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Sanatoria in condominio: serve l’autorizzazione dell’assemblea?

I cantieri nei condomini non mancano quasi mai. Quando si tratta di lavori di ristrutturazione, interventi per nuove costruzioni o modifiche volumetriche, è richiesta però anche l’autorizzazione comunale. In particolare, oggi parliamo di un titolo abitativo rilasciato dall’Ufficio Tecnico del proprio Comune. In alcuni casi è possibile richiedere la sanatoria per proseguire con la costruzione senza andare incontro al reato di abuso edilizio. Che succede quando il problema si verifica in ambito condominiale? Serve l’autorizzazione dell’assemblea per la sanatoria in condominio?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo innanzitutto distinguere fra gli interventi che coinvolgono anche le parti comuni e quelli che invece interessano solo parti esclusive. La giurisprudenza ha infatti seguito un orientamento maggioritario che, però, ha trovato anche voci discordanti proprio in un caso di comproprietà. Partiamo dal principio.

Da un lato abbiamo i regolamenti e il diritto civile relativo ai condomini. Dall’altro il diritto amministrativo degli enti comunali. Il rilascio della sanatoria da parte dell’Ufficio Tecnico va incontro al rispetto delle norme urbanistiche che nulla hanno a che vedere con quelle civilistiche del condominio. È quindi chiaro che le leggi interne del condominio non possono interferire con quelle amministrative del comune. Diverse sentenze (citiamo ad esempio il TAR della Campania, sentenza n. 1590/2018) hanno già stabilito questo principio.

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Nel caso citato, un condominio che aveva avviato la realizzazione di una veranda nel proprio appartamento aveva incontrato l’opposizione di altri proprietari. Secondo i giudici del Tribunale Amministrativo però, il Comune non ha bisogno dell’approvazione dell’assemblea per rilasciare la sanatoria in condominio.

Sanatoria in condominio per le parti comuni

Va fatta salva ovviamente la tutela del diritto dei terzi. È il caso ad esempio sollevato dinnanzi al TAR della Sicilia (sentenza n. 1477/2016). In questo caso erano coinvolte nella sanatoria delle aree in comproprietà. Gli altri condomini, avendo diritti reali sui beni in questione, avevano espresso la loro opposizione e questo ha reso legittimo il rigetto della richiesta di sanatoria del singolo proprietario.

La questione della sanatoria in condominio può quindi presentare delle insidie se gli interventi coinvolgono anche parti comuni dell’edificio. Gli altri condomini, in quanto legittimi proprietari, possono in quel caso esprimere il proprio dissenso all’amministratore e in sede di assemblea. Se invece l’intervento riguarda un’area privata del singolo nel condominio e non coinvolge anche i diritti di terzi, l’autorizzazione comunale non può essere subordinata a quella condominiale.

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Il lastrico solare può essere a uso esclusivo di un condomino?

Il lastrico solare corrisponde alla superficie superiore di ogni edificio. Essendo la sua parte terminale, spesso coincide con il tetto, ad eccezione dei casi di terrazza a livello. Ad ogni modo, il lastrico svolge un’essenziale funzione di protezione per tutto il condominio. In quali casi il lastrico solare può essere a uso esclusivo? Cosa comporta questo nell’utilizzo e nella ripartizione delle spese per il suo mantenimento.

Partiamo col distinguere due situazioni. Un lastrico solare può essere ad uso esclusivo di alcuni condomini ma non per questo di sua proprietà. O meglio, il titolo di proprietà di un bene ne comprende anche il vantaggio dell’uso esclusivo. Non è vero il contrario, ossia il lastrico solare può essere a uso esclusivo di un soggetto che non ne detiene la proprietà. Un uso esclusivo può essere attribuito a un condomino dall’atto di vendita o dal regolamento, senza che però questo elemento ricada nella sua piena proprietà. Si tratta di una situazione vantaggiosa, nella quale si può usufruire liberamente di un bene come se fosse il proprio ma senza accollarsi in toto gli oneri e le spese.

Per questo, non è raro che in un condominio ci sia un lastrico solare (o parte di esso) ad uso esclusivo di un proprietario. Spesso, si tratta di un naturale prolungamento della loro abitazione o terrazza. In questi casi, tenendo presente anche la funzione di copertura di cui godono tutti, la ripartizione delle spese per la manutenzione del lastrico solare ad uso esclusivo in condominio non spetta solo al titolare.

Il lastrico solare può essere a uso esclusivo o non coprire tutto il condominio: cosa succede?

A questo proposito è dedicato l’articolo 1126 del Codice Civile. Riportiamolo.

Quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico; gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.

Il disposto cerca quindi un equilibrio fra la partecipazione di tutti ai costi di un bene comune e l’onere maggiore spettante a chi ne usufruisce a uso esclusivo. La quota del suo “proprietario” è quindi fissa a un terzo della spesa totale. La distribuzione dei 2/3 fra gli altri condomini avviene invece regolarmente in base alle tabelle millesimali.

Il lastrico solare può essere a uso esclusivo anche quando non copre tutto l’edificio. Qui, si configura una situazione ancora diversa. Pur mantenendo la proporzione dei 2/3, al suo interno non sono compresi tutti i condomini, ma solo quelli che cui unità immobiliari sono coperte dal lastrico nella linea verticale effettiva. Rimane invariato, invece, il contributo per 1/3 del condomino che ha un uso esclusivo del lastrico.

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Cosa comune in condominio: uso e gestione

Le norme civilistiche relative al condominio sono contenute all’interno del Libro III della Proprietà, più nello specifico nel Titolo dedicato alla Comunione. Questo spiega i rapporti di proprietà che caratterizzano i proprietari di un’unità immobiliare in condominio. Ciascuno ha un diritto reale esclusivo sul proprio appartamento, risultante dagli atti di compravendita, di lascito o di usucapione. Al contempo, le aree comuni dell’edificio sono in comproprietà fra tutti i condomini. Si tratta della cosiddetta cosa comune in condominio: che uso se ne può fare e quali sono i principali limiti imposti dalla legge?

Trattandosi di una comunione, è necessario che tutti abbiano rispetto di queste aree comuni, in base a due principi fondamentali sanciti nell’articolo 1102 del Codice Civile. Innanzitutto, ciascuno può servirsi della cosa comune. È dunque illegittimo impedire a un condomino di avere accesso a un’area o di usufruire di un bene in comproprietà (fanno eccezione i regolamenti contrattuali di cui parleremo più avanti). Questo utilizzo è però sottoposto a due condizioni. Il condomino non può:

  • Alterare la destinazione d’uso della cosa comune.
  • Estendere il proprio diritto a danno degli altri partecipanti: ciascuno deve poterne fare «parimenti uso».

Da questi semplici principi derivano interi corollari di norme su cosa si può fare e cosa non si può fare in condominio. Ad esempio, si parla spesso di miglioramento della cosa comune. Ciascuno ha il diritto di intervenire, anche a proprie spese, per il miglior godimento di un bene comune, purché non ne modifichi la destinazione d’uso o non ne limiti l’utilizzo degli altri. Se si tratta di interventi di piccolo conto, come ad esempio l’abbellimento di un’aiuola condominiale, non è necessaria nemmeno l’autorizzazione assembleare. A questo punto, se gli altri condomini vorranno acquisire il miglioramento fatto da un proprietario dovranno rimborsargli le spese.

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Uso della cosa comune in condominio

Un punto sul quale è già intervenuta più volte la giurisprudenza riguarda la nozione di pari uso. Essa non va intesa come un uso perfettamente identico. Ad esempio, è normale che un condomino che abita al quarto piano utilizzi l’ascensore maggiormente rispetto a un inquilino del primo piano. Un uso “più intenso” della cosa comune in condominio non impedisce, comunque, che tutti gli altri possano potenzialmente farne un uso altrettanto intenso.

Ricordiamo anche che esistono delle ulteriori limitazioni alle modifiche che un singolo può fare alla cosa comune in condominio. Parliamo, innanzitutto, di limiti strutturali: nessuna modifica può in alcun modo compromettere la stabilità dell’edificio. Allo stesso tempo, non è possibile danneggiare il decoro architettonico del palazzo. Questo ne comprometterebbe infatti anche il valore economico e costituirebbe quindi un danno per gli altri proprietari.

Infine, come accennato, il regolamento assembleare tradizionale non può limitare l’utilizzo della cosa comune o menomare i diritti dei condomini in tal senso. Costituisce un’eccezione il regolamento contrattuale, ossia quel codice le cui clausole vengono singolarmente messe ai voti e approvate con l’unanimità. Dunque, anche con il consenso esplicito dei condomini che ne deriverebbero un danno.

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Posso abbellire le aiuole condominiali con piante e fiori?

Le discussioni condominiali non sempre nascono perché un condomino ha danneggiato un diritto o un bene altrui. A volte la causa scatenante di un litigio è proprio il contrario! È il caso, ad esempio, di un condòmino che si dedica a curare la salute di un’aiuola condominiale decorandola con fiori e piantando nuove specie. Ebbene, gli altri proprietari che non gradissero questo gesto potrebbero impedire al condomino di abbellire le aiuole condominiali? Una fattispecie affatto rara, che è arrivata anche a scomodare la Corte di Cassazione. Vediamo cos’hanno detto in merito i giudici.

L’articolo del Codice Civile cui fare riferimento per inquadrare la vicenda è il 1102 dedicato, all’uso della cosa comune in condominio. Nello specifico:

Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

L’azione di piantare dei fiori o altre semenze in uno spiazzo verde condominiale, fatta al fine di abbellire un’aiuola, rientra dunque nell’ipotesi del miglioramento del suo godimento. Naturalmente, trattandosi di un’area comune, gli altri condomini potranno discutere in assemblea e mettere ai voti delle regole per usufruire dell’aiuola. Ad esempio, precisando quali arbusti siano graditi e quali meno, o dove concentrare la piantagione e così via. Del resto, abbellire le aiuole condominiali significa contribuire all’idea di decoro dell’edificio.

Possono impedirti di abbellire le aiuole condominiali? La sentenza della Cassazione

Come si risolve quindi la questione? Esprimendosi su una fattispecie simile, la Corte degli Ermellini ha fornito un’interpretazione più chiara della norma del Codice Civile. Nella sentenza n. 2957 del 7/2/18 (Sez. II) si legge che l’assemblea condominiale può votare, secondo i quorum e le maggioranze richieste dalla legge, dei limiti più rigorosi all’utilizzo di beni e aree comuni.

Tuttavia, è nullo il regolamento condominiale che vieta in modo assoluto di coltivare piante e/o arbusti nell’aiuola condominiale al fine di decorarla. Sarebbe un po’ come impedire a un condomino di usufruire di un bene che invece condivide in comunione. L’abbellimento con piante e fiori, invece, rientrerebbe appieno, secondo la Corte, nella funzione cui è destinata un’area come il giardino condominiale.

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Uso della cosa comune in condominio

La “cosa comune” è uno dei tanti motivi di controversia che caratterizzano i rapporti fra condomini. Scale, parcheggio, giardino, cortile, tetto: si tratta di spazi che fanno parte di un palazzo e che sono detenuti da ogni singolo proprietario dell’immobile in forma di comunione. La legge infatti descrive l’uso della cosa comune in condominio rimandando proprio all’istituto della comunione e alle sue regole.

L’articolo 1102 del Codice Civile è molto chiaro su questo. Ogni condomino può servirsi della cosa comune, a condizione che:

  • non ne alteri la destinazione.
  • «Non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto»

Come ha poi più volte specificato la giurisprudenza, il godimento e l’uso delle cose comuni in condominio non dipende dalla quota di proprietà del singolo rispetto al valore totale. Ogni condomino, a prescindere dalla quota di valore che detiene, può usufruire pienamente della cosa comune. Fermo restando i divieti esplicitati qui sopra.

È bene specificare che se condomino sfrutta più di un altro una cosa comune non ne sta necessariamente abusando. Ciò che conta per la legge è che ciascuno possa potenzialmente utilizzare uno stesso bene allo stesso modo (il cosiddetto uso paritetico). Così, ad esempio, il fatto che un condomino al terzo piano utilizzi l’ascensore più di un inquilino al primo piano non lede in nessun modo il diritto di quest’ultimo di farne un uso altrettanto frequente.

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Interventi sulla cosa comune

In ogni caso, la legge non esclude che il condomino possa, compiendo gli atti idonei richiesti, mutare il titolo del suo possesso sulla cosa comune. Allo stesso modo il partecipante può anche «apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa». Gli altri condomini avranno a quel punto tutto il diritto di acquisire questa innovazione usufruendone a pieno titolo, a meno che non ne richiedano la rimozione.

Di quali interventi parliamo? Anche qui, è la Corte di Cassazione a risponderci. Il criterio primario da rispettare è quello della destinazione d’uso attuale di una cosa comune, che non può essere modificata a discapito di altri. Così, se un condomino vuole aprire una finestra sulle scale del condominio, può farlo perché non modifica la funzione alla quale è adibito il bene comune, in questo caso appunto le scale.

Allo stesso modo, se un condomino utilizza uno spazio destinato a giardino come posteggio, ne modifica la funzione d’uso ed esercita un diritto di proprietà maggiore rispetto ad altri, dunque un abuso di diritto.

In ogni caso, sempre la Cassazione specifica che «l’uso paritetico deve essere valutato in concreto e non in astratto» (ordinanza n. 28111, 5/11/2018). Bisogna quindi valutare caso per caso se l’uso di un bene comune da parte di un condomino stia effettivamente e concretamente limitando l’uso dello stesso da parte di un altro. Non sono quindi intesi come violazione dell’uso paritetico i casi in cui la negazione dell’uso rimanga potenziale e astratta.