condomini riuniti nell’assemblea decidano di votare (all’unanimità) determinate proposte orientate al contenimento di rumori condominiali molesti. Ad esempio, stabilendo delle fasce orare di silenzio, da rispettare in tutte le situazioni. Nelle sessioni di gioco dei bambini in cortile, nei lavori di ristrutturazione condominiali, nel quotidiano svolgimento delle proprie attività. Il regolamento è un vero e proprio codice interno per i condomini. Basti pensare che è possibile anche includere nelle clausole delle sanzioni economiche che, in caso di comportamento recidivo, possono raggiungere anche gli 800 euro.

Discorso a parte riguarda gli animali domestici. Sappiamo infatti che è nulla la clausola che vieta la presenza di animali domestici in condominio. È altrettanto vero che un cane ha tutto il diritto di abbaiare. In alcuni casi però è possibile imputare al padrone dei comportamenti negligenti che non agiscono in alcun modo per ridurre il disagio provocato ai vicini. Ci richiamiamo, ancora una volta, al principio di tollerabilità. Un concetto tanto importante per valutare la punibilità o meno del comportamento quanto astratto, poiché difficile da misurare.

Tollerabilità e responsabilità dei rumori condominiali molesti

In ambito civile, i rumori molesti (condominiali o meno) costituiscono un illecito ai sensi dell’articolo 844 sulle Immissioni. Il grado di tollerabilità dei rumori deve dipendere anche dalle condizioni del luogo, delle esigenze di produzione e della priorità di un determinato uso. Per accertare la violazione, il giudice valuta inoltre se si tratta di un comportamento reiterato e comprovato anche da altre testimonianze, che ne hanno percepito la stessa intensità. Il colpevole può essere condannato a un risarcimento civile.

In caso di rumori condominiali molesti , possono però esistere anche le condizioni per un illecito penale. È quello prescritto dall’articolo 659 del CP sul Disturbo delle occupazioni e della quiete pubblica. Schiamazzi, rumori, apparecchi telefonici, segnalazioni acustiche e persino strepiti di animali non contenuti non possono quindi disturbare il sonno né la normale occupazione delle persone.

La pena prevista comprende l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda fino a 309 euro. Per chi è responsabile di rumori nell’ambito della sua professione esercitata però contro le disposizioni della legge o dell’Autorità, è prevista l’ammenda da 103 a 516 euro.

Per incorrere in questo reato penale, è necessario però che i rumori molestino la tranquillità pubblica, dunque siano potenzialmente fastidiosi per un indefinito e vasto numero di persone. Se dunque in sede di processo non emergono elementi che riconoscono il disturbo esteso dei rumori, non si ricade nella fattispecie. Questo significa che, in base alle condizioni degli schiamazzi e dei luoghi, sarebbero sufficienti anche 3 condomini per individuare un reato.

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Abuso edilizio in condominio: a chi spetta la demolizione?

Ne abbiamo parlato più volte. Molti lavori condominiali richiedono ben altro di una delibera di approvazione condominiale. In particolar modo quando si parla di modifiche alla volumetria, sono necessari dei permessi dal Comune, le cosiddette autorizzazioni amministrative. La conseguenza, altrimenti, è di ricadere nel reato di abuso edilizio, un illecito di carattere penale. In questi casi, sopraggiunge poi l’ordine di demolizione. A chi spetta la demolizione di un abuso edilizio in condominio? Ai singoli proprietari responsabili o all’intero condominio?

Il Comune infatti predispone dei precisi parametri volumetrici per gli edifici, iscritti nei progetti di lottizzazione. Gli aumenti volumetrici sono un intervento frequente, in special modo per quanto riguarda , ad esempio, l’ampliamento di una terrazza calpestabile o la costruzione su un lastrico solare. Il mancato rispetto dei limiti rilevato da un sopralluogo porta a un’ordinanza di demolizione. È quando successo a un condominio che ha poi impugnato l’ingiunzione del Comune. A dirimere la controversia l’ottava sezione del TAR della Campania, con la sentenza n. 3005/2020. In questo caso, il Comune aveva infatti agito contro il condominio in toto.

Il motivo del rigetto sta in due parametri. Innanzitutto, è necessario stabilire se l’abuso edilizio preso in carica riguardi delle parti di proprietà esclusiva, quindi le singole unità immobiliari, o un’area comune del condominio. Se l’aumento volumetrico registrato interessa una singola abitazione, la demolizione per un abuso edilizio in condominio spetta al proprietario che si è reso colpevole dell’illecito penale.

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Chi si occupa della demolizione di un abuso edilizio in condominio?

In secondo luogo, anche se il reato di abuso edilizio riguardasse una delle parti comuni dell’edificio, non sarebbe corretto imputarne la demolizione al condominio. Nella sentenza citata, i giudici hanno interpretato l’articolo 1117 del Codice Civile sulle parti comuni dell’edificio. Qui si afferma chiaramente che tutte le parti elencate (a titolo non esaustivo ma esclusivamente illustrativo):

Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo.

Ne deriva, quindi, che sono i singoli proprietari delle varie unità a detenere la proprietà, seppur condivisa, delle aree comuni. Non quindi il condominio rappresentato dall’amministratore, che risulta essere un semplice ente gestore di un patrimonio in alcun modo riconducibile alla sua proprietà. Ciascuna modificazione rilevante per aumentare le volumetrie delle stesse richiede infatti l’approvazione degli stessi condomini riuniti nell’assemblea.

È dunque la somma dei proprietari che deve occuparsi della demolizione di un abuso edilizio quando esso riguardi parti comuni del condominio. L’errore evidenziato dal TAR non riguardava quindi l’ordinanza di demolizione dell’abuso edilizio in sé, ma il fatto che essa fosse indirizzata al condominio in quanto entità priva di personalità giuridica, anziché ai singoli condomini effettivi proprietari del bene.

Christian Sterk/Unsplash

Fumi e odori molesti in condominio. Che fare?

Odori molesti, fumi esagerati e vapori invadenti. Non tutte le molestie dei vicini sono tangibili. Spesso, anzi, le più fastidiose hanno una natura intangibile. La legge ha previsto degli strumenti per tutelarsi contro queste immissioni, ma è sempre bene valutare caso per caso la via migliore per agire. Il perno centrale della questione sta nel dimostrare la non tollerabilità di queste esalazioni. Come fare? Come difendersi da fumi e odori molesti in condominio?

Inquadriamo innanzitutto la situazione a livello giuridico. Emanare dal proprio appartamento una quantità ingente di fumo o di odori può costituire un reato.  E non importa che per qualcuno si tratti di odorini invitanti. Basti ricordare la sentenza che condannò un condomino per aver esagerato con gli odori di fritto… Questo tipo di reato rientra nella stessa categoria, ad esempio, del lancio di sigarette nel giardino privato del vicino o del condomino di sotto. Si tratta dello stillicidio, regolato dall’articolo 674 del Codice Penale.

Ciò che conta non è tanto la natura del fumo o degli odori. In tal senso, anche un innocente barbecue in balcone può costituire una vera e propria molestia passibile di denuncia se reiterata senza rispetto delle richieste altrui. Il punto, come dicevamo, sta nel non superare la soglia di tollerabilità che chiunque accetti di vivere in condominio acconsente tacitamente di sopportare. Quando si supera questa soglia e come dimostrarlo?

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Tollerabilità di fumi e odori molesti: come dimostrarla?

Abbiamo detto che l’immissione di gas e fumi maleodoranti costituisce un reato. Se quindi i richiami dell’amministratore non sono sufficienti a interrompere le routine del tuo vicino, puoi ricorrere anche alla via legale. Se ritieni che i fumi e gli odori del tuo vicino siano davvero molesti e superino la cosiddetta soglia di tollerabilità, dovrai però cercare di dimostrarlo al giudice, che non potrà ovviamente basarsi sulla tua sola parola.

Che si tratti di emissioni industriali di gas, detergenti o detersivi molto forti o di odori provenienti da una cucina, per denunciare è bene avere dalla propria parte due requisiti:

  • Innanzitutto, che il gettito di odori molesti sia un’azione ripetuta nel tempo. Se, ad esempio, avete già fatto una diffida nei confronti del vicino, potrete provare il comportamento recidivo dello stesso.
  • Una dimostrazione della non tollerabilità degli odori. Sebbene esistano degli strumenti tecnici capaci di rilevare l’intensità di un profumo, non sempre si riesce a registrare l’esalazione nel momento in cui sovviene. Per questo, è il giudice potrebbe ritenere sufficienti anche dei testimoni che riportino in modo oggettivo una conferma all’accusa.

Un altro elemento da tener presente è la natura del reato. L’emissione di fumi e odori molesti costituisce un illecito civile se incide negativamente sulle abitudini dei vicini. Così, ad esempio, è passibile di denuncia anche un vicino che usi costantemente la candeggina per pulire il balcone, costringendo gli altri condomini a tener chiusa la finestra. Si tratta di un illecito penale solo se in questa molestia sono coinvolti anche altri soggetti in numero indefinito – così, ad esempio, il caso di una fabbrica le cui esalazioni danneggino non solo chi vive nello stesso abitato ma anche chi fosse di passaggio.

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Come evitare le sigarette lanciate nel giardino privato?

Le sigarette lanciate dal balcone sono un frequentissimo motivo di discussione nei complessi condominiali. Oltre che un esempio di inciviltà, questo semplice gesto costituisce anche un reato, poiché un mozzicone di sigaretta lanciato dall’alto può provocare danni al terreno o addirittura a persone. Il problema può essere ancora più fastidioso poi quando il cortile o il giardino oggetto del lancio delle cicche è di proprietà privata di uno dei condomini. Vediamo cosa è possibile fare per evitare che vengano lanciate sigarette nel giardino privato di un condominio.

Partiamo da un presupposto. A prescindere che il terreno in cui vengono lanciate le sigarette sia di proprietà privata, condominiale o pubblica, il lancio di un mozzicone costituisce un reato penale. Ricade, infatti, nella fattispecie dello stillicidio o gettito pericoloso di cose (articolo 674 del Codice Penale).

È possibile denunciare tale comportamento anche se non ha (ancora) provocato un effettivo danno a un oggetto o a un soggetto. È la pericolosità del gesto nei confronti dell’incolumità pubblica a essere incriminata, non solo gli effettivi danni prodotti. Chi può denunciare? Trattandosi di un reato perseguibile d’ufficio, anche un semplice passante estraneo alle dinamiche condominiali può denunciare il gesto, in quanto potenzialmente pericoloso.

Da un punto di vista civile, teoricamente è inoltre possibile richiedere un risarcimento danni per una lesione o per un guasto provocato dal lancio del mozzicone. In tal caso, è necessario però avere delle prove evidenti che imputino il danno a una precisa persona. A tal proposito, è possibile fornire materiale fotografico o video ma anche avvalersi di testimoni per provare la colpevolezza di un condomino.

Ricordiamo anche, però, che è possibile chiedere il risarcimento solo per danni di una certa entità, provocati magari da una condotta reiterata nel tempo. Un singolo evento isolato non è sufficiente per ottenere un risarcimento in sede civile. Questo è il quadro giuridico generale. Come ci si può comportare contro chi lancia le sigarette in un giardino condominiale privato?

Sigarette lanciate nel giardino condominiale: di chi è la responsabilità?

Uno spunto interessante per inquadrare questo reato in un contesto condominiale ci viene fornito dal Tribunale di Reggio Calabria. Con la sentenza n. 334 11/03/20, i giudici hanno fatto riferimento anche alla responsabilità da custodia del condominio. Nel caso specifico, infatti, il continuo lancio di mozziconi dai balconi nel cortile aveva provocato dei danni alla capote di un veicolo parcheggiato. In tal caso, a rispondere dei danni è quindi stato il condominio in toto, alla luce del suo obbligo di custodia delle aree e dei beni comuni, ivi compresi il parcheggio o il cortile dell’edificio.

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Tettoia a distanza illegale: è una molestia?

Che si tratti di grandi costruzioni per ricoprire ad esempio una porzione di giardino o di cortile o che si parli di piccole sporgenze per riparare il passaggio dalla pioggia, per costruire una tettoia è necessario rispettare degli obblighi ben precisi. Alcuni, nei confronti del proprio Comune, altri nei confronti del proprio condominio. Nello specifico, è essenziale rispettare le distanze imposte dalla legge. Altrimenti, una tettoia a distanza illegale potrebbe costituire ben più di un abuso edilizio, ed essere considerata una vera e propria molestia.

Abbiamo parlato del Comune. È obbligatorio, infatti, richiedere l’autorizzazione urbanistica del proprio Comune. A meno che non si tratti di una costruzione di dimensioni estremamente modeste, atta, ad esempio, semplicemente a riparare l’ingresso dalla pioggia. L’installazione di una tettoia senza permesso comunale può essere risolta con una sanatoria se il Comune concede l’autorizzazione a posteriori. Se invece tale permesso non viene riconosciuto, si può incedere nel reato penale di abuso edilizio.

Per quanto riguarda invece le condizioni richieste dal proprio condominio per la costruzione di una tettoia, bisogna innanzitutto tenere in considerazione il principio di decoro architettonico. Tale criterio, che si applica a quasi tutti i lavori e le innovazioni che riguardano la facciata esterna di un edificio, comprende l’insieme armonico ed estetico delle linee strutturali e delle decorazioni di un palazzo.

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Una tettoia, se costruita senza riguardo per questo principio, può alterare l’aspetto esterno del condominio compromettendone quindi anche il valore economico oltre che quello estetico. Per ottenere un lasciapassare in tal senso è sempre buona norma fare comunicazione al proprio amministratore del progetto di costruzione della tettoia – se riguarda uno spazio ad uso esclusivo o privato del condominio.

Quando è illegale la distanza di una tettoia?

Sarà poi l’amministratore a illustrare tale progetto all’assemblea condominiale che ne valuterà l’impatto. Così come, ad esempio, è richiesto quando si vuole trasformare il proprio balcone in veranda. Questo, fermo restando naturalmente la prova che tale costruzione non pregiudichi la stabilità strutturale dell’edificio. Ma c’è un altro criterio che il costruttore è tenuto a rispettare: quello delle distanze.

La legge stabilisce che le tettoie installate successivamente alla costruzione di un edificio come un condominio debbano mantenersi a una distanza di 3 metri dalla costruzione dell’edificio limitrofo. Questa distanza non va calcolata a partire dalle mura, ma dall’ultimo centimetro di sporgenza della tettoia stessa. Se quindi il vicino è già in possesso di una tettoia sporgente, per costruire la propria è necessario che i 3 metri intercorrano dalla fine della tettoia già esistente all’inizio di quella da installare.

Questo, a meno che la tettoia del vicino non sia abusiva. In quel caso, bisogna calcolare la distanza a partire dal perimetro murale esterno. In caso di violazione di queste distanze? Una tettoia a distanza illegale costituisce non solo un abuso edilizio in tal senso. Con la sentenza n. 23940 del 25/9/19 la Cassazione ha stabilito che tale opera edilizia integra una vera e propria molestia nei confronti del vicino, che potrà quindi rivalersi sul dirimpettaio irrispettoso.

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Diffamazione in condominio

Le liti e i dissapori condominiali sono purtroppo all’ordine del giorno in molti palazzi, e non è raro che si vadano a creare screzi anche negli ambienti più pacifici. Abbiamo già parlato della fattispecie della diffamazione in assemblea condominiale. Ma questo reato può configurarsi anche al di fuori del contesto assembleare: è frequente, infatti, che le offese vengano pronunciate in contesti più informali. Questo non significa però che la diffamazione non si costituisca come reato a tutti gli effetti. Vediamo quindi come riconoscere l’illecito di diffamazione in condominio e come combatterlo adeguatamente.

Ricordiamo innanzitutto che la diffamazione consiste nell’offesa dell’altrui reputazione in assenza del diretto interessato. Anche una semplice conversazione fra vicini può quindi dare luogo a un vero e proprio reato. Spesso la fattispecie avviene all’interno di un contesto condominiale che non corrisponde necessariamente all’assemblea. La diffamazione può consumarsi anche negli ambienti comuni, che si tratti del pianerottolo o del cortile.

A regolare questo illecito è l’articolo 595 del Codice Penale. Qui si istituisce una pena di reclusione fino a un anno o a una multa fino a 1032 euro. Un’aggravante capace di raddoppiare la pena è l’attribuzione di un fatto determinato che non corrisponde al vero. Anche un avviso esposto all’interno dell’edificio può costituire un reato di diffamazione condominiale se recante offese alla reputazione di un condòmino. È bene quindi prestare molta attenzione a ciò che si dice del proprio dirimpettaio se non si vuole incorrere in guai giudiziari! Ricordiamo comunque che l’interessato deve necessariamente presentare querela entro tre mesi dal fatto.

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Dal pianerottolo alla bacheca: la diffamazione in condominio è un reato

Come tutti i reati con pena inferiore a 5 anni, è possibile che i giudici stabiliscano, per la tenuità del fatto, l’archiviazione del procedimento. Quando si parla di diffamazione in condominio bisogna però tenere presente che, proprio per il contesto in cui avviene il reato, la sua gravità è meno discutibile. Un’offesa detta nei confronti di un condòmino, anche solo in presenza di altre due persone, può infatti minare la convivenza pacifica e rendere l’atmosfera di plesso abitativo pesante e invivibile per chi subisce la diffamazione.

Non solo. La Cassazione ha stabilito che il reato di diffamazione in condominio si configura anche quando la conversazione che offende la reputazione avviene alla presenza di una sola persona, ma con modalità che sicuramente ne porteranno a conoscenza anche altri soggetti. E se l’offesa viene diffusa per mezzo di una bacheca esposta in un’area comune del condominio accessibile anche a terzi (come, ad esempio, nell’atrio)? In quel caso, la responsabilità penale è riconosciuta in capo dall’amministratore. È ciò che succede quando, ad esempio, un amministratore comunichi con questo mezzo la morosità di alcuni condòmini riportandone i nomi in un luogo accessibile anche agli esterni.

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Getto pericoloso di cose e stillicidio in condominio: reato o no?

Può una goccia portare due persone dinanzi a un giudice in tribunale? Se la goccia di cui si parla cade nel balcone del vicino, la risposta è: sì, e più spesso di quanto si pensi! Chi abita in condominio sa bene come la gestione degli spazi esterni sia particolarmente delicata. Rovesciare dei liquidi invadendo il balcone sottostante rientra infatti nella categoria giuridica del getto pericoloso di cose e stillicidio. Un vero e proprio reato poiché si imbratta una proprietà privata ad uso altrui. Vediamo come, solitamente, viene gestita la questione fra condomini.

Da un punto di vista legale, il Codice Penale definisce il reato di getto pericoloso di cose e stillicidio all’articolo 674. Commette tale illecito chi:

getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non con sentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti.

La pena prevista per questo reato va dall’ammenda (fino a 206 euro) all’arresto fino a un mese. Altro che una semplice goccia: si tratta di una questione da prendere sul serio! Come abbiamo già visto, questa fattispecie si applica anche nei casi di forti odori in condominio o dell’utilizzo del barbecue in condominio.

Da notare che l’intenzionalità del reato non costituisce un elemento necessario. Se si riversano liquidi sul balcone sottostante, si costituisce in ogni caso il reato di getto pericoloso di cose o stillicidio, anche quando avviene per pura negligenza e senza alcun dolo. L’importante è che questa azione abbia un’incidenza negativa sulla proprietà privata, imbrattandola o molestandone i proprietari.

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Quando si parla di getto “pericoloso” di cose e stillicidio?

Come detto, l’incidenza negativa dell’azione è rilevante ai fini dell’individuazione del reato. Se quindi cadessero dei petali dai fiori piantati sul proprio balcone, il condomino sottostante non potrebbe certo ricorrere in giudizio per getto “pericoloso”.

Altresì, se il nostro cane fa i suoi bisogni in balcone causando uno spiacevole stillicidio sul balcone sottostante, nonostante il mancato dolo si tratta comunque della fattispecie descritta nell’articolo 674. Semplici sfumature di significato, all’apparenza, che invece possono tracciare la differenza fra un diverbio fra vicini e un reato.

Attenzione anche a non confondere questa fattispecie con il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui descritto nell’articolo 639. In questo caso, oggetto di imbrattamento o gettito pericoloso sono solo gli oggetti e le cose. Se l’offesa o la molestia recano pregiudizio anche alle persone si parla di un’azione “pericolosa” aggravata, che ricade nell’articolo 674 dello stillicidio.

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Diffamazione in assemblea condominiale?

La convivenza tra condomini non è sempre rosea. Spesso infatti sentiamo parlare di dispute, litigi e contesi fra dirimpettai che, non trovando una soluzione pacifica nel dialogo, si ritrovano a discutere in un’aula di tribunale. Ancora più spiacevole il caso in cui lo scontro avvenga direttamente nell’assemblea condominiale. Se, in questo contesto, una parte si sentisse offesa da un altro condomino, potremmo parlare di diffamazione in assemblea condominiale? Vediamo cosa prevede la legge.

Il limite principale di cui dobbiamo tenere conto per capire quando ricorrere a un giudice o meno è la differenza fra diffamazione e diritto di critica. Se infatti da un lato la funzione dell’assemblea condominiale è proprio quella di permettere il confronto fra condomini, e quindi anche l’espressone di legittime critiche, dall’altro è molto facile sfociare nel reato di diffamazione.

Quando si parla di diffamazione in condominio?

Secondo l’articolo 595 del Codice Penale, commette reato di diffamazione chi:

comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione.

Per definire quando un commento espresso in assemblea condominiale sia diffamazione e quando invece sia legittima critica dobbiamo rifarci all’interpretazione della Corte Suprema della norma. In particolare, non si parla diffamazione quando sussistono tre situazioni:

  • L’interesse collettivo della critica – le affermazioni non devono riguardare condotte personali (ad esempio commenti su vita privata o altri fatti irrilevanti ai fini della vita comune condominiale). Se affermiamo che qualcuno «ha casa sporca» in sua assenza, lo stiamo diffamando.
  • La giusta continenza dell’espressione – va considerato quindi anche il linguaggio utilizzato. Dato il contesto informale dell’assemblea condominiale, è quindi possibile tollerare anche linguaggi coloriti, sempre se questi sono proporzionati al tono della discussione e non sfociano in offese ingiustificate.
  • Veridicità – ultimo, ma non meno importante criterio per stabilire se possiamo denunciare un condomino per diffamazione o se invece si tratta di un legittimo esercizio di critica. Se infatti la frase in questione rispecchia il vero o è comprovabile come realtà dei fatti, non possiamo parlare di diffamazione.
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Attenzione; queste tre condizioni devono ricorrere contemporaneamente. Si pensi ad esempio al caso di diffamazione condominiale in cui un soggetto venga interdetto dall’utilizzo di servizi comuni in quanto «cattivo pagatore». Anche se l’affermazione corrisponde al vero, si parla comunque di diffamazione se l’interdizione avviene tramite un cartello affisso pubblicamente. In questo caso, verrebbe infatti meno l’interesse collettivo, poiché sarebbe inutile e diffamatorio comunicare anche a terzi estranei al condominio la morosità di un singolo.

Reato di ingiuria

Diverso invece il caso di ingiuria. A distinguere i due distinti reati di ingiuria e diffamazione è la presenza o meno della persona offesa. Se le frasi offensive sono pronunciate in presenza della parte lesa, allora si tratta di ingiuria. Se invece l’offesa viene pronunciata dinnanzi ad almeno due persone e in assenza del soggetto interessato, il reato in questione è la diffamazione.

Diffamazione in assemblea condominiale: quali pene?

Ricordiamo, infine, le pene previste dal Codice Penale per il reato di diffamazione:

  • Reclusione fino a un anno o multa fino a 1032 euro.
  • Doppia pena (fino a due anni o multa di 2065 euro) se l’offesa «consiste nell’attribuzione di un fatto determinato».
  • Pena da sei mesi a tre anni o multa non inferiore a 516 se l’offesa viene «recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità».