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Conflitto d’interessi in assemblea condominiale

All’interno di un’assemblea condominiale possono sorgere conflitti di varia natura. Non di rado, la discussione nasce perché, in uno specifico ambito di dibattito, sorge un conflitto d’interessi. Ad esempio, quando un condomino si trovi a dover votare una delibera che riguarda nello specifico una sua proprietà o il godimento di un suo diritto personale. Oppure, quando si voglia mettere ai voti l’appalto di un progetto e uno dei condomini sia anche socio di una ditta partecipante. Come ci si deve comportare in caso di conflitto d’interessi in assemblea condominiale? Cosa dice la legge?

La prima cosa da sapere è che il Codice Civile non cita espressamente obblighi o divieti in materia di conflitto d’interessi in assemblea condominiale. In alcuni casi, è necessario fare riferimento alle norme riguardanti il diritto societario, richiamato in analogia ai condomini. Questo, però, non significa applicare automaticamente queste norme anche al condominio. Ricaviamo quindi la prima nozione certa, appurata più volte anche dalle interpretazioni della Corte di Cassazione.

Un condomino in conflitto d’interessi può astenersi da una votazione che lo riguardi, ma non è tenuto a farlo per legge. Questo, perché l’astensione obbligata di un avente diritto al voto porterebbe a modificare le maggioranze e i quorum richiesti dalla legge stessa. Condizioni inderogabili per la Suprema Corte, anche in caso di conflitto d’interessi.

Affinché ci sia l’obbligo di astensione del condomino in conflitto d’interessi, devono quindi sussistere altre ragioni. Parliamo, nello specifico, di condizioni che porterebbero all’invalidità della delibera approvata nel verbale condominiale. La discriminante, più volte evidenziata dalle sentenze della Cassazione, è un eventuale danno provocato al condominio nel caso in cui al proprietario in conflitto d’interessi venisse permesso di votare. Non basta che quest’ultimo tragga un vantaggio economico da una delibera. È necessario invece che la delibera danneggi l’interesse generale del condominio.

Conflitto d’interessi: quando la delibera è invalida

Precisiamo anche che nessun regolamento condominiale può derogare a questo principio. È quindi impossibile escludere un condomino dal quorum o dai millesimi di una votazione assembleare, anche se in conflitto d’interessi.

È invece possibile impugnare una delibera alla cui votazione abbia partecipato un condomino che ne ha alterato l’equilibrio a svantaggio del bene comune. Un esempio classico è quello del condomino moroso. Quest’ultimo non può partecipare alla votazione su provvedimenti riguardanti il suo stato di pagamento. Il motivo è chiaro: il suo voto andrebbe in palese conflitto con gli interessi economici del condominio.

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Ricalcolo delle tabelle millesimali: con quale maggioranza?

Le tabelle millesimali di un condominio sono uno degli assi portanti della sua gestione, tanto amministrativa quanto finanziaria. È infatti da esse che dipende non solo la ripartizione delle spese ma anche il quorum per l’approvazione delle delibere condominiali. Queste tabelle vengono solitamente calcolate da un perito, approvate dall’assemblea e in seguito allegate al regolamento condominiale. In alternativa, sono direttamente disposte dal costruttore. Può però accadere che, per un aumento volumetrico o altre modifiche degli spazi, sia necessario un ricalcolo delle tabelle millesimali. Vediamo quale maggioranza è necessaria per l’approvazione di questo processo.

Precisiamo che il ricalcolo delle tabelle millesimali non corrisponde alla riparametrazione delle tabelle millesimali. Con quest’ultimo procedimento intendiamo invece un conteggio da fare quando una determinata spesa va ripartita solo fra alcuni condomini. Ad esempio, le spese di riparazione per un lastrico solare che non copre tutto l’edificio, o quelle connesse ai beni comuni di un condominio parziale.

Il ricalcolo consiste invece in una modifica permanente delle tabelle millesimali. Una necessità dettata appunto dall’insorgere di nuove condizioni che influiscono sui coefficienti di riduzione. Un caso comune può riguardare un proprietario che abbia costruito una veranda sul proprio balcone, aumentando quindi la volumetria della sua unità immobiliare. Oppure, in seguito all’acquisizione da parte di un condomino di un box auto precedentemente condiviso. L’articolo 69 delle disp. att. del Codice Civile afferma che è possibile modificare le tabelle millesimali, specificando quali maggioranze siano necessarie.

Le maggioranze per il ricalcolo delle tabelle: unanimità o maggioranza?

In linea di massima, per approvare il ricalcolo delle tabelle millesimali è necessaria l’unanimità dell’assemblea condominiale. È possibile però che la delibera assembleare di modifica sia ritenuta valida con la semplice maggioranza in due casi.

  • Quando la modifica volumetrica in oggetto riguardo più di un quinto del valore proporzionale dell’unità immobiliare del singolo.
  • Quando emergono degli errori di calcolo nelle tabelle precedenti.

La norma sembra chiara, ma bisogna inquadrarla all’interno della corretta interpretazione giurisprudenziale. La stessa Cassazione ha infatti affermato (ad esempio, nell’ordinanza n. 19838, II Sez. Civ.) che il ricalcolo delle tabelle millesimali non ha valore negoziale. In sostanza, se l’aumento di volumetria supera il 20% di quella originale, è richiesta la semplice maggioranza. Questo, però, non esclude che anche con aumenti volumetrici minori si possa approvare la revisione a maggioranza semplice.

Un’interpretazione opposta a questa, altrimenti, permetterebbe a chiunque di modificare l’assetto volumetrico delle proprie unità immobiliari, protetti dal veto dell’unanimità purché inferiori al 20%. È invece possibile che l’assemblea approvi il ricalcolo con il voto di almeno la metà degli intervenuti e l’assenso di almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.

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Cosa contiene un verbale di assemblea condominiale?

Il verbale redatto e approvato nel corso delle assemblee condominiali non è una semplice incombenza burocratica. Né può essere considerato un mero atto compilativo. Questo documento racchiude invece tutte le decisioni prese dalla maggioranza dei proprietari e ha un importantissimo valore legale. Tanto che una delibera approvata nel corso di un’assemblea senza verbale è da considerarsi addirittura nulla. Il verbale trova spazio nel registro tenuto dall’amministratore di condominio. Vediamo nel dettaglio cosa contiene un verbale di assemblea condominiale.

Il contenuto di un verbale include alcuni “elementi essenziali” alla sua validità e di note aggiuntive, compreso il pensiero sinteticamente espresso dei condomini. Partiamo dagli elementi formali. Il verbale di un’assemblea condominiale deve necessariamente registrare data, orario e luogo di svolgimento della riunione, con tanto di numero e modalità di convocazione.

È necessario prendere nota anche delle verifiche dei quorum costitutivi. Si registrano, naturalmente, anche i nominativi dei partecipanti (con la registrazione delle eventuali deleghe) e la corrispondente attribuzione in millesimi di valore. Infine, l’oggetto di discussione dell’assemblea. Nel verbale bisogna registrare le discussioni affrontate e riportare con particolare perizia le delibere, con tanto di annotazioni dei voti astenuti, favorevoli e contrari.

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Chi lo redige?

Il compito di scrivere il verbale non spetta necessariamente, come erroneamente si potrebbe pensare, all’amministratore di condominio. La prassi vuole che siano i condomini stessi a nominare, all’inizio dell’assemblea o con incarico annuale, un Presidente di assemblea condominiale.

Questa figura ha il compito di gestire e dirigere il corretto svolgimento del consesso, supportato solitamente da un segretario. È a quest’ultimo che spetta la scrittura materiale del verbale. Entrambi i nominativi saranno poi regolarmente registrati all’interno del verbale stesso. Questa menzione rientra fra le caratteristiche essenziali che possono costituire motivo di irregolarità (seppur non di invalidità delle delibere).

Che valore ha un verbale condominiale?

Una delibera, per essere considerata valida, deve necessariamente essere trascritta in modo completo e dettagliato nel verbale. Con questo, si intende che ciascuna delibera sottoposta all’approvazione dell’assemblea deve riportare in modo chiaro il raggiungimento del quorum costitutivo e le singole quote dei voti contrari, astenuti, favorevoli. In tal senso, si ritiene sufficiente l’annotazione dei voti contrari ed astenuti per desumere il numero di voti favorevoli.

È inoltre bene notare che il verbale di un’assemblea condominiale può essere contestato in qualità di scrittura privata. Per un condomino che sostenga l’inserimento nel verbale di una falsità, sarà dunque sufficiente portare una qualsiasi prova a suo favore, senza scomodare un procedimento di querela per “falso”.

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Voto astenuto nell’assemblea condominiale: come si conta?

L’assemblea condominiale è l’organo collegiale nel quale vengono prese tutte le principali decisioni riguardo la vita di un condominio. Convocata dall’amministratore di condominio o dal presidente dell’assemblea condominiale, mette ai voti progetti, nuove norme per il regolamento condominiale e approvazione di lavori di manutenzione straordinaria. Può capitare, però, come in tutti i sistemi di votazione a maggioranza, di arrivare a uno stallo. Oltre ai voti favorevoli e contrari bisogna tenere in considerazione anche i voti degli astenuti. Come si conta un voto astenuto nell’assemblea condominiale? In che modo incide sul quorum?

La questione assume una rilevanza particolare se pensiamo che, specialmente nei condomini più piccoli, anche un solo voto può fare la differenza riguardo, ad esempio, la ripartizione delle spese condominiali. Ecco perché il Codice Civile predispone precisi quorum di validità (quanti proprietari devono essere presenti per validare l’assemblea) e di maggioranza. Rispettivamente, il quorum costitutivo e il quorum deliberativo.

Per quanto riguarda il quorum costitutivo, quindi quello necessario a rendere valide le delibere approvate, la Cassazione ha stabilito che un voto astenuto nell’assemblea condominiale è comunque da conteggiare. Il fatto che il proprietario non esprima il proprio voto non significa che non abbia partecipato all’assemblea o alla votazione. Sarà cura dell’amministratore di condominio o di chi è incaricato di redigere il verbale prendere nota della validità e delle maggioranze di approvazione delle proposte.

Per quanto riguarda il quorum deliberativo invece, a seconda del provvedimento preso in esame sono richieste specifiche maggioranze di approvazione. Solitamente, di almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi o, in casi più stringenti, di almeno i due terzi del valore dell’edificio in millesimi. In questo caso, il voto astenuto nell’assemblea condominiale viene considerato come il voto di un dissenziente (o di un assente).

Il voto astenuto nell’assemblea condominiale può impugnare una delibera?

Come detto, un proprietario che si astenga da una votazione non può concorrere alla formazione della maggioranza richiesta per approvare una delibera. Esso è invece da considerarsi come contrario. La condizione di un voto astenuto è però in un certo senso equiparabile anche a quella di un voto assente.

Ad accomunare queste tre figure è la possibilità di impugnare una delibera, concessa anche a un voto astenuto. L’unica differenza fra un assente e un astenuto, in questo caso, sta nelle tempistiche concesse. Un astenuto, presente all’assemblea e alla votazione, può impugnarla entro 30 giorni dall’approvazione. Un assente ha invece 30 giorni a partire dalla comunicazione ricevuta dell’approvazione.

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Unità con più comproprietari: come cambia la maggioranza assembleare?

All’interno dell’assemblea condominiale le delibere vengono approvate con maggioranze ben definite che variano in base all’oggetto della votazione. Dato che non sempre è possibile la partecipazione fisica di tutti i proprietari, si ammette che i condòmini possono delegare la propria presenza e, quindi, il proprio voto, a un altro soggetto. Cosa succede però al calcolo della maggioranza, quando un soggetto sia comproprietario insieme ad altri di un’unità nello stesso condominio? Una sentenza del Tribunale di Verona chiarisce la problematica della maggioranza assembleare con dei comproprietari di una sola unità.

La sentenza del 15/10/2019 ci indica l’interpretazione corretta dell’articolo 1136 del Codice Civile, fornendo una risposta chiara al quesito sollevato in merito alle maggioranze assembleari. La norma civilistica prevede nello specifico delle maggioranze specifiche che possono subire delle variazioni in base all’oggetto in discussione o al fatto che si tratti della prima o della seconda convocazione. Ad ogni modo, la giurisprudenza ha interpretato questo articolo sul principio di una proprietà, un voto.

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Una lettura che si può riassumere così: ciascun partecipante all’assemblea può contribuire con un solo voto. Così, il voto di due comproprietari di una stessa unità abitativa vale per uno. Allo stesso modo, il proprietario di più vani all’interno dello stesso condominio potrà esprimere un unico voto. Questo, in ragione del fatto che saranno poi le tabelle millesimali a tener conto della proporzionalità della proprietà sul quorum richiesto.

La maggioranza assembleare con i comproprietari di un’unità

Tale interpretazione trova forza anche nelle disposizioni attuative del CC. All’articolo 67 si afferma esplicitamente che più comproprietari di una singola unità abitativa debbano eleggere il proprio rappresentante in assemblea che, esprimendo un unico voto, farà le veci anche degli altri. In tal modo, la maggioranza assembleare con dei comproprietari di una sola unità non risulterà “falsata” dalla condivisione di più soggetti.

La sentenza citata conferma l’attuazione di questo principio. Si precisa inoltre che il proprietario di più unità all’interno dello stesso condominio debba in ogni caso votare come singolo. Infine, il Tribunale ha specificato che un difetto di delega può essere impugnato solo dal comproprietario che non riconosca la figura in sua rappresentanza, e non dal resto dell’assemblea.