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Ecobonus, Sismabonus e riunioni condominiali: che confusione!

Gli incentivi del Superbonus nei pacchetti dell’Ecobonus e del Sismabonus sono una risorsa ghiotta per i condomini. Rifare un cappotto termico, migliorare l’efficientamento energetico dell’edificio e metterne in sicurezza l’impianto antisismico sono solo alcuni degli interventi per i quali si può approfittare del bonus. Gli amministratori sanno bene, però, che la discussione deve sempre e comunque passare prima per l’assemblea condominiale. In che modo gli altri condomini possono favorire o ostacolare l’accesso ai fondi? Vediamo come funzionano l’Ecobonus e il Sismabonus nelle riunioni condominiali.

Il Decreto Rilancio stabilisce che il condominio rientra fra i soggetti destinatari del bonus per interventi riguardanti le parti comuni (trainanti) e interventi che coinvolgono le parti private (trainati). I secondi sono necessariamente subordinati alla realizzazione dei primi. È chiaro quindi che il passaggio in assemblea è obbligatorio. I condomini discuteranno un eventuale progetto per l’Ecobonus o il Sismabonus nelle riunioni condominiali dedicate. Al termine del dibattito, la proposta viene messa ai voti della maggioranza.

Condomini morosi o dissenzienti: il Sismabonus nelle riunioni condominiali

Per essere approvata, la delibera deve ricevere il voto favorevole di almeno un terzo in millesimi dell’edificio, con quorum costitutivo di almeno la metà in millesimi. Che cosa succede se un condomino esprime voto contrario ma la proposta viene approvata dalla maggioranza? In quel caso, come funzionerebbe per qualsiasi altra delibera, tutti i condomini dovranno partecipare alle spese in proporzione ai valori delle tabelle millesimali. Compreso il condomino dissenziente.

sismabonus e riunioni condominiali

L’Agenzia delle Entrate, più volte intervenuta per chiarire i molti dubbi dei contribuenti, ha risposto anche riguardo le modalità di riscossione. Gli incentivi del Superbonus sono infatti ricevibili sotto forma di detrazione fiscale spalmata in 5 o 10 anni, sconto in fattura o cessione del credito. Fermo restando l’obbligo, anche per il condomino dissenziente, di partecipare alle spese, al singolo resterà comunque l’autonomia in tal senso. Ogni proprietario potrà infatti scegliere la modalità di riscossione della propria quota versata che preferisce.

Altra questione riguarda anche i condomini morosi o colpevoli di abuso edilizio. Nel primo caso, sappiamo già che i condomini morosi non hanno accesso al Superbonus. È possibile però saldare il proprio debito con il condominio entro le tempistiche richieste dal progetto. Potrebbe invece capitare che un condominio voglia realizzare un intervento in un’area comune, e che però l’abitazione di un singolo presenti un abuso edilizio. In quel caso, l’intervento è però rivolto esclusivamente a un bene in comproprietà fra tutti e quindi è lo stesso possibile accedere al Superbonus. L’asseverazione richiesta è quella di legittimità delle parti comuni interessate dell’edificio, e non delle singole unità.

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Conflitto d’interessi in assemblea condominiale

All’interno di un’assemblea condominiale possono sorgere conflitti di varia natura. Non di rado, la discussione nasce perché, in uno specifico ambito di dibattito, sorge un conflitto d’interessi. Ad esempio, quando un condomino si trovi a dover votare una delibera che riguarda nello specifico una sua proprietà o il godimento di un suo diritto personale. Oppure, quando si voglia mettere ai voti l’appalto di un progetto e uno dei condomini sia anche socio di una ditta partecipante. Come ci si deve comportare in caso di conflitto d’interessi in assemblea condominiale? Cosa dice la legge?

La prima cosa da sapere è che il Codice Civile non cita espressamente obblighi o divieti in materia di conflitto d’interessi in assemblea condominiale. In alcuni casi, è necessario fare riferimento alle norme riguardanti il diritto societario, richiamato in analogia ai condomini. Questo, però, non significa applicare automaticamente queste norme anche al condominio. Ricaviamo quindi la prima nozione certa, appurata più volte anche dalle interpretazioni della Corte di Cassazione.

Un condomino in conflitto d’interessi può astenersi da una votazione che lo riguardi, ma non è tenuto a farlo per legge. Questo, perché l’astensione obbligata di un avente diritto al voto porterebbe a modificare le maggioranze e i quorum richiesti dalla legge stessa. Condizioni inderogabili per la Suprema Corte, anche in caso di conflitto d’interessi.

Affinché ci sia l’obbligo di astensione del condomino in conflitto d’interessi, devono quindi sussistere altre ragioni. Parliamo, nello specifico, di condizioni che porterebbero all’invalidità della delibera approvata nel verbale condominiale. La discriminante, più volte evidenziata dalle sentenze della Cassazione, è un eventuale danno provocato al condominio nel caso in cui al proprietario in conflitto d’interessi venisse permesso di votare. Non basta che quest’ultimo tragga un vantaggio economico da una delibera. È necessario invece che la delibera danneggi l’interesse generale del condominio.

Conflitto d’interessi: quando la delibera è invalida

Precisiamo anche che nessun regolamento condominiale può derogare a questo principio. È quindi impossibile escludere un condomino dal quorum o dai millesimi di una votazione assembleare, anche se in conflitto d’interessi.

È invece possibile impugnare una delibera alla cui votazione abbia partecipato un condomino che ne ha alterato l’equilibrio a svantaggio del bene comune. Un esempio classico è quello del condomino moroso. Quest’ultimo non può partecipare alla votazione su provvedimenti riguardanti il suo stato di pagamento. Il motivo è chiaro: il suo voto andrebbe in palese conflitto con gli interessi economici del condominio.

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Ricalcolo delle tabelle millesimali: con quale maggioranza?

Le tabelle millesimali di un condominio sono uno degli assi portanti della sua gestione, tanto amministrativa quanto finanziaria. È infatti da esse che dipende non solo la ripartizione delle spese ma anche il quorum per l’approvazione delle delibere condominiali. Queste tabelle vengono solitamente calcolate da un perito, approvate dall’assemblea e in seguito allegate al regolamento condominiale. In alternativa, sono direttamente disposte dal costruttore. Può però accadere che, per un aumento volumetrico o altre modifiche degli spazi, sia necessario un ricalcolo delle tabelle millesimali. Vediamo quale maggioranza è necessaria per l’approvazione di questo processo.

Precisiamo che il ricalcolo delle tabelle millesimali non corrisponde alla riparametrazione delle tabelle millesimali. Con quest’ultimo procedimento intendiamo invece un conteggio da fare quando una determinata spesa va ripartita solo fra alcuni condomini. Ad esempio, le spese di riparazione per un lastrico solare che non copre tutto l’edificio, o quelle connesse ai beni comuni di un condominio parziale.

Il ricalcolo consiste invece in una modifica permanente delle tabelle millesimali. Una necessità dettata appunto dall’insorgere di nuove condizioni che influiscono sui coefficienti di riduzione. Un caso comune può riguardare un proprietario che abbia costruito una veranda sul proprio balcone, aumentando quindi la volumetria della sua unità immobiliare. Oppure, in seguito all’acquisizione da parte di un condomino di un box auto precedentemente condiviso. L’articolo 69 delle disp. att. del Codice Civile afferma che è possibile modificare le tabelle millesimali, specificando quali maggioranze siano necessarie.

Le maggioranze per il ricalcolo delle tabelle: unanimità o maggioranza?

In linea di massima, per approvare il ricalcolo delle tabelle millesimali è necessaria l’unanimità dell’assemblea condominiale. È possibile però che la delibera assembleare di modifica sia ritenuta valida con la semplice maggioranza in due casi.

  • Quando la modifica volumetrica in oggetto riguardo più di un quinto del valore proporzionale dell’unità immobiliare del singolo.
  • Quando emergono degli errori di calcolo nelle tabelle precedenti.

La norma sembra chiara, ma bisogna inquadrarla all’interno della corretta interpretazione giurisprudenziale. La stessa Cassazione ha infatti affermato (ad esempio, nell’ordinanza n. 19838, II Sez. Civ.) che il ricalcolo delle tabelle millesimali non ha valore negoziale. In sostanza, se l’aumento di volumetria supera il 20% di quella originale, è richiesta la semplice maggioranza. Questo, però, non esclude che anche con aumenti volumetrici minori si possa approvare la revisione a maggioranza semplice.

Un’interpretazione opposta a questa, altrimenti, permetterebbe a chiunque di modificare l’assetto volumetrico delle proprie unità immobiliari, protetti dal veto dell’unanimità purché inferiori al 20%. È invece possibile che l’assemblea approvi il ricalcolo con il voto di almeno la metà degli intervenuti e l’assenso di almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.

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Voto astenuto nell’assemblea condominiale: come si conta?

L’assemblea condominiale è l’organo collegiale nel quale vengono prese tutte le principali decisioni riguardo la vita di un condominio. Convocata dall’amministratore di condominio o dal presidente dell’assemblea condominiale, mette ai voti progetti, nuove norme per il regolamento condominiale e approvazione di lavori di manutenzione straordinaria. Può capitare, però, come in tutti i sistemi di votazione a maggioranza, di arrivare a uno stallo. Oltre ai voti favorevoli e contrari bisogna tenere in considerazione anche i voti degli astenuti. Come si conta un voto astenuto nell’assemblea condominiale? In che modo incide sul quorum?

La questione assume una rilevanza particolare se pensiamo che, specialmente nei condomini più piccoli, anche un solo voto può fare la differenza riguardo, ad esempio, la ripartizione delle spese condominiali. Ecco perché il Codice Civile predispone precisi quorum di validità (quanti proprietari devono essere presenti per validare l’assemblea) e di maggioranza. Rispettivamente, il quorum costitutivo e il quorum deliberativo.

Per quanto riguarda il quorum costitutivo, quindi quello necessario a rendere valide le delibere approvate, la Cassazione ha stabilito che un voto astenuto nell’assemblea condominiale è comunque da conteggiare. Il fatto che il proprietario non esprima il proprio voto non significa che non abbia partecipato all’assemblea o alla votazione. Sarà cura dell’amministratore di condominio o di chi è incaricato di redigere il verbale prendere nota della validità e delle maggioranze di approvazione delle proposte.

Per quanto riguarda il quorum deliberativo invece, a seconda del provvedimento preso in esame sono richieste specifiche maggioranze di approvazione. Solitamente, di almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi o, in casi più stringenti, di almeno i due terzi del valore dell’edificio in millesimi. In questo caso, il voto astenuto nell’assemblea condominiale viene considerato come il voto di un dissenziente (o di un assente).

Il voto astenuto nell’assemblea condominiale può impugnare una delibera?

Come detto, un proprietario che si astenga da una votazione non può concorrere alla formazione della maggioranza richiesta per approvare una delibera. Esso è invece da considerarsi come contrario. La condizione di un voto astenuto è però in un certo senso equiparabile anche a quella di un voto assente.

Ad accomunare queste tre figure è la possibilità di impugnare una delibera, concessa anche a un voto astenuto. L’unica differenza fra un assente e un astenuto, in questo caso, sta nelle tempistiche concesse. Un astenuto, presente all’assemblea e alla votazione, può impugnarla entro 30 giorni dall’approvazione. Un assente ha invece 30 giorni a partire dalla comunicazione ricevuta dell’approvazione.

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Che cosa contiene un regolamento condominiale?

Il regolamento condominiale è la Costituzione del condominio. Vale a dire, è quell’insieme di norme che regola tutti gli aspetti della convivenza condominiale al di fuori delle norme imposte dal Codice Civile. La sua delibera è obbligatoria solo quando nel condominio siano presenti più di 10 proprietari. Tuttavia, anche le realtà più piccole, i cosiddetti condomini minori, spesso decidono di adottare questo testo per stabilire alcuni punti fermi riguardo l’utilizzazione di specifici beni comuni o divieti/permessi per determinati comportamenti. Vediamo cosa contiene un regolamento condominiale e perché è fondamentale fare riferimento a questo documento prima di prendere iniziative che potrebbero violare le sue norme.

Il regolamento di condominio è previsto dallo stesso Codice Civile che. L’articolo 1138, in particolare, indica che cosa contiene un regolamento condominiale e quali disposizioni, invece, non sono da ritenersi valide al suo interno. Leggendo la norma, vediamo che tale documento riguarda:

  • L’uso delle cose comuni.
  • La ripartizione delle spese in base ai diritti di ciascun condomino e alle quote proporzionali disposte dalle tabelle millesimali che devono essere allegate.
  • Le norme per la tutela del decoro dell’edificio.
  • Disposizioni riguardo all’amministrazione condominiale.

Chi scrive il regolamento condominiale? Trattandosi di un documento che legifera sulla convivenza di tutti i proprietari, ciascun condomino ha il diritto di modificare il regolamento condominiale o, nel caso sia assente, di prendere l’iniziativa per redigerlo. Naturalmente, la sua approvazione (in toto o delle singole norme) richiede il voto favorevole dell’assemblea condominiale con la maggioranza degli intervenuti che corrisponda ad almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.

Uso delle cose comuni: cosa contiene il regolamento?

Il regolamento condominiale può predisporre alcuni limiti all’utilizzo delle cose comuni da parte dei condomini. Ad esempio, è possibile stabilire che il cortile condominiale non possa essere utilizzato come parcheggio per motocicli o biciclette. O, ancora, il regolamento può vietare che si giochi a pallone in giardino, che si faccia rumore in determinate fasce orarie o persino che sia vietato l’utilizzo di barbecue.

In generale, la distinzione da fare è fra norme che stabiliscono come utilizzare un bene condiviso e norme che limitano il godimento di un bene o che istituiscono una sorta di disparità fra proprietari.In questi ultimi due casi si tratta quindi di limitazioni al godimento di diritti reali di tutti i proprietari. Per queste norme è non è sufficiente la maggioranza richiesta per modifiche ordinarie. In tali casi è sempre richiesta l’unanimità nel voto dei partecipanti all’assemblea. Si tratta della differenza fra regolamento assembleare e regolamento contrattuale, che vi abbiamo spiegato qui.

Per rendere opponibili anche a terzi determinate clausole che limitano dei diritti reali, è possibile anche richiederne la trascrizione. In tal modo, la clausola sarà poi allegabile ai singoli rogiti di vendita delle unità immobiliari. Si tratta di una tutela nei confronti di chi acquista l’immobile che, così, entra a conoscenza immediata di una disposizione votata all’unanimità dall’assemblea precedentemente alla compravendita.

Un altro argomento spesso trattato nei regolamenti condominiali è il decoro architettonico. Si tratta di norme volte a mantenere l’armonia estetica dell’edificio, garantendone così anche il valore economico. A tal proposito, è possibile addirittura che un regolamento vieti di appendere piante sporgenti dal balcone o che siano disposte delle regole per le forme e i colori delle tende da sole.

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Unità con più comproprietari: come cambia la maggioranza assembleare?

All’interno dell’assemblea condominiale le delibere vengono approvate con maggioranze ben definite che variano in base all’oggetto della votazione. Dato che non sempre è possibile la partecipazione fisica di tutti i proprietari, si ammette che i condòmini possono delegare la propria presenza e, quindi, il proprio voto, a un altro soggetto. Cosa succede però al calcolo della maggioranza, quando un soggetto sia comproprietario insieme ad altri di un’unità nello stesso condominio? Una sentenza del Tribunale di Verona chiarisce la problematica della maggioranza assembleare con dei comproprietari di una sola unità.

La sentenza del 15/10/2019 ci indica l’interpretazione corretta dell’articolo 1136 del Codice Civile, fornendo una risposta chiara al quesito sollevato in merito alle maggioranze assembleari. La norma civilistica prevede nello specifico delle maggioranze specifiche che possono subire delle variazioni in base all’oggetto in discussione o al fatto che si tratti della prima o della seconda convocazione. Ad ogni modo, la giurisprudenza ha interpretato questo articolo sul principio di una proprietà, un voto.

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Una lettura che si può riassumere così: ciascun partecipante all’assemblea può contribuire con un solo voto. Così, il voto di due comproprietari di una stessa unità abitativa vale per uno. Allo stesso modo, il proprietario di più vani all’interno dello stesso condominio potrà esprimere un unico voto. Questo, in ragione del fatto che saranno poi le tabelle millesimali a tener conto della proporzionalità della proprietà sul quorum richiesto.

La maggioranza assembleare con i comproprietari di un’unità

Tale interpretazione trova forza anche nelle disposizioni attuative del CC. All’articolo 67 si afferma esplicitamente che più comproprietari di una singola unità abitativa debbano eleggere il proprio rappresentante in assemblea che, esprimendo un unico voto, farà le veci anche degli altri. In tal modo, la maggioranza assembleare con dei comproprietari di una sola unità non risulterà “falsata” dalla condivisione di più soggetti.

La sentenza citata conferma l’attuazione di questo principio. Si precisa inoltre che il proprietario di più unità all’interno dello stesso condominio debba in ogni caso votare come singolo. Infine, il Tribunale ha specificato che un difetto di delega può essere impugnato solo dal comproprietario che non riconosca la figura in sua rappresentanza, e non dal resto dell’assemblea.

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Regolamento condominiale: cos’è e a cosa serve?

In più occasioni vi abbiamo ribadito che il primissimo codice normativo da consultare in caso di dubbio è il regolamento condominiale. È qui, infatti, che prendono forma molti degli obblighi (ma anche dei diritti) degli inquilini di un determinato edificio. Andiamo quindi ad approfondire meglio la natura di questa fonte di legge che viene stipulata con l’approvazione dell’assemblea. Che cos’è il regolamento condominiale e a cosa serve? È davvero una legge vincolante per tutti? Come è possibile modificarlo?

Il regolamento condominiale è un atto normativo approvato dall’assemblea condominiale con delibera a maggioranza (degli intervenuti che costituiscano la metà del valore dell’edificio). Attraverso questo codice normativo i proprietari delle unità immobiliari si autoregolamentano. La legge specifica che l’adozione di un regolamento condominiale è obbligatoria solo se il numero dei proprietari supera i 10 condòmini. In sua assenza, vigono comunque per tutti gli abitanti di un plesso condominiale le norme del Codice Civile dedicate alla comunione dei beni.

Di cosa si occupa?

In quali campi legifera il regolamento condominiale? Oltre alla distribuzione di diritti e obblighi dei condòmini, questo codice riguarda i beni comuni e il loro mantenimento e la ripartizione delle varie voci di spesa. Rientrano in questo documento anche norme di carattere amministrativo/procedurale; talvolta, comprende anche indicazioni a tutela del decoro architettonico dell’edificio, della privacy o della condotta dei singoli rispetto a rumori o lavori.

Proprio la presenza di norme relative ai rumori è particolarmente invocata dai condomini. Ad esempio, inserendovi delle fasce orarie in cui vada rispettato il silenzio, si evitano sul nascere future discussioni con i dirimpettai. O, quantomeno, è più facile stabilire se una condotta sia lecita o no. Altro punto che spesso merita una norma nel regolamento condominiale è anche l’utilizzo del cortile come parcheggio; oppure la possibilità di arredare il balcone con piante sporgenti o elementi decorativi, e così via.

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Ricordiamo che ci sono alcuni punti fermi sui quali il regolamento condominiale non può interferire. È il caso, ad esempio, della presenza di animali domestici. Nessun regolamento può infatti impedire a un proprietario di ospitare nella sua unità un animale domestico. L’articolo 1138 del Codice Civile elenca gli altri diritti dei condòmini che il regolamento non può in alcun modo menomare oltre a quelli derivanti «dagli atti di acquisto e dalle convenzioni». Non sono derogabili:

  • Il diritto dei condomini sulle parti comuni;
  • Le norme su indivisibilità (delle parti comuni), sulle innovazioni condominiali, sulla rappresentanza, sul dissenso rispetto alle liti;
  • Le regole su assemblea condominiale, validità delle delibere assembleari e impugnazioni delle stesse.

Modifica del regolamento condominiale: assembleare o contrattuale

A proposito di maggioranze, è bene tener presente che esistono due tipi di regolamenti condominiali: quello assembleare e quello contrattuale. Essi si differenziano per la maggioranza di approvazione richiesta per l’inserimento o il cambio di una norma. Nel caso del regolamento assembleare, è richiesto il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che corrisponda alla metà più uno del valore in millesimi dell’edificio. Nel caso di regolamento contrattuale, invece, è obbligatoria l’unanimità per l’approvazione di qualsivoglia modifica o innovazione.

È bene comprendere questa distinzione proprio perché, nel secondo caso, sarà solitamente più difficile far approvare alcune norme. Allo stesso tempo, si è più tutelati rispetto ad alcuni cambiamenti che per il singolo potrebbero risultare peggiorativi. Occorrerà quindi, in sede di assemblea, una buona capacità di mediazione dell’amministratore di condominio.

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Maggioranze assembleari in condominio

Un condominio è un piccolo modello democratico a tutti gli effetti. Le decisioni riguardanti la collettività e i beni a uso comune del condominio vengono infatti prese all’interno di un’assemblea che si riunisce periodicamente e mette ai voti proposte, progetti e richieste. Non solo. In questo contesto vengono anche stabilite le ripartizioni delle spese di ordinaria amministrazione e dei lavori di manutenzione, riparazione, innovazione. È importante quindi sapere quali sono le maggioranze assembleari in condominio richieste dalla legge per l’approvazione o meno di un provvedimento.

Oltre alla maggioranza assembleare, esistono innanzitutto due requisiti fondamentali affinché una delibera possa essere approvata. Innanzitutto, la convocazione di tutti gli aventi diritto all’assemblea. In secondo luogo, la presenza di un numero legale sufficiente a ritenere l’assemblea e quindi le sue delibere valide. Questo numero legale è stabilito sulla base delle tabelle millesimali del condominio, che indicano quale maggioranza specifica sia richiesta in ogni contesto.

La legge prevede inoltre la possibilità di fare due convocazioni, richiedendo due maggioranze diverse. Solitamente la votazione finale avviene nella seconda convocazione, proprio perché in questo caso si richiedono quorum più bassi. Essa deve, in ogni caso, tenersi a distanza di non più di 10 giorni dalla prima.

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Per le approvazioni ordinarie, queste sono le maggioranze assembleari richieste:

  • In prima convocazione una deliberazione è valida se approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio in millesimi.
  • In seconda convocazione il quorum si riduce. L’approvazione richiede un numero di voti che rappresenti un terzo degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio.

Maggioranze assembleari straordinarie

Vi sono poi alcuni casi in cui le maggioranze sopra specificate non bastano. È la questione, ad esempio, della votazione di un’innovazione condominiale. In questo caso, l’articolo 1136 richiede «un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell’edificio». Trattandosi di interventi che vanno a mutare la natura funzionale o materiale di un bene comune, questa maggioranza assembleare è necessaria anche in seconda convocazione.

Per quanto riguarda la nomina e la revoca dell’amministratore, la maggioranza assembleare di condominio richiesta è della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio (500/1000). E se la nomina e la revoca slittano all’approvazione in seconda convocazione? La giurisprudenza si è divisa su questa problematica. A far chiarezza, una sentenza del Tribunale di Roma pubblicata il 3 luglio 2019. Qui si legge che, anche in seconda convocazione, la maggioranza deve essere quella qualificata della metà più uno degli intervenuti e di almeno la metà del valore dell’edificio.