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Area condominiale: cosa si intende?

Si sente spesso parlare di area condominiale in riferimento a una zona compresa nella proprietà dell’edificio e, solitamente, in condivisione fra tutti. In realtà parlare di semplice area condominiale è improprio poiché all’interno di questo concetto si finisce per includere tutta una serie di elementi e zone comuni ma ben distinti. Che cosa si intende quindi per area condominiale? In generale, si tratta di un’area esterna che corrisponde al cortile condominiale.

Può essere quindi una zona interna al perimetro delle mura e aperta. Ma anche semplice un cortiletto d’accesso. In questo caso, spesso nella stessa area condominiale troviamo anche i parcheggi, le rastrelliere per biciclette o giochi per bambini. È chiaro quindi che in riferimento a una manutenzione, a un intervento o a un lavoro specifico è bene precisare di quale elemento si tratta.

Per quanto riguarda il cortile condominiale, sappiamo che esso rientra fra le aree comuni di un condominio. È quindi uno spazio in condivisione che può essere utilizzato da tutti. Come? Naturalmente, nei limiti del rispetto per il pari diritto altrui. Per questo motivo è sempre buona norma integrare il regolamento di condominio con clausole contrattuali che stabiliscano la precisa destinazione d’uso dell’area condominiale.

Approvando una delibera all’unanimità è possibile ad esempio fissare dei precisi orari di gioco per i bambini. Oppure permettere o meno il parcheggio di biciclette o monopattini o regolare il transito. L’importante è che sia mantenuta la funzione principale del cortile condominiale, che è quella di aprire uno spazio di aria e luce all’interno di un edificio o fra più edifici.

È evidente che se l’area condominiale comprende anche un parcheggio è bene rifarsi nuovamente al regolamento condominiale per conoscerne le modalità d’utilizzo come ad esempio la proprietà privata di alcuni box o un sistema di rotazione nell’assegnazione dei posti auto.

È possibile dividere l’area condominiale in comunione?

L’area condominiale rientra quindi fra le parti comuni, al pari degli elementi elencati all’articolo 1117. Può accadere però che da un titolo derivi l’uso esclusivo di una parte di essa da parte di un proprietario. In questo caso, il condomino potrebbe richiedere di dividere un’area in comunione. Salvo le doverose valutazioni da fare caso per caso, in generale questo è possibile solo se da questa scissione non derivano ostacoli al godimento da parte degli altri condomini dell’area comune.

Poniamo, ad esempio, che un condomino intenda dividere il cortile e trasformare la propria area ad uso esclusivo in un parcheggio. L’intervento non è possibile se si ritiene che così facendo venga meno il diritto degli altri condomini ad usufruire del restante cortile per le sue funzioni originarie. Non solo: anche se un condomino reclama l’uso esclusivo di una parte di un’area condominiale, dovrà sempre garantire la servitù di passaggio agli altri proprietari.

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Cosa comune in condominio: uso e gestione

Le norme civilistiche relative al condominio sono contenute all’interno del Libro III della Proprietà, più nello specifico nel Titolo dedicato alla Comunione. Questo spiega i rapporti di proprietà che caratterizzano i proprietari di un’unità immobiliare in condominio. Ciascuno ha un diritto reale esclusivo sul proprio appartamento, risultante dagli atti di compravendita, di lascito o di usucapione. Al contempo, le aree comuni dell’edificio sono in comproprietà fra tutti i condomini. Si tratta della cosiddetta cosa comune in condominio: che uso se ne può fare e quali sono i principali limiti imposti dalla legge?

Trattandosi di una comunione, è necessario che tutti abbiano rispetto di queste aree comuni, in base a due principi fondamentali sanciti nell’articolo 1102 del Codice Civile. Innanzitutto, ciascuno può servirsi della cosa comune. È dunque illegittimo impedire a un condomino di avere accesso a un’area o di usufruire di un bene in comproprietà (fanno eccezione i regolamenti contrattuali di cui parleremo più avanti). Questo utilizzo è però sottoposto a due condizioni. Il condomino non può:

  • Alterare la destinazione d’uso della cosa comune.
  • Estendere il proprio diritto a danno degli altri partecipanti: ciascuno deve poterne fare «parimenti uso».

Da questi semplici principi derivano interi corollari di norme su cosa si può fare e cosa non si può fare in condominio. Ad esempio, si parla spesso di miglioramento della cosa comune. Ciascuno ha il diritto di intervenire, anche a proprie spese, per il miglior godimento di un bene comune, purché non ne modifichi la destinazione d’uso o non ne limiti l’utilizzo degli altri. Se si tratta di interventi di piccolo conto, come ad esempio l’abbellimento di un’aiuola condominiale, non è necessaria nemmeno l’autorizzazione assembleare. A questo punto, se gli altri condomini vorranno acquisire il miglioramento fatto da un proprietario dovranno rimborsargli le spese.

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Uso della cosa comune in condominio

Un punto sul quale è già intervenuta più volte la giurisprudenza riguarda la nozione di pari uso. Essa non va intesa come un uso perfettamente identico. Ad esempio, è normale che un condomino che abita al quarto piano utilizzi l’ascensore maggiormente rispetto a un inquilino del primo piano. Un uso “più intenso” della cosa comune in condominio non impedisce, comunque, che tutti gli altri possano potenzialmente farne un uso altrettanto intenso.

Ricordiamo anche che esistono delle ulteriori limitazioni alle modifiche che un singolo può fare alla cosa comune in condominio. Parliamo, innanzitutto, di limiti strutturali: nessuna modifica può in alcun modo compromettere la stabilità dell’edificio. Allo stesso tempo, non è possibile danneggiare il decoro architettonico del palazzo. Questo ne comprometterebbe infatti anche il valore economico e costituirebbe quindi un danno per gli altri proprietari.

Infine, come accennato, il regolamento assembleare tradizionale non può limitare l’utilizzo della cosa comune o menomare i diritti dei condomini in tal senso. Costituisce un’eccezione il regolamento contrattuale, ossia quel codice le cui clausole vengono singolarmente messe ai voti e approvate con l’unanimità. Dunque, anche con il consenso esplicito dei condomini che ne deriverebbero un danno.

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Definizione di condominio

Spesso ci ritroviamo a parlare di norme, regole e leggi riguardanti il condominio. Prima di discuterne applicazione e interpretazioni, sarebbe però utile avere chiaro un quadro generico sull’argomento, a partire proprio dalla definizione di condominio. Cosa rende questo istituto così peculiare e perché si distingue da altri tipi di categorie abitative? Cominciamo col dire che il legislatore non ha fornito una definizione chiara e inequivocabile di condominio. Possiamo però ricavarne una a partire dai suoi principali elementi giuridici. Il punto dal quale partire è il Codice Civile.

In particolare, sappiamo che il condominio è disciplinato nel Libro III del CC dedicato alla proprietà, all’interno del Titolo relativo alla comunione dei beni. Questo ci fornisce un’importante indicazione per comprendere la natura miscellanea della sua definizione. Una primissima formula che possiamo quindi utilizzare descrive un condominio come una costruzione nella quale coesistono unità abitative di proprietà esclusiva di singoli e parti comuni in comproprietà fra di essi. Lo stesso non si potrebbe dire di un edificio le cui singole unità appartengano a un unico proprietario.

È per questo motivo che la costituzione di un condominio è automatica. Non è richiesta la presentazione di alcun documento, ma avviene in automatico nel momento in cui all’interno di un plesso viene venduta un’unità immobiliare mantenendo la proprietà distinta delle altre. In questo modo, si instaura direttamente anche il regime di comunione per tutte le aree considerate comuni di un condominio, elencate a titolo esemplificativo all’articolo 1117 del Codice Civile.

Quanti proprietari servono per rientrare nella definizione di condominio

Secondo quanto appena detto, rientra nell’istituto del condominio anche una semplice villetta divisa in due appartamenti la cui proprietà esclusiva sia di due soggetti distinti che però condividono accesso e utilizzo di parti comuni. Come, ad esempio, il cortile di accesso o il cancello automatico.  In tal senso, il numero minimo di proprietari richiesto per la costituzione automatica di un condominio è due.

Esiste poi una distinzione operata indirettamente dal Codice Civile per quanto riguarda il condominio e il condominio minimo. Quest’ultimo è sottoposto alle stesse leggi del condominio per quando riguarda la ripartizione delle spese per la manutenzione di aree comuni. La differenza da rilevare sta nel numero di proprietari coinvolti. Se all’interno di un edificio coesistono meno di 8 proprietari, si parla di condominio minimo. I condomini in questo caso non sono tenuti a registrare il codice fiscale del proprio condominio, né a dotarsi di un amministratore o di un regolamento. Fatto salvo il rispetto delle norme civilistiche.

Quando invece i proprietari sono più di 8 la legge impone che i condomini nominino un amministratore. Questa figura si occupa di gestire la contabilità e le manutenzioni. Il suo operato è comunque sottoposto al volere dell’assemblea condominiale, che è l’organo democratico nel quale si riuniscono tutti i proprietari. Se i condomini arrivano a 10, il Codice Civile prevede che ci si doti anche di un regolamento condominiale, nel quale votare con le dovute maggioranze norme riguardo la convivenza civile.

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Vano per i contatori elettrici: è un bene condominiale?

Tutti i condomini sono dotati di un locale, che sia una stanza nel sottoscala, una parte della cantina o un vano, nel quale sono riposti i vari contatori elettrici dei singoli appartamenti. L’articolo 1117 del Codice Civile ci fornisce un elenco di quelli che vadano considerati come beni condominiali, quindi condivisi in comunione fra tutti i condòmini. Bisogna però considerare che si tratta di un elenco non esaustivo, come più volte ribadito anche dalle pronunce della stessa Cassazione. Il vano per i contatori elettrici è un bene condominiale?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo avere chiaro cosa si intenda per bene condominiale. L’articolo 1117 relativo alle parti comuni dell’edificio infatti fornisce un elenco non tassativo. Possiamo però rinvenire negli elementi qui indicati un fattore comune, dato dalla funzione di questi beni come fondamentali per l’esistenza stessa del condominio.

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Vano per i contatori elettrici: la pronuncia della Cassazione

Nel caso del vano per i contatori elettrici, è possibile evidenziare una sua accessorietà al godimento delle singole unità del condominio. Si tratta, infatti, di un locale la cui destinazione ha una concreta funzione condominiale. Lo ha ribadito la stessa Cassazione con la decisione n. 4890 del 24/2/20, della quale basta estrapolare un passaggio.

Pertanto qualora, per le sue caratteristiche funzionali e strutturali, il bene serva al godimento delle parti singole dell’edificio comune, si presume -indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini o soltanto da alcuni di essi- la contitolarità necessaria di tutti i condomini su di esso.

Lo stesso articolo 1117 aggiunge anche che questa presunzione di comunione è valida «se non risulta da contrario titolo». Per rivendicare la proprietà esclusiva di uno di questi beni è quindi necessario presentare delle prove, vale a dire un titolo d’acquisto, che dimostri in maniera innegabile la natura privata del bene. Sono validi a tale scopo anche un regolamento contrattuale, atti che ne dimostrino l’avvenuta usucapione o un testamento. L’onere probatorio è a carico della parte che ne reclama l’utilizzo esclusivo. A meno, quindi, di una dimostrazione in tal senso, anche il vano per contatori elettrici è da presumersi un bene condominiale.

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Dividere il cortile in comunione: quando è possibile?

Così come scale, ascensore e viali d’accesso, anche il cortile rientra fra le zone comuni condominiali. Questo significa che tutti i condomini hanno eguale diritto di usufruirne, nel rispetto della sua funzione d’uso e dell’utilizzo da parte degli altri proprietari. Può però accadere che uno o più proprietari reclamino l’utilizzo esclusivo di un’area e che vogliano quindi dividere il cortile in comunione. Cosa dice la legge al riguardo e quando è impossibile farlo?

La prima risposta da dare a questa domanda è che la legge non vieta in assoluto di dividere il cortile in comunione di un condominio. È evidente, tuttavia, che debbano esistere dei criteri per operare questa divisione di proprietà, che non riguarda solo il condomino che andrà ad “appropriarsi” dello spazio ma che influisce anche sulla vita degli altri proprietari. Un primo faro per comprendere come agire ce lo fornisce il Codice Civile all’articolo 1119. Qui si legge che:

Le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio.

Da questo disposto deduciamo che è possibile dividere il cortile in comunione solo nel caso in cui il cambio di proprietà non infici nel suo utilizzo da parte degli altri condomini. In questo senso, è necessario il consenso all’unanimità di tutti affinché avvenga questo passaggio di proprietà, che non può essere imposto nemmeno dal giudice. Il singolo che volesse acquisire tutto o parte del cortile dovrà quindi disporre la servitù di passaggio, permettendo agli altri condomini di continuare a usufruire della funzione originaria del bene.

Quando è impossibile dividere il cortile in comunione

Dalla lettura di questo articolo si deduce anche una serie di situazioni in cui è invece impossibile dividere il cortile in comune. Innanzitutto, quando il cambio di proprietà va a modificare la funzione d’uso del bene comune – in questo caso, il cortile. Se quindi un proprietario intende acquisirlo per trasformarlo in parcheggio privato o per costruirci fabbricati che ne impediscano il pedaggio agli altri condomini, la divisione è impossibile.

In questo senso, bisogna tenere conto della funzione originaria del cortile. In termini generici, si parla di areazione e illuminazione. Altra destinazione d’uso è quella cosiddetta soggettiva, secondo la quale ciascun condomino può usufruire di quello spazio nel rispetto del pari utilizzo altrui; ad esempio, piantando dei fiori o transitandovi liberamente.  È in più possibile che il regolamento condominiale prefissi altri specifiche funzioni d’uso di un cortile, che può essere adibito ad area gioco per bambini o a parcheggio di biciclette o motorini per tutti i condomini. In ogni caso, la divisione è possibile solo se queste funzioni vengono mantenute possibili agli altri proprietari.

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Uso della cosa comune in condominio

La “cosa comune” è uno dei tanti motivi di controversia che caratterizzano i rapporti fra condomini. Scale, parcheggio, giardino, cortile, tetto: si tratta di spazi che fanno parte di un palazzo e che sono detenuti da ogni singolo proprietario dell’immobile in forma di comunione. La legge infatti descrive l’uso della cosa comune in condominio rimandando proprio all’istituto della comunione e alle sue regole.

L’articolo 1102 del Codice Civile è molto chiaro su questo. Ogni condomino può servirsi della cosa comune, a condizione che:

  • non ne alteri la destinazione.
  • «Non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto»

Come ha poi più volte specificato la giurisprudenza, il godimento e l’uso delle cose comuni in condominio non dipende dalla quota di proprietà del singolo rispetto al valore totale. Ogni condomino, a prescindere dalla quota di valore che detiene, può usufruire pienamente della cosa comune. Fermo restando i divieti esplicitati qui sopra.

È bene specificare che se condomino sfrutta più di un altro una cosa comune non ne sta necessariamente abusando. Ciò che conta per la legge è che ciascuno possa potenzialmente utilizzare uno stesso bene allo stesso modo (il cosiddetto uso paritetico). Così, ad esempio, il fatto che un condomino al terzo piano utilizzi l’ascensore più di un inquilino al primo piano non lede in nessun modo il diritto di quest’ultimo di farne un uso altrettanto frequente.

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Interventi sulla cosa comune

In ogni caso, la legge non esclude che il condomino possa, compiendo gli atti idonei richiesti, mutare il titolo del suo possesso sulla cosa comune. Allo stesso modo il partecipante può anche «apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa». Gli altri condomini avranno a quel punto tutto il diritto di acquisire questa innovazione usufruendone a pieno titolo, a meno che non ne richiedano la rimozione.

Di quali interventi parliamo? Anche qui, è la Corte di Cassazione a risponderci. Il criterio primario da rispettare è quello della destinazione d’uso attuale di una cosa comune, che non può essere modificata a discapito di altri. Così, se un condomino vuole aprire una finestra sulle scale del condominio, può farlo perché non modifica la funzione alla quale è adibito il bene comune, in questo caso appunto le scale.

Allo stesso modo, se un condomino utilizza uno spazio destinato a giardino come posteggio, ne modifica la funzione d’uso ed esercita un diritto di proprietà maggiore rispetto ad altri, dunque un abuso di diritto.

In ogni caso, sempre la Cassazione specifica che «l’uso paritetico deve essere valutato in concreto e non in astratto» (ordinanza n. 28111, 5/11/2018). Bisogna quindi valutare caso per caso se l’uso di un bene comune da parte di un condomino stia effettivamente e concretamente limitando l’uso dello stesso da parte di un altro. Non sono quindi intesi come violazione dell’uso paritetico i casi in cui la negazione dell’uso rimanga potenziale e astratta.